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Meloni 2.0, più interventismo, più statalismo e meno mercato: banche, brividi da patrimoniale e ritorno del Tesoro in Telecom

Dalla extratassa sulle banche all’ombra della patrimoniale e al ritorno del Tesoro in Telecom, per non parlare delle nuove regole della grande finanza, l’estate ha messo a nudo tutta l’approssimazione e il dilettantismo del Governo Meloni con una spiccata propensione per l’interventismo e lo statalismo che ai mercati non sono proprio piaciuti

Meloni 2.0, più interventismo, più statalismo e meno mercato: banche, brividi da patrimoniale e ritorno del Tesoro in Telecom

“Capitalismo parrocchiale contro il libero mercato”, “Tecnopopulismo”, “Populismo in cammino”, “Goffo istinto da Robin Hood” o “Populisti nelle cose minori e pragmatici nelle cose minori” ? L’estate calda della premier Giorgia Meloni sui temi bollenti dell’economia e della finanza ha scatenato una vera e propria ridda di giudizi – a partire dai mercati – sulla nuova fase del Governo Meloni che contiene clamorosi svarioni e una buona dose di ambiguità difficile da classificare. Al di là della battaglia sul salario minimo, la pietra dello scandalo è stata l’extratassa sui profitti delle banche, lanciata autolesionisticamente a sorpresa anche se tardivamente ridimensionata, ma anche i brividi da patrimoniale corsi in Parlamento e la resa davanti ai poteri forti dei tassisti, le ambiguità sulle nuove regole di corporate governance che disegneranno il volto del capitalismo italiano per arrivare al ritorno dello Stato in Telecom impongono una rivisitazione del profilo del Governo Meloni verso il mercato. Nei suoi primi mesi la Meloni è stata bicefala: prigioniera dei fantasmi della destra reazionaria sui temi identitari (a partire dai migranti) ma attenta a restare nel solco della politica di Mario Draghi in economia.

Meloni 2.0: qual è oggi la vera identità del Governo in economia? Tecnopopulismo o populismo a metà?

Ma oggi qual è il vero identikit della Meloni? Siamo di fronte al “tecnopopulismo“, cioè a uno stile di governo populista nelle cose minori e pragmatico in quelle essenziali, come scrisse benevolmente qualche mese l’editorialista del Figaro, Nicolas Baverez? Ma, al di là del modesto gettito che produrrà (dovevano essere 7 miliardi e saranno al massimo 2), la tassa calata goffamente sulle banche si può davvero considerare un problema minore? Non la pensano così i maggiori economisti italiani – da Francesco Giavazzi a Lorenzo Bini Smaghi e da Carnevale Maffè (“Capitalismo parrocchiale contro il libero mercato”) a Giorgio Barba Novaretti (“Goffo istinto da Robin Hood”). E forse non ha torto il nuovo sito francese Le Journal.info, lanciato dall’ex Direttore prima di Nouvel Observateur e poi di Liberation, Laurent Joffrin che, in un’inchiesta sui populismi, distingue nettamente la posizione della Meloni da quella della Le Pen e definisce quello della premier italiana “un populismo a metà” e un “populismo in cammino” chiedendosi però quale sarà la destinazione finale.

Meloni 2.0, approssimazione e dilettantismo di un Governo che mira a durare più che a governare

Quel che traspare dalla politica della Meloni in economia e in finanza è una buona dose di approssimazione e talvolta di dilettantismo (come giudicare diversamente il contropiede subito in Parlamento da Nicola Fratoianni sulla patrimoniale ?) di un Governo che naviga a vista e che – come ricordò qualche mese su FIRSTonline il sociologo Franco Ferrarotti – “pensa a durare più che a governare”. Un Governo che di fronte a problemi che conosce poco (quale sarà la sua linea sul voto maggiorato nelle società quotate che, se reso obbligatorio, può capovolgere gli equilibri di potere ai vertici del capitalismo italiano ?) prende tempo ma non nasconde i suoi impulsi di statalismo e interventismo. Più Stato e meno mercato sembra il nuovo look di Meloni 2.0. Un discorso che vale per le banche ma vale anche per l’intervento in Telecom dove l’ingresso del Tesoro al 20% è certamente più sostenibile dei progetti di completa statalizzazione della prima compagnia telefonica italiana adombrati inizialmente da Fratelli d’Italia, ma è pur sempre il ribaltamento della privatizzazione di Telecom voluta nel 1997 dall’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi e poi tradita dall’Opa a debito firmata D’Alema.

Si può trarre una conclusione? In parte sì e in parte non ancora. L’impreparazione e il dilettantismo dei ministri della Meloni sono sotto gli occhi di tutti e certamente i rigurgiti di interventismo e statalismo hanno fatto perdere al Governo il favore dei mercati finanziari che per un Paese zavorrato dal debito pubblico non è il massimo. Però la vera prova arriverà tra poco quando il Governo, per soddisfare le promesse, dovrà trovare la bellezza di almeno 20 miliardi di euro per la manovra di bilancio? Dove li prenderà? Quando lo sapremo, capiremo quale sia la vera natura del Governo Meloni 2.0 in economia.

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