Condividi

Nuove regole su aiuti di Stato per industria verde fino al 2025: arriva la risposta europea all’Ira degli Usa

La contromossa di Bruxelles all’Inflation Reduction Act di Biden si basa sull’allentare le regole agli aiuti di Stato, favorendo i paesi con bilanci più solidi. Ecco tutti i dettagli

Nuove regole su aiuti di Stato per industria verde fino al 2025: arriva la risposta europea all’Ira degli Usa

Bruxelles allenta le maglie degli aiuti di Stato, almeno per i settori strategici della transizione verde. Dopo un lungo dibattito con i paesi membri, arriva una prima risposta dell’Ue all’Inflation Reduction Act degli Usa. La Commissione europea ha pubblicato, giovedì 9 marzo, un allentamento straordinario delle regole sugli aiuti di Stato, che rimarrà in vigore fino alla fine del 2025. L’obiettivo dell’esecutivo comunitario – che prevede anche la cosiddetta matching clause (richiesta da Francia e Germania) – dovrebbe consentire agli Stati membri di contrastare la concorrenza di Cina e Stati Uniti, seppur con qualche riserva.

“Il quadro che abbiamo adottato oggi offre agli Stati membri la possibilità di concedere aiuti di Stato in modo rapido, chiaro e prevedibile – ha spiegato la commissaria europea incaricata di sovrintendere alla politica di concorrenza Margrethe Vestager -. Le nostre regole consentiranno ai paesi membri di accelerare gli investimenti a zero emissioni, proteggendo al tempo stesso il libero accesso al mercato unico così come gli obiettivi di coesione. Le nuove regole sono proporzionate, mirate e temporanee”.

La risposta europea all’Ira di Biden

Quello dell’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato è solo uno dei tre provvedimenti messi in campo dall’Europa in risposta all’Inflation Reduction Act (Ira) Usa, ossia il maxi-piano di Biden da 369 miliardi di dollari che prevede sussidi miliardari per le tecnologie “pulite” prodotte sul territorio statunitense, e che fa gola ai grandi gruppi europei. L’allarme in Europa, d’altra parte, risuona da tempo: lo hanno lanciato i governi nazionali, i commissari europei e ovviamente tutto il mondo industriale. In tanti hanno fatto capire che davanti al maxipiano di Biden i Paesi dell’Ue corrono un “forte rischio di deindustrializzazione”, con la conseguenza di perdere miliardi di investimenti nei prossimi anni. Vi rientra, ad esempio, il caso del colosso tedesco Volkswagen che ha sospeso la costruzione di una gigafactory per la produzione di batterie in Europa, allettata dai sussidi Usa (potrebbe ricevere fino a 10 miliardi di dollari se trasferisse lo stabilimento in Nord America). Anche il produttore di batterie Northvolt potrebbe preferire gli Usa alla Germania per costruire la sua prossima gigafactory.

I prossimi appuntamenti della Commissione

Tuttavia, la parte più delicata del piano resta quella relativa alla creazione di nuovi strumenti economici comuni per finanziare il piano industriale per il Green Deal. La Commissione martedì 14 marzo presenterà il Net-Zero Industry Act (che riguarda l’industria manifatturiera) e il Critical Raw Material Act (riguarda invece l’approvvigionamento di materie prime). Mentre la riforma del mercato elettrico è il terzo in calendario, previsto per giovedì 16 marzo.

Von der Leyen negli Usa per accordo di libero scambio

Tornando all’allentamento dei vincoli per le sovvenzioni statali, il quadro è arrivato proprio mentre von der Leyen si trovava Oltreoceano, per incontrare il presidente americano Joe Biden. La priorità per la leader dell’esecutivo di Bruxelles è convincere il capo della Casa Bianca a concedere all’Ue le stesse esenzioni dall’Ira di cui godono Canada e Messico, in quanto hanno un accordo di libero scambio con Washington. Ma vediamo nel dettaglio il nuovo regime temporaneo per gli aiuti di Stato adottato dalla Commissione, chiamato Temporary Crisis and Transition Framework.

Come funziona il Temporary Crisis and Transition Framework

Le regole europee sugli aiuti di Stato erano già state allentate per la pandemia e l’invasione russa dell’Ucraina e la conseguente crisi energetica. Ora il Temporary Crisis Framework, che consente agli Stati membri di iniettare più facilmente denaro pubblico nelle aziende in difficoltà, è stato in parte prolungato e modificato, dando vita al nuovo Temporary Crisis and Transition Framework. In poche parole, si concede ai governi nazionali di supportare finanziariamente i processi di sviluppo legati alla produzione di energie rinnovabili e alla conservazione di energia, così come quelli volti a convertire l’industria attualmente alimentata a combustibili fossili.

