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Mutui: è il momento giusto, ma conviene il tasso fisso o il variabile?

Grazie alla politica della Bce i tassi sui mutui sono ai minimi e probabilmente rimarranno bassi anche nei prossimi anni: in queste condizioni è meglio la certezza del fisso o il risparmio più consistente del variabile? I criteri da tenere in considerazione per scegliere sono diversi, ma esiste anche una terza possibilità da non sottovalutare.

Mutui: è il momento giusto, ma conviene il tasso fisso o il variabile?

Chi ha intenzione di comprare casa sente ripetere da più parti che questo è il momento migliore per muoversi. I prezzi degli immobili sono scesi e gli interessi sui mutui viaggiano ai minimi storici, mentre la Bce – oltre ad aver quasi azzerato il costo del denaro – ha dato il via al Quantitative easing, che aumenterà la liquidità a disposizione delle banche, e quindi (in teoria) la loro capacità di fare credito. Ma tutto questo cosa significa per chi vuole accendere un mutuo? E, soprattutto, oggi conviene scegliere il tasso fisso o il variabile?

COSA OFFRE OGGI IL MERCATO?

Per capire meglio, partiamo dai numeri. “Al momento, i tassi fissi vanno dal 2,96% al 3,40%, ma la maggior parte si concentra fra il 3% e il 3,20% – ha detto a FIRSTonline Roberto Anedda di MutuiOnline.it, il primo broker online italiano del settore –. Per quanto riguarda il variabile, si prende in considerazione quasi esclusivamente lo spread, perché l’Euribor è quasi a zero: andiamo quindi dall’1,54% al 2,01%”. L’indice Euribor esprime la media dei tassi a cui le principali banche dichiarano di prestarsi denaro fra loro (una sorta di tasso base), mentre con il termine “spread” s’intende, in questo caso, il costo fisso richiesto dalle banche per concedere il mutuo. La somma di queste due componenti produce il tasso variabile. 

COME CAMBIERANNO I TASSI IN FUTURO?

A leggere solo i valori percentuali, sembra scontato scegliere il variabile, come del resto ha fatto il 77% di chi ha acceso un mutuo in Italia nel 2014. Certo, rispetto alla stabilità del fisso, il variabile comporta sempre un margine di rischio, soprattutto considerando che uno degli obiettivi centrali del Qe è la lotta alla deflazione e l’innalzamento dell’inflazione attorno al 2%. “Ma nei prossimi due anni i tassi dovrebbero rimanere stabili a un livello molto basso – ha continuato Anedda –. Ad oggi, si prevede un aumento massimo di un punto da qui a cinque anni. Per quel che concerne i soli spread bancari, invece, c’è margine per un’ulteriore riduzione. Anche questo mese le banche hanno operato ribassi, in alcuni casi scendendo all’1,50%. Ci aspettiamo che entro la fine dell’anno si possa arrivare nell’area fra 1,40 e 1,50%. Solo a quel punto sarà difficile immaginare nuovi tagli”.

Diversa l’opinione di Luca Dondi, direttore generale della società di ricerca e consulenza Nomisma, che ritiene verosimile “la prospettiva di un aumento dei tassi nell’ordine di un punto percentuale, o qualcosa meno”, già nei prossimi “due-tre anni”. Secondo Dondi, “nel 2015 i tassi rimarranno bassi, ma è inevitabile che su un orizzonte temporale più lungo ci possano essere dei movimenti al rialzo”, anche se “arriveranno in modo graduale”.

OCCHIO AI TASSI REALI, ASPETTANDO L’INFLAZIONE

Fin qui abbiamo parlato dei tassi nominali, quelli scritti sui contratti. Il valore più importante per chi accende un mutuo è però un altro: il tasso reale, che si ottiene depurando il nominale dalla dinamica dei prezzi. In sostanza, l’inflazione è un vantaggio per i debitori, perché ogni anno erode una parte del costo del debito. Tuttavia, ora siamo in deflazione (-0,6% annuo a gennaio, il risultato peggiore dal 1959, seguito da un -0,1% a febbraio) e il meccanismo funziona al contrario, danneggiando chi deve restituire il denaro. Secondo Anedda, “con un’inflazione pari a zero, il 3% corrisponde a un 5% reale. Ma il minimo dei tassi fissi era stato del 4% reale nel 2010, e al di là di quella finestra i tassi erano sempre stati più alti”. Se però nei prossimi anni la Bce riuscisse realmente a far ripartire l’inflazione, allora chi ha acceso oggi un mutuo a un tasso fisso del 3% otterrebbe davvero un risparmio sugli interessi di proporzioni storiche.

