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Marco Sacco: il ristorante è un allegro teatro del mondo

Il grande Chef piemontese, due stelle Michelin, dalla scuola di Vergé, monumento del XX secolo, ai viaggi ‘di studio’ in oriente. Tutto per esaltare i sapori e i valori della Val d’Ossola e del Lago di Mergozzo

Marco Sacco: il ristorante è un allegro teatro del mondo

“La vita – diceva Charlie Chaplin – è un’opera di teatro che non ha prove iniziali… Quindi, canta, ridi, balla, ama, piangi e vivi intensamente ogni momento della tua vita… prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi”. Non sappiamo se Marco Sacco, Chef incoronato dalla Michelin con due stelle, con il suo ristorante “Il Piccolo lago” a Verbania, sul Lago di Mergozzo, un tempo unito al Lago Maggiore, abbia letto mai questa citazione del grande attore inglese, ma è certo che nella sua ultradinamica vita di cinquattraquattrenne di successo, ce l’ha messa tutta per vivere intensamente di emozioni. “Mi piace divertirmi – conferma – e far divertire fa parte del mio lavoro: è il mio modo di esprimermi, il ristorante diventa condivisione, partecipazione tra me e il mio pubblico. Tutto diventa teatrale e lo spartito lo decido io. Guardate, annusate, assaggiate, ascoltate, si va in scena”.

Il teatro della cucina Marco Sacco lo scoprì giovanissimo.  Figlio d’arte – i suoi genitori Gastone e Bruna, avevano aperto da giovani un ristorante a conduzione familiare in zona, poi avevano deciso di investire in un secondo ristorante più grande al quale avevano dato il nome di Piccolo Lago. Marco ha nove anni quando il padre lo fa entrare nel nuovo locale, il padre orgoglioso gli mostra il suo regno, lo prende in braccio poi lo appoggia su una cassa d’acqua mentre continua a cucinare.  Per Marco è come se si aprisse un sipario su una commedia fantastica, fatta di movimenti frenetici, di pentole, di fuochi, di fumi, di voci che si rincorrono: è immediatamente affascinato da quella fucina così coinvolgente di sensazioni, di colori, di profumi, di persone che vanno da una parte all’altra nervosamente. E’ una folgorazione: “ho sentito profumi – ricorda oggi – e mi sono affacciato su un mondo magico che non ho più abbandonato ed è così che con gli anni questa passione e diventa curiosità interesse e poi conoscenza”.

Da Campione di Windsurf a Campione stellato ai fornelli

Sacco, divenuto più grande, entra a gamba tesa in cucina, aiuta il padre e la madre, assaggia, sperimenta, crea, azzarda nuovi accostamenti, vuole impadronirsi di quel mondo che sente intimamente suo. Cerca nuove sensazioni e non solo in cucina. Scopre l’ebbrezza di volare sul Lago Maggiore con il windsurf, uno sport che qui è emozionante per la presenza pressoché costante di venti come l’Inverna, che soffia al pomeriggio dalla primavera all’autunno ed ha un’intensità di circa 10-12 nodi, o il vento del nord, il Favonio, o Fohn, il più amato dai surfisti che può toccare anche notevoli velocità. Come ha due minuti di tempo libero, il ragazzo prende sotto braccio la sua tavola e scorazza per tutto il lago facendosi rapire dal vento che gli da mille emozioni. E si fa subito onore, poco più che ventenne diventa un promettente campione piazzandosi bene in competizioni nazionali e internazionali.

