Condividi

Paolo Lopriore, genio e sregolatezza in cucina e filosofo della nuova convivialità

L’allievo prediletto di Gualtiero Marchesi, dopo aver lavorato in grandi ristoranti stellati, ha aperto ad Appiano Gentile Il Portico dove rivoluziona non solo la cucina ma anche il rapporto chef-cliente. E’ il regno dell’anarchia ma anche una porta aperta sul futuro


Quando si dice il segno del destino. Dove poteva approdare l’insofferente, irrequieto, impaziente Paolo Lopriore, genio e sregolatezza della cucina italiana, uno che l’andare contro corrente ce l’ha nel sangue fin da piccolo? Uno dei pochi nel riuscire a scatenare sui social ammiratori devoti ma anche detrattori feroci? Nella Piazza della Libertà di Appiano Gentile, piccolo comune in quel di Como, dove il nostro, può abbandonarsi a cucinare affermando la libertà da tutte le convenzioni, i luoghi comuni, le consuetudini gastronomiche di molti dei suoi colleghi. Ad Appiano Lopriore, a 45 anni, ha gettato l’ancora nel gennaio di due anni fa dopo una turbolenta navigazione che lo ha portato in giro per il mondo, e qui ha aperto il Ristorante Il Portico dove la sua liberta creativa può trovare ampio sfogo. La formazione di Lopriore, comasco, tanto per intenderci, parte sotto i migliori auspici.

Giovanissimo entra a far parte della ristretta truppa dei Golden Boy alla corte di Gualtiero Marchesi dove si sono formati i futuri protagonisti della cucina di eccellenza italiana, tutti stellati manco a dirlo: Carlo Cracco, Andrea Berton, Enrico Crippa, Davide Oldani, Daniel Canzian. Marchesi, altro caratterino in cucina, primo tre stelle Michelin italiano ma anche il primo a restituirle clamorosamente per non sottostare al “giochino dei punteggi” perché “a 80 anni è finito il tempo di essere giudicato come uno studente”, si affeziona molto a quel giovane, ne percepisce le grandi qualità e le grandi possibilità e anche la voglia di uscire dalle regole, prima fra tutte di sottrarsi alla sudditanza della cultura gastronomica francese (“la mia cucina è italiana ed è nuova”), di cui Marchesi è stato il massimo filosofo in Italia, e lo introduce ai segreti dell’alta cucina. Con Marchesi non si scherza e Lopriore se ne sta buono ad arrotare i ferri del mestiere. Quando ci si trova davanti a “Una vita spesa con la noncuranza e il distacco dal presente vissuto come passaggio verso l’avanguardia. Un maestro complesso della semplificazione, dell’equilibrio dosato sui contrappunti di una cucina timbrica come la pittura. Un concetto che si rincorre in tutta l’opera marchesiana: opera giocata sulla bitonalità, sul chiaroscuro, sulla pulizia e sulla trasparenza. Un quadro concettuale supportato da una tecnica assolutamente sopraffina completamente rarefatta, studiata “su” ogni microscopico particolare, tendente a eliminare l’eliminabile” come ha scritto Andrea Griffagnini, definito in Francia il miglior palato del mondo, collaboratore e braccio destro di Veronelli, c’è solo da farsi tremare i polsi.

E per due anni se ne sta buono a assorbire tutti i concetti della filosofia marchesina, finché non viene chiamato al servizio militare. Terminata la leva Lopriore passa a volo d’uccello dall’Enoteca Pinchiorri a Firenze, ma il richiamo e il fascino esercitato su di lui del maestro dei maestri è troppo forte ed eccolo di nuovo accanto a lui nel ristorante di Erbusco in Franciacorta, santuario per venti anni dei gastronomi internazionali. Però bisogna anche spingere lo sguardo oltre la siepe e Lopriore prende il coraggio a due mani oltrepassa le Alpi e se ne va al prestigioso Lodoyen sugli Champs Elysees a Parigi, tre stelle Michelin da cui sono passati nella storia, Robespierre, Napoleone, Degas e Manet. Ma anche qui considera presto l’esperienza conclusa e si trasferisce da Troisgros a Roanne vicino a Lione, ristorante tristellato ininterrottamente dal 1998. Ma c’è un’altra esperienza da fare ed è quella di salire su in Novegia per studiare da vicino che cosa accade nelle cucine norvegesi che attirano una processione di chef da tutta Europa. Si installa al Bagatelle, glorioso ristorante oggi chiuso, di Oslo. E’ tempo ora di tornare in Italia e mettere a frutto le esperienze accumulate in questi anni di lungo peregrinare da un ristorante all’altro per confrontarsi con la cucina italiana. Lo ritroviamo al Canto della Certosa di Maggiano, a Siena, dove nell’arco di dieci anni conquista la stella Michelin ma la perde poco dopo perché le sue innovazioni, il suo anticonformismo, la sua voglia di stupire affidandosi alla semplicità dei prodotti fanno arricciare il naso ai severi ispettori della Guida Rossa.

