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Lvmh: crollo di Borsa, troppe acquisizioni e marchi in difficoltà suggeriscono Ipo o spin-off. I candidati

Lvmh: la situazione finanziaria del gruppo è solida. Il problema? I troppi marchi, ben 75, che lo rendono meno agile nella gestione. Il titolo è crollato, Arnault, 76 anni, non parla. Cosa pensano gli analisi

Lvmh: crollo di Borsa, troppe acquisizioni e marchi in difficoltà suggeriscono Ipo o spin-off. I candidati

Nelle cucine di Bernard Arnault si sta cercando la ricetta migliore per uno spezzatino, che potrebbe essere servito per il colosso internazionale del lusso Lvmh. Non va molto bene in questo periodo per il dirigente 76enne che ha costruito il suo impero cavalcando l’ascesa stellare del settore del lusso quando la ricchezza globale saliva alle stelle: ora invece sta attraversando quella che è probabilmente il peggiore periodo dei suoi 36 anni al timone.

Con il rapido declino del settore dei beni di lusso personali, che vale complessivamente 364 miliardi di euro, alcuni suoi rivali come Hermès, produttore di borse Birkin, oppure Compagnie Financière Richemont, proprietaria di Cartier, hanno dimostrato nei dati di essere più resilienti, rivelando chiaramente le debolezze di Lvmh.

Tutto lascia presagire che la situazione potrebbe non migliorare almeno nel breve termine. Addetti ai lavori, investitori e osservatori attenti delle sue attività hanno più volte rivelato problemi nel marchio Dior e nella divisione bevande alcoliche Moët Hennessy, e persino voci di problemi presso il mega-brand Louis Vuitton. D’altra parte gli osservatori evidenziano anche che alcune delle difficoltà di Lvmh sono da attribuire alla sua stessa natura: una serie di acquisizioni, tanto che i rivali hanno affibbiato ad Arnault l’appellativo di “lupo in cashmere, l’ha lasciata con oltre 75 marchi, rendendola poco maneggevole e difficile da gestire, mentre la mancanza di un chiaro piano di successione sta innervosendo gli investitori.

È da qui che analisti e persone vicine all’azienda sostengono l’opportunità di spin-off, per esempio della divisione wines & spirits o di alcuni brand più piccoli, oppure una ipo di asset non core come Sephora

Il titolo ha perso il 25% da gennaio, dimezzato dal picco del 2023

Il titolo ha perso il 25% dall’inizio dell’anno e si è quasi dimezzato rispetto al picco di aprile 2023, perdendo circa 221 miliardi di euro dal suo valore di mercato. Lvmh non è più tra i tre titoli più importanti in Europa, né è l’azienda francese con il maggior valore – un primato ora ironicamente detenuto dalla rivale Hermès, un’azienda che Arnault un tempo tentò, senza successo, di acquisire di nascosto. Circa un anno fa, Arnault era in cima alla classifica dei miliardari del Bloomberg Billionaires Index, la prima persona al di fuori del Nord America e l’unico magnate dei consumi a raggiungere l’apice. Il suo patrimonio netto ha raggiunto il picco di 231 miliardi di dollari a marzo 2024, superando quello di Elon Musk e Jeff Bezos. Lo stesso anno, Lvmh ha anche rubato la scena alle Olimpiadi di Parigi. Ora, Arnault sembra molto meno olimpionico e il suo patrimonio si è ridotto a circa 150 miliardi di dollari, a causa del crollo delle azioni di Lvmh.

Detto questo, la situazione finanziaria del gruppo è solida. Il rapporto debito/patrimonio netto, o gearing, è sceso a circa il 13% lo scorso anno dal 20% del 2021 e il flusso di cassa operativo libero ha raggiunto i 10,5 miliardi di euro nel 2024, in aumento di oltre un quarto rispetto all’anno precedente. Inoltre, la famiglia Arnault – che alla fine dello scorso anno deteneva il 49% del capitale e il 65% dei diritti di voto dell’azienda – si è lanciata in una serie di acquisti di azioni durante il crollo precipitoso delle azioni Lvmh.

