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Mercati, la parola magica è “over”: Borse in stato di grazia, e se non fosse un fuoco di paglia?

Era da 7 anni che i mercati finanziari non vivevano un’estate così felice: i dubbi restano tanti e c’è il rischio di un improvviso eccesso di fiducia, ma stavolta i segnali di ripresa sono davvero incoraggianti – Gli Usa sono tornati a trascinare l’economia mondiale, mentre persino l’eurozona sta uscendo dalla recessione – Ecco lo scenario dei prossimi mesi.

Mercati, la parola magica è “over”: Borse in stato di grazia, e se non fosse un fuoco di paglia?

Over. Può essere questa la parola magica dei mercati finanziari al termine dell’estate più felice e propizia da sette anni a questa parte. Forse in queste quattro lettere sta la chiave per rispondere alla domanda più insistente: il rally delle Borse si esaurirà a settembre, tra problemi politici e finanziari? Oppure la stagione di grazie è destinata a proseguire?

Over, inteso come the crisis is over. Si moltiplicano i segnali per cui, sei anni dopo lo scoppio della crisi dei subprime, il mondo sembra aver superato il peggio. Gli Stati Uniti, innanzitutto, sono tornati ad essere il baricentro della crescita mondiale. La locomotiva americana si avvia a toccare una crescita del 3% entro la fine dell’anno, nonostante la permanenza dello scontro al Congresso sui tagli al budget che ha fortemente limitato l’intervento pubblico.

Il Giappone, seppur tra non poche difficoltà, sta prendendo velocità come dimostra l’incremento del pil (+2,6% nel secondo trimestre), ancor di più la ripresa dei consumi.

Anche l’Europa è tornata a crescere, come dimostrano i dati sul Pil dell’eurozona. E’ un decollo a macchia di leopardo: avanza la locomotiva tedesca, ma perde corpo l’Olanda dell’austerità al pari della Svezia che non partecipa all’euro. L’Italia resta con il segno meno, ma Portogallo e Grecia, a sorpresa, dimostrano che il fondo, probabilmente, è stato toccato.

Segnano il passo invece i Bric, i grandi protagonisti della prima parte del secolo. La Cina ha in pratica dimezzato il suo tasso di crescita: non più del 7,5% quest’anno, ancor meno nel prossimo futuro. L’India accusa grossi problemi: fuga di capitali, discesa della rupia, difficoltà ad attrarre nuovi capitali internazionali causa una struttura burocratica  che frena gli investimenti. Il Brasile accusa più di tutti la frenata dei prezzi delle materie prime. Gli investimenti industriali restano al palo o non mettono a frutto tutte le potenzialità per l’assenza di infrastrutture. Non realizzate negli anni delle vacche grasse. La Russia è in piena ritirata. La cappa autoritaria imposta da Vladimir Putin soffoca le energie imprenditoriali. La caduta dei prezzi del gas, che pesa sulle sorti di Gazprom, ha fatto il resto.

Insomma, il baricentro del mondo torna a spostarsi verso Ovest. Ma anche questo è un buon segno: la Great Depression non abita più negli Stati Uniti, ma neanche nell’eurozona.

Over, inteso come over-confidence.  Sì, l’eccesso di fiducia può essere il vero nemico del Toro, ammoniscono gli analisti. Certo, l’America ha grossi jolly da giocare: il sistema ha recuperato flessibilità ed è in grado di sfruttare appieno la rivoluzione del fracking, che consente agli Stati Uniti di ambire ad essere, in campo energetico, l’Arabia Saudita del XXI° secolo. Ma la ripresa Usa è fragile: la disoccupazione è ancora alta; la recessione, inoltre, ha profondamente modificato (in peggio) le caratteristiche del mercato del lavoro con il risultato che ripartono sono i consumi più modesti, ma sia Wal Mart (consumi popolar) che Macy’s (shopping voluttuario) segnano il passo. La ripresa, dal mercato immobiliare agli acquisti di auto, dipende dal livello dei tassi, ai minimi storici. Che potrà accadere con il tapering, ovvero la fine dei sostegni della Federal Reserve?