E così con un colpo di teatro da un giorno all’altro, fulmine a ciel sereno, informa con una mail clienti e amici che il suo ristorante chiude, perché i conti non tornano. Almeno questa è la spiegazione ufficiale in realtà sta inseguendo un suo progetto. Ancora una toccata e fuga al Grand Hotel Como, dove respira nuovamente aria di casa, quindi a Milano ai Tre Cristi. E finalmente lo ritroviamo in terra comasca ad Appiano Gentile. Un ritorno alle origini, perché qui Paolo Lopriore vuole accanto a sé la mamma, Mamma Rosa, la stessa che gli diede i primi rudimenti che non ha mai dimenticato. La prima innovazione del Il Portico inaugurato nel 2016 è creare un luogo in cui tutti possono vedere quello che accade, anche senza entrare nel ristorante, le cucine infatti affacciano con ampie vetrate sulla piazza, tutti possono vedere quello che accade dentro, non ci sono misteri. Sono i primi passi della sua “nuova concezione ristorativa” un concept filosofico-gastronomico della convivialità italiana. E allora qui ci si deve sentire come a casa propria, basta atmosfere ovattate e vellutate, luci diffuse, menù che richiedono la conoscenza di molte lingue e anche cognizioni geografiche avanzate per individuare le aree di provenienza degli ingredienti, camerieri che camminano sui trampoli e clienti in soggezione.

Al Portico si cambia decisamente aria, la concezione ristorativa che si applica qui è assolutamente coinvolgente, è una nuova etica dello stare assieme convivialmente, non più attori sul palcoscenico e pubblico in platea, qui tutto si capovolge, l’attore-cuoco scende in platea e si affianca al pubblico, chi entra al Portico crea il suo piatto, sceglie componenti che nella loro essenzialità riportano alla verità (ancora una volta questa parola) delle materie prime, perché “cuoco, cliente e cameriere alla fine devono coincidere e la sala è un tutt’uno con la cucina”. E dunque qui il vecchio detto “il piatto è servito” non funziona, perché al Portico di Lopriore i compromessi sono banditi, non c’è più il cuoco che serve un piatto sul quale ha trasfuso tutta la sua esperienza per strabiliare il cliente, il piatto è semmai “composto” ognuno prende dal bancone quello che vuole, lo arricchisce assecondando il proprio desiderio, qui la libertà diventa anarchia, la regola è la semplicità, l’imperativo categorico è un gusto costruito sulla persona con una cucina di alto livello in cui materia viene esaltata e non stravolta, dove si va al cuore del gusto.

“Il valore di un cuoco – ama dire Lopriore – c’è quando riesce a trasformare in processo qualcosa che fino allora non si era mai visto. Pensiamo ad Adrià”. Ed allora al Portico il cuoco diventa l’amico che ti affianca e suggerisce nel selezionare gli ingredienti, quello che li trasforma poi in preparazioni che sanno stupire l’avventore nella scoperta di sensazioni e gusti non provati prima. La concezione ristorativa di Lopriore si basa essenzialmente sulla ricerca dei valori interiori di una componente, che sia pesce di lago, un cavedano, un salmerino, una bottatrice, che sia carne di manzo, un filetto, o un agnello, che siano frattaglie alle quali viene dedicata una giornata o che siano verdure. Il gioco – si fa per dire, perché siamo a una concezione superiore dell’arte dei fornelli – sta nel concentrarsi sulla materia, rigorosamente quotidiana, rispettando la legge di quello che si trova al mercato, lavorandoci sopra con estro e fantasia studiandone potenzialità per darle un significato nuovo.

Ecco il punto: dare significati nuovi. Lopriore radicò in sé la convinzione di questa regola morale quando lesse Scritti sull’arte di Piero Manzoni, l’artista scomparso prematuramente negli anni ’60, firmatario del manifesto La «Nuova Concezione Artistica» con Enrico Castellani, Nanni Balestrini ed altri, che tre anni prima della morte, suscitando un vero e proprio terremoto negli impolverati milieu artistici italiani, realizzò e mise in vendita 90 barattoli di latta, numerati e firmati di “Merda d’artista”. Fu uno scandalo d’inaudite proporzioni, fu esposto a pubblico ludribio, ci furono interrogazioni parlamentari, Palma Bucarelli, indimenticata soprintendente della Galleria Nazionale d’arte moderna fu letteralmente linciata. Oggi alcuni oggetti di quello “scandalo” sono esposti alla Tate Modern di Londra, e al Guggenheim di New York, i barattoli di Manzoni vengono contesi a centinaia di migliaia di dollari dai maggiori collezionisti del mondo. Che aveva voluto significare Manzoni con quella scelta che arrivò come un cazzotto nello stomaco? Che «La nuova concezione artistica è essenzialmente ricerca, si pone al di fuori di qualsiasi tendenza schematizzabile: nasce dalla struttura molteplice della vita moderna», e nel contempo condannare quelle opere che venivano premiate e considerate opere d’arte non per il valore intrinseco, per la capacità dell’artista o per ciò che suscitava, ma solo per la sua notorietà.

Passano i tempi certi concetti permangono. Nessuna meraviglia se la Guida Michelin descrive oggi il locale di Lopriore con scarne parole “Lo chef Lopriore torna nella sua terra natìa con un nuovo locale dal format originale: se a pranzo la scelta è orientata su piatti unici, la sera vanno in scena menu degustazione “scomposti”, ovvero carne, pesce o verdura con complementi originali, nonché sfiziosi. Una cucina del mercato dove il prodotto locale è protagonista indiscusso”. Un po’ poco per una scommessa sul futuro.

Ristorante Il Portico

Via A. Volta 1

20070 Appiano Gentile (CO)

Telefono : 031931982


T

Commenta