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Neoliberismo, la sua vera origine e la sua crisi

Un recente libro dello storico Quinn Slobodian offre una tesi originale sulla nascita e sui reali obiettivi del neoliberismo e sulla sua attuale crisi che merita di essere discussa

Neoliberismo, la sua vera origine e la sua crisi

La crisi che sta attraversando la società occidentale, una crisi economica, politica e morale, è sempre più profonda e, ormai, quasi cronica. Seppure molto se ne discuta e se ne scriva, resta alquanto difficile la ricerca di una strada da imboccare che possa lasciare intravedere una sua soluzione, seppure lenta e graduale. Indirettamente, ma molto originalmente, se ne occupa il saggio “Globalist, The End of Empire and the Birth of Neoliberalism” dello storico del Wellesley college (Massachussets), Quinn Slobodian, uscito a fine 2018 senza suscitare quel clamore che avrebbe potuto e che ci si sarebbe attesi e del quale, soltanto poche settimane fa, se ne è occupato “Foreign Affairs”, l’autorevole rivista statunitense dedicata alle relazioni internazionali, come prezioso contributo all’altro grande tema che attraversa sia gli Stati Uniti che l’Europa, quello del rapporto tra populismi e democrazia.

Il testo di Slobodian ripercorre la storia del neoliberismo e, anticipandone anche la data di nascita, propone – questo l’aspetto più originale – una lettura sulla sua natura del tutto differente rispetto alle tesi consolidate. Lo storico canadese, esperto di Germania moderna, fa, infatti, risalire la nascita del neoliberalismo non dall’autonarrazione che ne fecero i membri della Mont Pèlerin Society (tra i quali ben otto premi Nobel) del 1947, ma circa quarant’anni prima, alla costruzione della Camera di commercio di Vienna e all’opera di Ludwig Von Mises di inizio Novecento.

Mises, come l’ordoliberale tedesco Wilhelm Röpke che gli fece eco con ancora maggiore convinzione, considerava il crollo dell’impero asburgico una minaccia per la proprietà privata poiché questa era garantita in passato dall’imperatore mentre con la democrazia poteva essere messa in discussione e sotto controllo dai singoli stati-nazione che si andavano costituendo. Ecco, dunque che, sempre secondo Slobodian, il neoliberalismo austriaco sarebbe nato, non per cercare di abbattere lo stato, quale entità pubblica di freno al libero svilupparsi dell’economia, ma per creare un nuovo ordine internazionale ben strutturato e in grado di salvaguardare la proprietà privata dalle ingerenze dei singoli stati, una reazione, dunque, al crollo dell’impero asburgico. Il proliferare degli stati nazione significava, infatti, una “nuova pretesa di sovranità popolare”. Era dunque necessario escogitare una soluzione. Lasciare che i mercati agissero autonomamente non sarebbe stato più sufficiente, servivano istituzioni in grado di tutelare e proteggere quegli interessi messi in discussione dalla democrazia. In realtà, nel 1942 Wilhelm Röpke lo scrisse senza mezzi termini: “Laissez-fare sì, ma in un quadro stabilito da una polizia di mercato permanente”. 

A differenza della vulgata comune che descrive i neoliberisti come campioni del mercato contro governi e stati, Slobodian sostiene che essi hanno, al contrario, abbracciato la governance a livello globale con l’obiettivo, realizzato, di superare i confini nazionali e neutralizzare la politica all’interno dei confini. A poco a poco, nonostante le resistenze incontrate a ogni svolta, contribuirono a costruire un ordine mondiale guidato dal principio del “primo capitale”. Alla vigilia della seconda guerra mondiale, compito dei neoliberisti fu quello di ricreare qualcosa di simile all’impero degli Asburgo e proiettarlo su un’area la più vasta possibile. Fu, dunque, un impulso reazionario – annullare la disintegrazione degli ordini imperiali – che spinse i neoliberisti ad agire e a distinguerli dai liberali classici, come John Stuart Mill, che immaginavano un mondo che avrebbe marciato verso un futuro di integrazione sempre più stretta riponendo la propria fiducia nel progresso storico al contrario dei neoliberali che, ironicamente, speravano di recuperare un idilliaco passato teorizzando uno stringente sistema di regole internazionale, senza politica e senza democrazia.

Il successo dei neoliberisti che ha avuto inizio negli anni ’50 per raggiungere l’apice del consenso negli anni ‘70 e ’80, getta, dunque, per Slobodian, una luce inquietante su molte delle regole e istituzioni internazionali che costituiscono l’ordine globale di oggi e che, comunemente ma forse falsamente, vengono considerate espressione della democrazia e del progressismo, avendo come vero obiettivo non quello “di liberare i mercati ma quello di incatenarli” per proteggere il neocapitalismo globale e plasmando, a questo fine e solo a questo, le maggiori organizzazioni internazionali.

Si può, ovviamente, condividere o meno la suggestiva tesi proposta. Di certo essa rappresenta un’utile spunto di riflessione per capire e tentare di interpretare analiticamente la crisi, questa indiscutibile, che la globalizzazione neoliberista ha prodotto nella nostra società occidentale portando con sé una crisi, altrettanto grave, delle maggiori istituzioni europee e mondiali e una manifesta impopolarità delle stesse, che spesso induce a parlare con troppa facilità e con un ingiustificato disprezzo di populismo e populismi.  

°°°°L’autore è il Segretario Generale dell’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari

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