COME SCEGLIERE FRA TASSO FISSO E VARIABILE    

Meglio il tasso fisso, quindi? Dipende. L’unica certezza è che le certezze non esistono: è impossibile scegliere un mutuo ed essere sicuri al 100% di aver imboccato la strada più conveniente. Ciononostante, qualche piccola strategia è possibile. 

“Con i tassi a questi livelli, e considerando che la Bce ha assicurato che rimarranno bassi ancora a lungo – ha detto a FIRSTonline Francesco Avallone, vicepresidente di Federconsumatori –, è preferibile scegliere un tasso variabile. Intanto, si comincia a risparmiare nei primi anni. Dopodiché, si può fare la rinegoziazione, magari passando al fisso, a seconda delle condizioni di mercato”.

Dondi, invece, sottolinea che “il tasso fisso non è mai stato così conveniente”, ma “non essendo previsti particolari rialzi dei tassi nel medio termine, nemmeno la scelta di un variabile risulterebbe azzardata”. In ogni caso, anche secondo il dg di Nomisma “bisogna tenere presente che, a differenza del passato, il passaggio tra fisso e variabile non è più impossibile. Alla luce della modifica dei tassi, le condizioni del mutuo possono essere riviste grazie alla rinegoziazione con la propria banca, alla surroga (di cui abbiamo parlato qui, ndr) o alla sostituzione (che si differenzia dalla surroga perché implica anche la richiesta di un importo superiore rispetto a quello che rimarrebbe da pagare, ndr)”. 

Queste posizioni tengono conto dell’ammortamento “alla francese” praticato dalla maggior parte delle banche italiane. In sostanza, l’ammontare della rata rimane costante, ma cambia la sua composizione: la quota interessi è massima all’inizio e cala progressivamente, mentre in parallelo cresce la quota capitale. Per questa ragione, il vantaggio di un tasso basso ha un peso molto maggiore all’inizio del mutuo. “Chi sceglie un tasso fisso ha la sicurezza di sapere quanto pagherà per l’intera durata – ha aggiunto Avallone –, ma è anche sicuro di pagare molto di più nei primi anni”.

Secondo Anedda, però, “prevedere le rinegoziazioni future è sempre complicato, perché non si è mai certi di quali saranno i livelli dei tassi. Ciò vale soprattutto se parliamo dei fissi, che guardano al lungo periodo, quindi verosimilmente saliranno prima dei variabili. E’ possibile che già l’anno prossimo i migliori tassi fissi saranno superiori a quelli che abbiamo adesso”.

Insomma, per scegliere è sempre necessario valutare il tipo di mutuo che si vuole accendere e il peso che questo ha sul reddito.

Il fisso

Il tasso fisso, sostiene Anedda, è consigliabile “a chi ha in ogni caso la necessità di tenere sotto stretto controllo le proprie uscite finanziarie. Lo scarto rispetto al variabile è talmente ridotto (circa un punto e mezzo) che si può pensare di accettare questa maggiorazione come un’assicurazione da eventuali rischi futuri. Si paga di più per avere la sicurezza di una rata costante e comunque bassa”. 

Il variabile

Anedda consiglia invece il variabile nei casi in cui “il mutuo abbia un peso limitato sul bilancio familiare (per le caratteristiche del prestito o per il reddito) e quindi, anche se domani i tassi dovessero salire, la situazione potrebbe comunque essere gestita con una certa tranquillità”.

La terza via: il variabile “prudente”

Esiste infine una strategia intermedia, ovvero “scegliere il variabile, ma fin dai primi anni mettere da parte la differenza che esiste rispetto alla rata con tasso fisso – spiega ancora Anedda –, creando una riserva a cui attingere in caso d’improvviso aumento dei tassi. In questo modo, si monetizza il vantaggio garantito dal variabile, ma allo stesso tempo ci si protegge dai rischi”. E se poi questa rete di protezione si rivelasse inutile, rimarrebbe una discreta somma da spendere o investire altrove.

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