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Pd, Bonaccini e Schlein: il lato privato dei due principali candidati alla segreteria del partito

Bonaccini non chiude le porte a Renzi mentre Schlein sogna l’abbraccio con i Cinque Stelle ma, al di là degli orientamenti politici, che persone sono i due principali concorrenti alla guida del Pd? Ecco che cosa abbiamo scoperto

Pd, Bonaccini e Schlein: il lato privato dei due principali candidati alla segreteria del partito

“Il personale è politico” recitava un famoso slogan femminista degli anni ’70 ed è questa la chiave che scegliamo oggi per conoscere un po’ meglio i principali candidati alla segreteria del Pd, Stefano Bonaccini ed Elly Schlein, dati per favoriti (nell’ordine in cui li abbiamo elencati) alle primarie del 26 di febbraio.

Bonaccini e Schlein: due visioni diverse del mondo

Bonaccini e Schlein incarnano due modi diversi di vedere il mondo, anche se dalla stessa parte, a sinistra, qualunque cosa questo voglia dire oggi. A noi, anime semplici, verrebbe da ridurre tutto al fatto che il primo non chiude le porte a Matteo Renzi, mentre la seconda spalanca le stesse porte ai 5 stelle, ma la faccenda è sicuramente più complicata di così, è sempre più complicata di così. Diciamo allora che Bonaccini sta un po’ più a destra e Schlein un po’ più a sinistra, nonostante il primo sia figlio dello zoccolo duro del Pci e la seconda sia la rampolla di una famiglia facoltosa, intellettuale e internazionale. O forse proprio per questo.
Nel timore di sbagliare prendiamo la scorciatoia biografica, per vedere se ci aiuta di più, nonostante i protagonisti della sfida non ci tengano affatto.

Il profilo di Stefano Bonaccini

Le note di base dicono che Bonaccini, nato a Campogalliano in provincia di Modena 56 anni fa, da mamma operaia-casalinga e babbo camionista, è un ragazzo che ha preso presto l’ascensore sociale. A fornirgli l’energia è stata la passione politica, il condominio da risalire è stato il partito, dove il modenese ha fatto tutta la gavetta: partendo dal Pci (nella sezione dei genitori) e restando nelle sue declinazioni successive, diventando poi assessore comunale, quindi consigliere regionale, infine presidente della Regione Emilia-Romagna. Un uomo umile e forte, di quella terra padana “del saper fare” che ha dato i natali al suo predecessore-mentore-rivale Pierluigi Bersani. Un uomo affidabile, ma senza voli pindarici. Anche la concretezza con cui sta affrontando la sfida delle primarie, a partire dal programma, è un po’ vecchio stile ma assolutamente solida.
Qualcuno lo ha definito un uomo “banale”. Secondo noi però non ha colto nel segno. Bonaccini non è affatto un uomo banale e nelle pieghe della sua biografia si trovano degli spunti inattesi e che accendono una luce stroboscopica sulla sua personalità.

L’elemento distintivo è la moglie Sandra Notari, che ha ben 13 anni più di lui e non è cosa di poco conto. I due si sono conosciuti una trentina di anni fa (più o meno l’età della prima figlia), quando Stefano era un giovane e ambizioso assessore e Sandra una commerciante, interessata alla moda. Non sappiamo se fu amore a prima vista, non sappiamo niente di niente, se non che i due stanno ancora insieme e festeggiano in modo romantico San Valentino (come si è visto su Facebook). Sappiamo inoltre che si sono sposati nel 2003, quando Sandra aveva 49 anni. Alla soglia della cinquantina, quando molte coppie entrano in crisi e molti mariti scappano con la segretaria, i due hanno messo i sigilli al loro amore.
Sandra oggi è una donna agé, ma ancora bellissima, come si vede dalle foto o dalle interviste rilasciate a Tv locali e non è una donna banale, come non lo è la sua storia con Bonaccini. Perché se uno gratta sotto la superficie i pregiudizi della società contemporanea riguardano molto di più le donne di “una certa età” di quanto non riguardino i gay.

Questa storia d’amore ci racconta che Bonaccini è un uomo di passioni, uno che ama e che lo fa fino in fondo, uno capace di sfidare le convenzioni per le sue idee e per i suoi sentimenti. Il modo in cui protegge il suo territorio, la moglie e le figlie, da ogni incursione aliena (tipo questa) ci fa capire che ci sono valori per lui inviolabili. Bene, se il partito democratico, oggi dilaniato da incomprensibili correnti e da ambizioni personali, vuole un paladino che abbia fede e che si batta per le sue convinzioni insieme alla famiglia politica che ha scelto e che da sempre ama, probabilmente ha trovato l’uomo giusto.
Bonaccini, più che ai capi corrente può parlare agli elettori, alle persone smarrite nei labirinti delle parole della politica, a chi chiede di aggrapparsi a uno scoglio che lo ripari in futuro dall’onda d’urto elettorale delle destre.

