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Noera, la manovra è una scommessa e il rischio è una recessione ancora più acuta

Il professore di economia dei mercati finanziari dell’università Bocconi spiega, in un articolo del sito youinvest.org, che le politiche di austerità della manovra-Monti potrebbero portare a una violenta spirale repressiva: c’è il rischio di registrare una perdita cumulata del Pil (2012-2014) di 129mld in più rispetto alle stime del Governo.

Noera, la manovra è una scommessa e il rischio è una recessione ancora più acuta

Francesco Giavazzi e Alberto Alesina hanno di recente osservato che le manovre fiscali in Italia (inclusa quella del governo Monti) incorrono nell’errore di metodo di considerare la crescita neutrale rispetto all’entità e, soprattutto, rispetto alla ripartizione tra entrate e uscite delle manovre stesse. Poiché l’aggiustamento complessivo dei conti pubblici (manovre estive + manovra Monti) grava cumulativamente nel triennio 2012-2014, per il 68% su aumenti di entrate, Giavazzi e Alesina ne deducono che gli effetti recessivi delle manovre rischiano di essere assai più severi di quanto non sia nelle aspettative.

Secondo la Banca d’Italia, le manovre estive e quella appena varata dal governo Monti prevedono cumulativamente un aggiustamento di 48,5 mld (3% del Pil) nel 2012, 75,6 mld (4,6% del Pil) nel 2013 e di 81,2 mld (4,8% del Pil) nel 2014. La nuova manovra correttiva di dicembre si è resa necessaria per rimediare all’evidente gap di credibilità del precedente governo ed è stata quantitativamente giustificata dal deterioramento intervenuto nel frattempo nel quadro macroeconomico di riferimento. Rispetto alla prima formulazione delle manovre estive (che si basavano sulle proiezioni del MEF di aprile), la manovra Monti prevede infatti, da una parte, una crescita reale (e nominale) del Pil inferiore di quasi 2 punti percentuali nel 2012 e di oltre 1 punto nel 2013 e, dall’altra, incorpora una previsione di costo medio del debito superiore di 0,7 punti a quella di aprile (rimasta peraltro invariata fino a settembre). (Vedi immagine).   

Crescita nominale del Pil e costo medio del servizio del debito sono variabili chiave per la stabilizzazione del debito. Come è noto, la relazione tra variazione debito/Pil (?d), saldo primario/Pil (p), costo medio per interessi sul debito (i) e tasso di crescita nominale del Pil (g) è sintetizzata dall’equazione:

(1) ?d = p + (i-g)d in (t-1)

dove d in (t-1) è il rapporto debito/pil iniziale. Ne deriva che l’avanzo primario/Pil (-p*) che stabilizza il rappo debito/Pil (cioè ?d=0) è:

(2) -p* = (i-g) d in (t-1)

L’equazione (2) può essere utilizzata per mettere a confronto i sentieri di stabilizzazione post-manovre estive e di quella post-governo Monti, le quali assumono ipotesi differenti sia con riferimento alla crescita del Pil, sia con riferimento al costo medio del debito. Le tabelle seguenti ricompongono i dati di scenario nei termini dell’equazione (2) (Vedi la seconda immagine).

Secondo le stime del MEF di settembre, l’avanzo primario strutturale che avrebbe garantito stabilità al rapporto debito/Pil (-p*) doveva essere in Italia del 3,3% del Pil. Questo valore di avanzo primario veniva superato nel 2012 (-3,7%) e la conseguente stabilizzazione del debito/Pil aveva luogo nel medesimo anno (al 119,4%). La manovra Monti deve invece compensare sia il peggioramento della crescita (g), sia il più elevato costo medio per interessi (i): per ottenere la stabilizzazione del debito/Pil, l’avanzo primario (-p*) complessivo deve ora essere del 4,6% (anzichè del 3,3%).

La manovra Monti è quindi sufficiente a rendere sostenibile il debito, solo se non si determinano ulteriori riduzioni del tasso di crescita del Pil e/o ulteriori aumenti del costo medio del debito. Come giustamente osservato da Giavazzi e Alesina, la logica sottostante alle manovre si basa infatti su due ipotesi implicite, che vengono date per scontate (ma che, come vedremo, sono tutt’altro che certe):
– che gli aggiustamenti di bilancio generino fiducia nei mercati, riducendo il premio al rischio incorporato nei tassi di interesse (e riducendo, di conseguenza, anche il costo medio del servizio debito); 
– che le restrizioni fiscali non abbiano effetti significativi sulla crescita del Pil. 

