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Parma, dal sogno europeo all’incubo del fallimento: resta solo l’onore del mister Donadoni

In meno di un anno il Parma Calcio è passato dal sogno di un’Europa League acciuffata all’ultimo minuto e sfuggita per via della licenza Uefa all’incubo di una retrocessione ormai certa e di un fallimento sempre più probabile – Ma c’è un bene che il Parma non ha perso l’onore del suo comandante, mister Roberto Donadoni.

Parma, dal sogno europeo all’incubo del fallimento: resta solo l’onore del mister Donadoni

Come si uccide una squadra di calcio. Lo 0 a 1 patito dal Parma nel malinconico recupero di campionato contro il Chievo Verona, su un campo ai limiti della praticabilità, è solo uno dei tanti fuochi di un crepuscolo lungo 38 partite. Il copione è stato lo stesso di sempre: in un modo o nell’altro il Parma perde. Sono già diciassette sconfitte, quest’anno (su ventuno partite). Diciassette, proprio come le partite consecutive senza perdere mai nello scorso campionato, un girone intero, dalla Juventus alla Juventus.

Cosa cambia in un anno? Quanto tempo è, per una squadra di calcio, un anno? Guardi la classifica e vedi che, tutto sommato, non è cambiato niente. La Juve fa sempre corsa di testa, inseguita da una Roma un po’ spompata, mentre il Napoli si dibatte tra grandi splendori e piccole miserie in un campionato a sè, troppo discontinuo per le prime due e troppo forte per tutte le altre.

La Lazio, nel bene e nel male, rimane sempre nel range dell’era Lotito (un’aurea mediocritas sportiva), mentre la Fiorentina rifiuta ancora di crescere, sempre vittima della propria sindrome di Peter Pan. Intanto Genova risale, affidata a capitani di ventura capaci di portare ogni nave in acque tranquille, e si scopre il Palermo e il piccolo Sassuolo è diventato adolescente e tra poco avrà gli esami di maturità e via dicendo.

Tutto cambia per rimanere sostanzialmente uguale. Il Parma no, il Parma affoga. Privo di stimoli e di stipendi, in una lunga discesa che, in quanto tale, inizia proprio nel momento più alto, in quella qualificazione in Coppa Uefa (scusatemi se non la chiamo Europa League) acciuffata all’ultimo minuto utile, nel rigore di Cerci che si consegna tremolante nelle braccia malsicure di Rosati, oscuro secondo portiere di provincia assurto a eroe per una notte per qualcun altro (e non per i suoi tifosi, piuttosto indifferenti all’impresa), regalando al Parma il sesto posto in classifica.

La discesa inizia lì, nell’immagine di Cassano che pascola sulla linea laterale (nonostante la partita che sta giocando sia ancora in corso), senza il coraggio di guardare. Nella corsa a perdifiato di una squadra intera che indossa una maglietta celebrativa che sembra uno scherzo crudele, vista oggi: “Il sogno è realta”, e dietro “Siamo in Europa”.

E poi una lunga estate calda, di sole e mare e carte bollate. E il traguardo del campo che scivola via per una ritenuta Irpef, una cifra irrisoria, raccontano quelli del Parma, duecentomila euro sull’incentivo all’esodo per una manciata dei 250 giocatori che il Parma possiede per mandare in giro in qualche campionato minore e, forse, per ingrossare le tasche di qualcuno.

E il presidente Ghirardi, una maschera napoletana e italianissima – il “chiagni e fotti” come mezzo di perpetuazione della classe dominante -, che in conferenza stampa rassegna le proprie dimissioni perché è così che vanno le cose, e quando ti tolgono un sogno il primo istinto è quello di smettere di sperare, e andarsene. E forse è questo il punto, che il Parma ha smesso di sperare in un futuro migliore, e allora si è arreso.

Ma probabilmente la discesa era iniziata prima. Perché 96 milioni di debito netto non si accumulano in un giorno. E la storia di questo Parma assomiglia sempre di più a quelle di certi film o di certe vite, in cui il protagonista mente a tutti quanti e dice di essere un cardiochirurgo mentre invece è disoccupato, fino a che non viene sopraffatto dal peso di tutte le sue menzogne, e dalla sua incapacità di tenere ancora in mano i fili, ed esplode.

E allora via al fuggi fuggi. Si salvi chi può, chi ha qualche possibilità e almeno un minimo di mercato. Via Cassano, Paletta, persino Felipe. Tutti, tranne Crisantemo (copyright del presunto fenomeno di Bari Vecchia, uno che non ha capito mai la differenza tra schiettezza e meschinità) Donadoni, che affonda con tutta la nave.

Via verso altri lidi, mentre il Parma passa di mano in mano tanto per movimentare la stagione, visto che la classifica è sempre ferma, mentre la Lega Calcio sta a guardare, incapace dell’immaginazione retorica per cui la salvezza di ognuno diventa quella di tutti. L’unica preoccupazione è quella di espellere il corpo canceroso prima che infetti il sistema. 

L’assassino non è mai il maggiordomo. Più spesso è il presidente, o l’amministratore delegato. E un anno, nel calcio come nella vita, può essere un’era geologica. Un’era glaciale. Il sogno del Parma non è mai diventato realtà, né lo scorso anno, né quindici anni fa, quando con Crespo, Buffon e Thuram si sognava in grande e, già allora, si viveva al di sopra delle proprie possibilità. Adesso quel sogno somiglia sempre di più a un incubo.

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