Il profilo di Elly Schlein

Dall’altra parte c’è Elly Schlein, che al momento è più indietro nei sondaggi, ma che ha ricevuto moltissime esternazioni di voto da notabili del partito, apparentemente distanti culturalmente e politicamente: da Franceschini a Boccia, da Zingaretti a Livia Turco.
Elly ha molte frecce nel suo arco.

Elena Ethel Schlein nasce a Lugano nel 1985, da un papà statunitense e da una mamma italiana, entrambi professori universitari. Vanta un nonno materno senatore della Repubblica, socialista e partigiano. È una figlia d’arte, con tre passaporti (svizzero, americano, italiano), un vocabolario che spazia in varie lingue e un curriculum mozzafiato, perché è già stata europarlamentare, volontaria nelle campagne elettorali di Barack Obama, vice di Bonaccini alla Regione e oggi siede a Montecitorio.
Da qualche giorno inoltre si è rimessa in tasca la tessera del Pd, che aveva lasciato quando al timone c’era Renzi. Qualcuno l’ha definita una radical chic di antica memoria, o la comunista con il Rolex (immaginiamo però che non sfoggi realmente un tale status symbol al polso), ma come abbiamo letto in un blog (a firma di Alessandro Volpi), “il caso della Schlein è emblematico non tanto per i soldi che ha, per le condizioni materiali di partenza, quanto per il capitale simbolico, culturale, relazionale che la sua posizione porta con sé”.

La ragazza arriva a Bologna per studiare al Dams, poi passa a giurisprudenza (dove si laurea a 26 anni) quindi si prende di passione politica e insieme al suo padrino politico, Pippo Civati (di cui si sono perse le tracce nella carriera della pupilla) fonda Occupy Pd, contro i franchi tiratori che silurarono Romano Prodi al Quirinale. Sembra che ciò non sia bastato a fare di Elly una protetta del professore e anzi, in ambiente prodiano, si bolla quella mossa di Schlein come puro marketing politico. D’altra parte il gruppo dei fedelissimi dell’ex presidente della Commissione europea è in gran parte favorevole a Bonaccini, a partire da Sandra Zampa secondo cui “il curriculum del modenese è sincero. È un uomo che si è sudato tutto”.

Si dice che la candidata con tre passaporti sia una che intercetti il nuovo (sono tali le Sardine?) e che appaghi il bisogno di rinnovamento radicale, tanto invocato nel partito dai molti che lo abitano da tempo e che hanno contribuito a fare del Pd lo strano ibrido che è oggi. Chi la avversa teme invece che l’abbraccio con i 5 stelle sarà mortale e si interroga sulle scelte politiche a cui, da eventuale leader democratica, sarà costretta alla Camera, quando si tratterà di votare sull’invio di armi per la guerra in Ucraina o sui rigassificatori, temi che costarono all’Italia la caduta del governo Draghi.

Sul piano personale Schlein è molto abbottonata e solo di fronte alle telecamere di Daria Bignardi nel 2020, come noto, scelse di lanciare il sasso nello stagno: “Si, sono fidanzata, ho avuto diverse relazioni in passato, ho amato molti uomini e ho amato molte donne. In questo momento sto con una ragazza e sono felice, finché mi sopporta”. Della prescelta non si sa alcunché, né del menage familiare che hanno (se lo hanno), tanto meno del travaglio (se c’è stato) che ha accompagnato la scoperta della bisessualità di Elly. Nulla arde sotto la cenere. In questo caso il personale è politico non per estorta confessione o presa di coscienza, ma per oculata scelta e viene usato brillantemente anche per svilire Giorgia Meloni, e il suo “sono Giorgia: sono una donna, sono una madre, sono cristiana”.

A Piazza del Popolo, in chiusura di campagna elettorale, Schlein infiammò gli animi dicendo: “Sono una donna, amo un’altra donna e non sono una madre, ma non per questo sono meno donna. Non siamo uteri viventi, ma persone coi loro diritti”. Giusto, chapeau!

E quindi? Quindi niente, Elly Schlein sfugge alla nota biografica come un’anguilla, tutto sembra studiato a tavolino solo per fare breccia, per comporre un ritratto politico con una pennellata di diritti civili, una mano di vernice green, uno sfondo di impegno sociale. È un po’ come “Bella ciao” (che Elly cantò a Roma quando decise di candidarsi per la segreteria), la bella e nostalgica canzone della Resistenza, che in questi anni è diventata una specie di tormentone pop, dopo l’uso e l’abuso che ne è stato fatto nella serie Tv, La Casa di Carta. “Bella ciao” oggi è più famosa che mai, ma ha perso molto del suo valore simbolico e del suo pathos, va di moda, ma non convince.

Ecco, ai votanti l’ardua sentenza.

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