Non meno inquietanti le domande sull’Europa. Dal Sud Europa arrivano segnali positivi sul fronte della crescita. Tornano gli investitori internazionali (la quota di acquisti sui Btp passa dal 25 al 34%), il pil cresce in Portogallo e Grecia e così via. In questa cornice i grandi money manager di Merrill Lynch e Goldman Sachs hanno fatto il pieno nelle Borse dai prezzi più depressi (vedi Milano e Madrid). Ma, si domanda Mohamed El Erian di Pimco, siamo sicuri che a settembre, archiviate le elezioni tedesche con la vittoria di Angla Merkel, non si riaffaccino i problemi di sempre? Bruxelles e Berlino non hanno né intenzione né interesse di fare sconti sul fronte delle banche; la Grecia, a gennaio, avrà bisogno di nuovi capitali; il debito italiano resta l’incognita che può far saltare costruzioni ben più solide dell’attuale cominità d’Europa.

Insomma, guai a cadere nella trappola dell’eccesso di fiducia: le Borse possono fare retromarcia. Ma alcuni elementi sembrano aimentare un moderato ottimismo per la ripresa: non sarà un autunno in rosa, ma nemmeno nero come quello degli anni passta. Si vedrà se prevarrà una tonalità grigia o più chiara e luminosa. Per ora prendiamo atto che:

1) L’estate ha registrato un robusto recupero dei mercati finanziari dell’Ovest, grazie all’ossigeno procurato dalle banche centrali, Fed e Bce in testa. Il trend, partito da Wall Street ha prima contagiato il Giappone, ora ha varcato l’Atlantico. E’ ripartita per prima la Borsa di Francoforte, ora tocca a Madrid e Milano.

2) Il fenomeno ha investito il mercato del debito. In vista di un cambio delle strategie monetarie della Fed, necessario dopo la ripresa dell’economia per evitare lo scoppio dell’inflazione, i tassi dei T bond sono ai massimi da due anni. Un fenomeno analogo sta interessando la Germania: mercoledì il decennale tedesco è risalito ai massimi da due anni, nonostante che il Tesoro di Berlino abbia rinunciato a piazzare una parte dei titoli all’asta per evitare strappi ulteriori. A Wall Street l’attesa del tapering ha già spinto i tasso del T bond decennali al 2,75%.

3) Il rialzo dei rendimenti fa prevedere una frenata delle Borse: se aumentano i rendimenti dei bond, i prezzi delle Borse appaiono meno invitanti, a meno di strappi al rialzo nei profitti che non si vedono nei bilanci.

4) Il discorso è diverso per l’Europa mediterranea: la minor pressione sull’eurozona riduce il premio al rischio richiesto dagli investitori per scommettere su Btp e Bonos spagnoli. Un anno fa, quando lo spread era a 570 punti, il governatore della Banca d’Italia avvertiva che i fondamentali giustificavano una forbice di 200 bp a danno del Bel Paese nei confronti della Germania, il resto era il sintomo di un male europeo. Oggi lo spread si avvicina ai 200 punti. Ovvero: il malessere europeo svanisce quello italiano resta immutato. Ma Piazza Affari, dopo anni di depressione, ha ancora molta strada da fare per raggiungere livelli paragonabili alla concorrenza: tlc, banche, imprese industriali sono ancora a buon prezzo.

5) Vanno privilegiati i titoli più esposti al mercato americano. Ma chi ama le operazioni contrarie potrebbe anticipare la ripresa delle utilities: i consumi interni potrebbero risalire.

Il quadro internazionale, insomma, una volta tanto appare propizio. Ma non si sa per quanto. Per questo sarà importante saper sfruttare la finestra di opportunità offerta dai mercati: il tasso medio sui BoT è crollato dal 2,18% del 2012 allo 0,91% dei primi sette mesi di quest’anno. Piazza Affari, dall’inizio di luglio, ha recuperato il 33 per cento circa, ma resta ancora lontana (basti il caso di Telecom Italia) dai prezzi dei competitor. Sull’altro piatto della bilancia, però, c’è la straordinario autolesionismo della politica italiana. Un tormentone che non è mai over. 

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