Alcuni investimenti di supporto saranno possibili fino a fine 2025: quelli riguardanti “attrezzature strategiche” come pannelli solari, turbine eoliche, pompe di calore e sistemi di assorbimento dell’anidride carbonica. Incentivi più facili anche in tutti quei processi produttivi legati alla produzione e al riciclo delle materie prime critiche, come il litio e le terre rare, materiali di strategica importanza economica per cui l’Europa è fortemente dipendente da altri Paesi.

E non finisce qui. In alcuni “casi eccezionali”, si legge nel documento, i paesi membri “potranno fornire un sostegno più elevato a singole imprese, qualora esista un rischio reale che gli investimenti vengano dirottati fuori dall’Europa”. In tali situazioni, gli Stati membri potranno fornire “l’importo del sostegno che il beneficiario potrebbe ricevere per un investimento equivalente in una località alternativa”. Oppure, prosegue il testo, potranno assegnare “l’importo necessario per incentivare l’impresa a effettuare l’investimento in Europa, a seconda di quale sia il più basso”. Si tratta della cosiddetta matching clause, che dovrebbe permettere a un paese di trattenere nel suo territorio stabilimenti di aziende che starebbero valutando una delocalizzazione. E qui rientra il caso di VW.

L’impatto effettivo di questa misura sarà valutato dai 27 Stati membri nelle prossime settimane, ma quella di allentare le norme sugli aiuti di Stato non piace a tutti e resta una strada pericolosa per l’Ue. Il rischio, infatti, è che le nuove norme possano favorire i Paesi con bilanci più solidi (e quindi più in grado di distribuire sussidi), aprendo le porte a casi di concorrenza non leale proprio all’interno dell’Unione.

A chi non piacciono le nuove regole sugli aiuti di Stato

La misura, ovviamente, piace ai Paesi che hanno bilanci più forti e dunque margini più ampi di intervento con la spesa pubblica (come Germania, Francia). Difatti, Francia e Germania da sole hanno investito il 77% del totale degli aiuti di Stato (672 miliardi) approvati nell’ambito del regime di regole speciali precedente, il Temporary Crisis Framework. Invece gli Stati membri che si ritrovano con uno spazio fiscale d’azione fortemente limitato dall’elevato debito pubblico, Italia in primis, avrebbero maggiori difficoltà a beneficiare di un allentamento dei vincoli agli aiuti di Stato. Un’altra conseguenza deleteria sarebbe la “corsa ai sussidi” all’interno dell’Ue: pericolo già paventato in una lettera alla Commissione da sei Paesi: Finlandia, Danimarca, Irlanda, Paesi Bassi, Svezia e Polonia.

Gli equilibri restano perciò delicati: da una parte la necessità di contrastare la concorrenza americana e cinese e dall’altra la necessità di garantire la libera competizione tra i 27, evitando di creare nuove fratture sul mercato interno europeo che potrebbe finire per ostacolare, invece di favorire, la stessa transizione verde.

Accordo Ue: taglio dei consumi finali di energia dell’11,7% nel 2030

Nel frattempo, arriva dall’Ue un accordo sull’efficienza energetica. La Svezia (che regge la presidenza di turno della Ue) e i negoziatori del Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo politico provvisorio per ridurre collettivamente il consumo finale di energia dell’11,7% entro il 2030 (rispetto alle previsioni formulate nel 2020). Gli Stati membri trarranno vantaggio dalla flessibilità per raggiungere tale obiettivo, mentre il limite di consumo per il consumo finale sarà vincolante. In particolare, gli Stati membri assicureranno nuovi risparmi annuali dell’1,49% del consumo finale di energia in media durante questo periodo, raggiungendo gradualmente l’1,9% il 31 dicembre 2030. Non solo: gli Stati membri sono obbligati a rinnovare ogni anno almeno il 3% della superficie totale degli edifici pubblici.

Il nuovo regolamento però potrebbe trovare qualche ostacolo nel suo percorso di adozione, come dimostra anche il caso dello stop ai motori a benzina e diesel per auto dal 2035, decisione presa dall’Europa, che continua ad essere rinviata per il veto di alcuni paesi (Italia e Germania in primis).

Commenta