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Moncler, Ferragamo, Cucinelli a Piazza Affari e Prada a Hong Kong sul trampolino di lancio dell’Ipo

A Piazza Affari tornano le matricole: cinque pronte al decollo – Dominano la scena le case di moda, da Ferragamo a Moncler e a Cucinelli, mentre Prada sceglie di quotarsi a Honk Kong – In pista anche Sem e Fedrigoni, mentre Lima e Sea scaldano i motori – Gervasoni (Aifi): “La Borsa è il naturale traguardo del private equity”

Moncler, Ferragamo, Cucinelli a Piazza Affari e Prada a Hong Kong sul trampolino di lancio dell’Ipo

Saranno almeno cinque, contro le due (Tesmec e Enel Green Power) di tutto il 2010. Sembra quindi dare segni di ripresa il mercato azionario italiano. Eccessivo però parlare di “boom”. Il numero dei nuovi debuttanti è deludente rispetto alle attese di inizio anno, e molto lontano da quello, a cifre doppie, delle matricole londinesi. Né lascia ben sperare la vicenda Rhiag. La società, leader in Italia e nell’Est Europa nella vendita e nella distribuzione di componenti per auto, trattori e veicoli industriali, avrebbe dovuto aprire le danze proprio in questi giorni. Ma dopo il collocamento, terminato il 25 maggio, la società ha sventolato bandiera bianca. Ai prezzi proposti, da un minimo di 3,2 euro per azione a un massimo di 3,9, gli investitori istituzionali si sono mostrati poco favorevoli alla sottoscrizione: la domanda arrivata ai coordinatori Banca Imi, Goldman Sachs e Mediobanca non è dunque stata sufficiente.

Intanto altre matricole sono in attesa dell’autorizzazione firmata Consob. Tra queste la Sem, società che si occupa della produzione, dell’imbottigliamento e della distribuzione di acque minerali. Grande suspence poi per i marchi dell’abbigliamento luxury, Moncler e Ferragamo. Più “internazionale” la decisione del simbolo lusso-moda del made in Italy, Prada, che ha tradito la sua italianità preferendo il listino di Hong Kong. La scelta, probabilmente orientata a ottenere una valutazione più alta, potrebbe, secondo alcuni, penalizzare gli investitori europei e americani. Vicino il battesimo anche per Fedrigoni, società attiva nel settore della produzione cartaria e dei prodotti autoadesivi, dai fogli da disegno Fabriano alle etichette adesive delle più prestigiose bottiglie di champagne. Sulla piazza milanese verrà collocato anche il gruppo Brunello Cucinelli, marchio umbro del cashmere, affiancato da Merrill e Mediobanca. Ha già presentato domanda alla Consob Lima Corporate, gruppo friulano di protesi ortopediche.

Nella lista dei debuttanti anche la Sea, società che gestisce gli aeroporti di Malpensa e Linate. Il ritrovato interesse nei confronti del listino milanese, concentrato sulle mid-cap, ha una duplice spiegazione. Da un lato si tratta di un fattore stagionale. In questo periodo le società si mostrano al mercato con i risultati, magari incoraggianti, del bilancio 2010. Rhiag, nonostante il fallimento, aveva messo in cassa un fatturato di 429 milioni di euro, contro i 373 del 2009. Ricavi netti di 45,6 milioni per la Sem. Grandi i numeri di Fedrigoni, con un giro d’affari di 720 milioni. Fatturato in crescita in casa Moncler, il cui portafoglio comprende marchi come Henry Cotton’s e Coast Weber Haus. Ottima performance anche per Lima. L’azienda ha visto il proprio fatturato crescere del 35,5% in un anno a 95,7 milioni di euro nel 2010. Dall’altro lato l’apparente stabilità del mercato ha infuso negli investitori un nuovo senso di fiducia.

Senza pensare poi al rischio speculazione, sulla scia della strepitosa performance esibita da Linkedin a Wall Street. Il debutto record della vigilia, quando le azioni hanno raddoppiato il loro valore rispetto al collocamento di 45 dollari ad azione, ha fatto pensare a una nuova bolla speculativa. Ma il titolo ora è in piena discesa. Linkedin ha perso un ulteriore 5,06%, scendendo a 77.450 dollari, dopo essere calato per dieci giorni di seguito, tornando così ben sotto al prezzo del primo giorno di quotazione. La società statunitense ha conquistato comunque il posto di primo grande social network quotato sul listino Usa, superando nella tempistica il rivale Facebook.

Il momento favorevole del mercato però verrà sfruttato, più che per portare nelle casse delle società risorse fresche, per consentire a fondi e famiglie controllanti di disinvestire dopo lo stop di due anni e mezzo, causa crisi nera. Come spiega il direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del Private Equity e Venture Capital), Anna Gervasoni, “quello dell’Ipo è il percorso naturale di uscita da un investimento di private equity. A condizione però che il mercato sia promettente”. Stabilità delle quotazioni e buoni volumi di negoziazione i requisiti fondamentali. “Nel 2010 – continua -, circa una settantina di aziende del Private Equity erano pronte alla quotazione. A non essere pronto, evidentemente, era il mercato. E’ importante innescare un processo di semplificazione delle procedure di accesso, che incentivi il lancio sul mercato delle aziende italiane”. Solo la Sem, al momento, ha un progetto interamente costituito da un aumento di capitale. Per quanto riguarda le altre società, in poche parole, i proventi della quotazione serviranno quindi a riempire le casse dei soci attuali. Per Moncler, controllata dai fondi Carlyle (48%), Remo Ruffini (38%) e Brands Partners (13,5%) è stata deliberata l’emissione fino a un massimo di azioni per cinque milioni nominali su un capitale sociale salito da uno a cinquanta. Nessun aumento invece per la maison fiorentina della famiglia Ferragamo.

La società toscana, che conta ormai più di cinquanta eredi, collocherà sul mercato il 25%. Resterà familiare la struttura della proprietà per Fedrigoni, ma non la gestione del gruppo, che ha previsto una quota significativa di aumento del capitale. Nel caso di Lima poi, l’offerta sarà composta in parte da un aumento di capitale, in parte dalla vendita di quote degli azionisti. Insomma, il mercato italiano sconta il fatto di non poter ancora contare su un pool di imprese attratte dalla Borsa. Un po’ perché il mercato stesso penalizza con il suo under price. Un po’ per l’ossessione della proprietà, ancora troppo ancorata nella mentalità imprenditoriale italiana. Un po’ perché molte imprese familiari hanno un patrimonio sufficiente. E’ difficile, allora, immaginare che questa tendenza possa invertirsi nel giro di pochi mesi o, al più, di qualche anno, ma i nuovi paradigmi della globalizzazione spingeranno prima o poi verso un cambio di passo.

Pubblicato in: News

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