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Next Generation EU: usarlo bene significa ridurre il gap con l’Ue

Secondo Prometeia, l’utilizzo dei fondi accompagnato da riforme strutturali consentirebbe al Pil di crescere del 10,5% nel 2030 rispetto al 2019. In caso contrario invece salirebbe solo del 5,8%, col debito pubblico ancora al 151%.

Next Generation EU: usarlo bene significa ridurre il gap con l’Ue

Utilizzare bene i fondi del Recovery Plan, o per dirla più correttamente del Next Generation EU, frutterebbe all’Italia una crescita del Pil di oltre 10 punti percentuali da qui al 2030, rimettendosi in linea con il ritmo degli altri Paesi dell’Unione europea. A stimare questo scenario è un rapporto del centro studi bolognese Prometeia, che però specifica: per recuperare il divario servono “le riforme e un salto di qualità in termini di produttività, che consentirà di accelerare il recupero nei prossimi tre anni (Pil +3,8% medio annuo tra il 2021 e il 2023)”. Tutto questo partendo da una situazione molto pesante, con l’economia che sarà riportata ai livelli pre-crisi solo alla fine del 2022, cioè tra quasi due anni. “La pandemia – scrive Prometeia – lascia in eredità per l’Italia la peggiore recessione in tempi di pace, con una caduta dell’8,9% del Pil nel 2020″.

Nel corso dell’anno passato sono stati bruciati 150 miliardi di euro di Pil, 108 miliardi di consumi, gli occupati sono 435mila in meno, l’indebitamento pubblico è passato dai 27,9 miliardi a cui era sceso nel 2019 a 156,3 miliardi. Però le politiche espansive degli ultimi due governi hanno già prodotto una prima ripresa, che sarà ulteriormente rafforzata con l’arrivo dei fondi europei. “Faremo peggio di altri paesi (Germania e Francia) – prosegue lo studio – ma molto meglio rispetto alle due crisi passate, quando i livelli pre-crisi non erano ancora stati recuperati nel 2019, a oltre 10 anni dallo scoppio della prima. In questo contesto, lo spread Btp-Bund potrà scendere sotto i 90 punti base a fine 2023″. Nel dettaglio Prometeia traccia uno scenario ipotetico: “All’Italia sono potenzialmente allocati 209 miliardi di euro da spendere in sei anni. Per l’Italia Prometeia stima che le spese aggiuntive (dunque non quelle già programmate) finanziate con questi fondi siano pari a 120 miliardi, utilizzando tutti i sussidi a fondo perduto disponibili (81 miliardi) e circa 40 miliardi di prestiti, cui si ricorrerebbe però solo a partire dal 2024”.

Un ammontare totale in linea con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che tuttavia è ancora in corso di definizione e che Prometeia stima che nel 2021-2023 sarà realizzato per circa il 70% di quanto pianificato: “Ciò in ragione delle criticità nell’attuazione delle opere, evidenti nei ritardi del passato”. Il vero impatto decisivo del Next Generation EU sarà invece nel medio-lungo periodo. Ponendo come orizzonte temporale il 2030, Prometeia traccia due scenari possibili. Quello in cui l’utilizzo dei fondi viene accompagnato da riforme strutturali (“avviando riallocazioni verso settori più innovativi così favorendo una ripresa della produttività”) si tradurrebbe in un aumento del Pil italiano del 10,5% rispetto a quello del 2019, cioè una crescita media annua intorno al 2%, con un debito pubblico al 135% del Pil. “Una prospettiva cautamente ottimista che, nella seconda metà del decennio, vede una crescita del Pil pro-capite in linea con quella dei maggiori paesi dell’area”.

Nel secondo e più negativo scenario, invece, il potenziale di risorse messe in campo dall’Europa non è colto a pieno, impedendo all’economia italiana di colmare il gap di crescita che si è progressivamente formato negli ultimi 25 anni: il Pil secondo i calcoli e le previsioni di Prometeia sarebbe così superiore al livello 2019 solo del 5,8%, con il debito pubblico ancora al 151% del Pil. “Uno scenario non drammatico, ma tale comunque da relegarci, forse definitivamente, tra le economie deboli dell’area”, scrive impietosamente la ricerca.

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