Intanto gira il mondo per farsi le ossa, presso alcuni ristoranti stellati della Provenza e della costa francese fra cui l’altolocato Oasis membro delle prestigiose catene Relais&Chateaux, Les Grandes Tables du Monde e Maitres Cuisiniers de France, ristorante bistellato dei fratelli Raimbault a La Napoule l’esclusiva località di villeggiatura a due passi da Cannes dove approfondisce e si appropria dei principi basici organizzativi della grande cucina, la funzione della brigata, della gerarchia, dell’ordine. Ma non basta, l’ansia di crescere non è ancora sopita e così decide che è giunto il momento di volare alto. E un bel giorno bussa alla porta di Roger Vergé, scomparso pochi anni fa che sarà ricordato come uno dei massimi cuochi del XX secolo, padre fondatore della Nouvelle Cuisine che dal suo ristorante tristellato il Moulin de Mougins sulla Costa Azzurra ha imposto una vera e propria rivoluzione alla ristorazione francese.  Sacco non si fa intimorire da tanto nome e si presenta così: “Sono un giovane cuoco italiano che vuole capire cosa sono le stelle”.  Vergé rimane colpito dalla sua sfrontata determinazione, bonariamente lo accetta in cucina. Vi rimarrà tre anni. Tre anni di esperienze formidabili e ineguagliabili. Marco può toccare con mano che cos’è lo spettacolo dell’altissima cucina, dove tutto funziona come un orologio svizzero e come, poi, da questa geometrica architettura si realizzino capolavori gastronomici che toccano i sentimenti e tutti i sensi. Ma anche la Francia gli va stretta.  Seguendo i consigli di Vergé che a suo tempo aveva esplorato lontani territori culinari in Marocco, Algeria e perfino in Kenya, Sacco allarga ulteriormente i suoi orizzonti culturali. Non solo Kenya e souk maghrebini, come il suo maestro, ma anche estremo oriente dal Laos alla Corea, al Giappone a Myammar, fino a Shangai e Hong Kong. Ha voglia di scoprire non solo nuovi sapori, nuove materie prime, nuove spezie, nuovi condimenti, nuovi accostamenti, ma soprattutto nuove tecniche e metodi di cottura. E tutto questo bagaglio internazionale se lo porta sul Lago di Mergozzo, un’oasi ambientale, dove sono vietate le barche a motore, dove la natura viene rispettata e protetta dal Parco, coniugandolo, declinandolo in nuovi accostamenti. “Con i viaggi – dice – imparo dai maestri, dal territorio e dai nuovi sapori incontrati in giro per il mondo. Quando ritorno a casa la trasformazione è completa e nascono i miei piatti”.

Nel 1991 il padre Gastone scompare. Marco aiutato dal fratello Carlo e dalla madre raccoglie il suo testimone. Ha 28 anni, le spalle forti e le idee molto chiare. Il suo “Piccolo Lago” una palafitta sospesa sul bordo lago con una bellissima cucina a vista di acciaio, una vista mozzafiato sullo specchio d’acqua, quello di Mergozzo deve diventare un “sogno sull’acqua”, a un’ora da Milano, dove “a scandire il tempo devono essere la fantasia e la creatività”, un luogo dove curiosi del cibo e appassionati gourmet si incontrano per viaggiare con i sensi e l’immaginazione. Deve essere qualcosa in più di un semplice ristorante. Deve rappresentare un angolo di sospensione dal mondo, dove potersi perdere tra i sapori del territorio, un approdo di eleganza e relax.

Addio Windsurf, è ora di lavorare sodo e mettere a frutto tutto quello che ha appreso fino a quel momento. E da quel momento è tutto un bruciare le tappe.  Nel 2000 è scelto fra i finalisti al concorso Chef dell’anno. L’anno dopo, con il fratello Carlo, è chiamato a svolgere il ruolo di ambasciatore di prodotti ossolani in California. Nel 2004 arriva la prima Stella Michelin. Nel 2005 diventa uno dei fondatori del team Stelle del Piemonte. Marco Sacco comprende di aver imboccato la via giusta e insiste nel raffinare ancora di più i suoi procedimenti di cottura i suoi accostamenti, l’impatto scenico delle preparazioni, l’esasperata attenzione al mantenimento della qualità delle materie prime trattate. Così facendo convincere i giudici della Guida rossa che nel 2007 lo gratificano della seconda stella. Ma non sono solamente i giudici della Michelin ad apprezzare la sua raffinata e sorprendente cucina: la Guida Veronelli gli assegna il massimo punteggio e sempre nel 2007 viene invitato come MasterChef alle World gourmet, l’evento culinario mondiale di Singapore al quale partecipano i grandi della cucina mondiale. E’ la sua definitiva consacrazione.