Se la seconda ipotesi risulta falsa, salta tuttavia anche la prima: se i mercati presumono che gli aggiustamenti di bilancio generino una caduta del Pil più ampia della riduzione del debito, essi anticipano un aumento – anziché una diminuzione – del rapporto debito/Pil. Il che li porta a richiedere anche un premio al rischio più elevato (anziché più basso). Se il governo reagisce con ulteriori manovre di aggiustamento, la situazione si avvita in una spirale depressiva. L’intera logica delle politiche di austerità è quindi basata su una scommessa: che le politiche fiscali restrittive non deprimano l’economia.

La relazione tra stabilizzazione del debito e crescita economica

L’impatto delle manovre fiscali sul rapporto debito/pil dipende dalla seguente condizione:

(3) [ 1 – (moltiplicatore fiscale) d in (t-1) ] = 1

Il “moltiplicatore fiscale” (m) misura la reattività del Pil a diminuzioni di spesa pubblica e/o ad aumenti di tasse, cioè a politiche di bilancio restrittive. L’ipotesi implicita nelle ricette neo-liberiste di aggiustamento è che il “moltiplicatore fiscale” sia sempre inferiore all’unità (m = 1) , cioè che l’effetto di riduzione del debito domini sul rallentamento della crescita economica, riducendo cosi’ la dinamica del rapporto debito/pil. Se il “moltiplicatore fiscale” fosse infatti maggiore di 1 (m > 1), l’effetto dominante di una manovra di bilancio restrittiva sarebbe quello di deprimere la crescita del Pil più che proporzionalmente rispetto alla riduzione del debito, con l’effetto perverso di fare aumentare il rapporto debito/pil anzichè di ridurlo.

L’effettivo valore del “moltiplicatore fiscale” non è facile da identificare empiricamente. Vi è tuttavia evidenza che il valore del moltiplicatore fiscale (inferiore ad 1 in condizioni normali), possa invece collocarsi significativamente oltre l’unità in fasi come l’attuale, in cui prevalgono tendenze recessive ed in cui i tassi nominali ufficiali sono prossimi a zero.

Nelle simulazioni orginarie del MEF (vedi la terza figura), il moltiplicatore implicito assunto a base delle stime è molto basso (0,47 nella media del quadriennio 2012-2014), con un impatto negativo sulla crescita del Pil concentrata sul primo anno. Alcuni tuttavia presumono che il valore del moltiplicatore per l’economia italiana possa oggi essere molto più elevato e collocarsi tra 1,5 e 26. Se questo fosse davvero il valore effettivo del moltiplicatore fiscale, ci si dovrebbe attendere che le manovre 2011 (quelle di luglio-agosto del governo Berlusconi e quella aggiuntiva del governo Monti) possano avere un impatto enormemente più violento sulla crescita del Pil di quanto previsto nelle proiezioni ufficiali: con il moltiplicatore a 1,5, ad esempio, la crescita reale del Pil crollerebbe nel 2012 e nel 2013 (-4,9% e -2,1% rispettivamente) e tornerebbe leggermente positiva solo nel 2014 (+0,7%).

In questo caso il pareggio di bilancio verrebbe raggiunto nel 2012, ma gli aggiustamenti cumulati di Berlusconi + Monti non sarebbero più sufficienti a stabilizzare il rapporto debito/Pil prima del 2014. Il rapporto debito/Pil infatti continuerebbe a crescere per via della caduta del Pil (salendo al 126% nel 2012 e al 129% nel 2013 e si stabilizzerebbe al 126,7% nel 2014, anzichè scendere al 115,7%).

Al sostanziale fallimento dell’obiettivo di stabilizzazione si associerebbero però costi produttivi e sociali enormemente più pesanti di quelli preventivati. La perdita cumulata di Pil nominale sarebbe tra il 2012 ed il 2014 di ben 129 mld di Pil rispetto allo scenario previsto dal governo Monti (1.564,3 mld anzichè 1.693,7mld).

Per fortuna il moltiplicatore fiscale è una misura grezza e incerta. Ma il rischio c’è.


Allegati: Noera_YouInvest_Impatti delle manovre fiscali.pdf

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