Il suo mondo fra lago e montagne reinterpretato in chiave moderna

Il successo internazionale non attenua i battiti del suo cuore per il lago che lo ha visto crescere e non lo disancora – è il caso di dire – dai sapori del territorio che lo circonda, quello lacustre e quello delle valli montane. Il ristorante diventa come una sintesi della sua vita è la platea da cui ammirare tutto il mondo che ruota attorno al lago. Perché un lago – come diceva Henry David Thoreau il grande filosofo e poeta statunitense dell’inizio ‘800 – è il tratto più bello ed espressivo del paesaggio. È l’occhio della terra, a guardare nel quale l’osservatore misura la profondità della propria natura”.

La sua cucina diventa alla fin fine uno specchio in cui si riflette il grande amore dello chef per i laghi e le valli circostanti e per le materie prime e i materiali che ne fanno parte. “Il lago è la mia vita. Ho imparato prima a nuotare che a camminare. L’acqua stessa è la vita. Il lago è un microcosmo, qualcosa di chiuso, ma ha sempre un fiume che arriva al mare. E’ autonomo e indipendente ma, allo stesso tempo, è aperto al mondo. Come si fa a non amarlo?”

E ovviamente il pesce di acqua dolce diventa protagonista dei suoi piatti non solo per i suoi sapori (dimenticati) da riscoprire ma perché ha anche un valore sociale oltre che gastronomico avendo subito in questi anni una lenta e inesorabile crisi, di numeri, di immagine, di reputazione, con conseguenze drammatiche sul territorio e sulla sua economia. Una decadenza che ha significato perdita di aziende, di posti di lavoro, soprattutto di memoria, di cultura.

La sua cucina finisce così per portare la firma del suo territorio, la Val d’Ossola, che comprende tutto il triangolo fra il Lago Maggiore e la Valgrande, l’area selvaggia più grande d’Italia che Sacco reinterpreta in chiave moderna non temendo a volte di stupire, ma sempre fedele all’esaltazione dei suoi valori e sapori. Con il profumo dei boschi da cui trae linfa, arrivano sulla sua tavola i frutti rossi, le erbe spontanee, il crescione, il ginepro, gli asparagi selvatici, il finocchio selvatico, i topinambur, il tarassaco, le ortiche. E dai boschi arrivano anche le carni, quelle delle mucche di razza bruna alpina, rinomate per l’ottimo latte, e che in estate vengono spostate in montagna, delle pecore e delle capre, di piccoli allevamenti sparsi nella zona, i legni resinosi che mischiati con erbe locali e il ginepro servono per l’affumicatura della carne e del pesce mentre dalle montagne confinanti arriva la segale utilizzata per il pane. E anche materiali di quel territorio entrano nella sua cucina portando in tavola la memoria storica dei luoghi, i sassi del Toce, il fiume che sorge a 1800 metri in val Formazza per poi gettarsi nel lago Maggiore, che vengono raffreddati per servire il burro di Formazza, e la beola ossolana, la pietra tipica di questa zona, usata fin dal 1600 in edilizia per pavimentazioni e rivestimenti, che, riscaldata, diventa un sorprendente cestino per il pane.

Il suo menù è un susseguirsi di piatti che parlano e raccontano il suo teatro culinario: come “Dall’acqua…alla tavola pescando nei laghi, nei fiumi e nel mare che equivale a “Un’immersione” gustativa di cinque portate più dessert. Una proposta che incarna l’affezione dello Chef all’acqua in tutte le sue espressioni.  Fra le proposte della carta troviamo “Hamburger di trota del Mergozzo nella tradizionale “affumicatura ”, pane in cassetta all’aceto balsamico, cipolle in tempura”, “Flan di Bettelmatt (un formaggio prodotto artigianalmente e in pochi numeri negli alpeggi estivi esclusivamente sopra i 1.800 metri), “Leggera mostarda di pere, salsa di mirtilli di montagna speziati”, “Torrone di fegato d’anitra marinato al vino porto e armagnac in variazione di mela, cialda di polenta gialla” , “Lucioperca, composta di rabarbaro e schiuma della sua bottarga, snack di pesce, purea di carote”, “Costata tradizionale di razza piemontese cotta su brace di faggio, verdure e pomodori aromatizzati”. Insomma prendendo il temine a prestito dalla cartografia geografica si può dire che un pranzo al Piccolo Lago è come un rilievo a volo d’uccello su un fantastico angolo del Piemonte per molti versi da scoprire.

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