Vini & liquori la prima candidata per uno spin-off

Se il problema è la colossale e variegata planimetria del gruppo, alcuni analisti ipotizzano la possibilità di spin-off o cessioni parziali. E la divisione vini e liquori è la prima candidata. Negli ultimi anni i margini di Moët Hennessy sono crollati per il rallentamento della domanda, scorte in eccesso ed errori nella strategia dei prezzi. Tanto che il business è passato dal generare circa 1 miliardo di euro di cassa nel 2019 a consumarne addirittura 1,5 miliardi nel 2024. Alcuni analisti di Bernstein, tra cui Luca Solca, sostengono che la divisione wine & spirits dovrebbe essere ceduta perché è diventata marginale rispetto al resto del gruppo. “Oggi genera utili oltre dieci volte inferiori rispetto al fashion & leather goods e ha logiche operative molto diverse, basate su distribuzione wholesale, innovazione limitata al packaging e comunicazione fortemente regolamentata, elementi poco sinergici con il modello di business di Lvmh”. Inoltre, sostengono, la presenza del gruppo nel settore degli alcolici tiene lontani molti investitori, soprattutto quelli attenti ai criteri esg, ostacolando il raggiungimento dello status di “absolute blue chip” che hanno altri grandi giganti del lusso.

Gli esperti di Bernstein indicano due possibili strade da seguire. Uno spin-off con distribuzione agli azionisti delle azioni della divisione wine & spirits, sul modello di quanto fatto da Richemont col tabacco, oppure la vendita diretta della quota di maggioranza a Diageo, che già detiene il 34% di Moët Hennessy. “Lo spin-off permetterebbe di evitare la vendita a multipli oggi depressi e di mantenere la proprietà francese, mentre la cessione a Diageo sarebbe più rapida ma comporterebbe criticità legate al prezzo, alla complessità finanziaria dell’operazione e al rischio di perdita di controllo su un asset storico” dicono gli analisti.

A sua volta Diageo ha i suoi grattacapi. Giusto ieri ha deciso di sostituire l’amministratore delegato Debra Crew dopo due anni infelici che hanno minato la strategia della distilleria di cercare di convincere i consumatori a passare a bevande più costose. Le azioni della società britannica sono crollate del 43% da quando Crew ha preso il controllo nel giugno 2023, un periodo che ha visto il produttore di whisky Johnnie Walker abbandonare un obiettivo di vendita di lunga data, emettere un profit warning e fare i conti con le tensioni commerciali innescate dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Nel mirino potrebbero finire anche maison più piccole del segmento fashion, considerate meno strategiche e meno rilevanti per gli utili, ma che assorbono comunque risorse manageriali. Non è un caso che di recente sia stato chiuso il marketplace 24S e in passato siano stati venduti marchi poco performanti come Off-White e Stella McCartney.

La cosmetica di Sephora: meglio dentro o fuori?

Nel mirino c’è anche il colosso globale della cosmetica. “Anche Sephora, che è probabilmente non essenziale, potrebbe non avere senso a lungo termine” dice Erwan Rambourg, analista di Hsbc che vede un modello di business diverso da quello delle maison del lusso: gestione retail, margini più bassi e logiche operative più vicine alla grande distribuzione che all’haute couture. Tra l’altro, indiscrezioni riportano che Sephora era già stata valutata in vista di una quotazione ad Amsterdam nel 2021. Su questo punto dissentono invece gli analisti di Bernstein: “Non credo che abbia senso separare Sephora, viste le sinergie con la divisione perfumes & cosmetics” osserva Luca Solca.

I problemi giudiziari: i casi Loro Piana e Dior

I problemi di casa Arnault arrivano anche in ambito giudiziario. Un tribunale di Milano ha sottoposto la controllata Loro Piana a sorveglianza speciale per un anno, sostenendo che l’azienda non è riuscita a impedire ai subappaltatori di sfruttare i lavoratori migranti. Secondo i procuratori, in alcune fabbriche italiane le ore di lavoro superavano gli standard di legge, i dipendenti dormivano nei reparti di produzione e ricevevano una paga inferiore al minimo legale italiano, e che Loro Piana ometteva i controlli di due diligence. L’azienda del cachemire di alto livello ha confermato di essere stata informata dal tribunale di Milano e che collaborerà pienamente con le autorità, affermando di aver interrotto tutti i rapporti con il fornitore interessato in meno di 24 ore dopo essere stata informata dell’esistenza di subappaltatori. Anche Dior ha avuto problemi in Italia lo scorso anno, dopo che alcuni dei suoi subappaltatori sono stati accusati di sfruttare lavoratori senza documenti per ridurre i costi. Il marchio ha risolto la questione il mese scorso, ma non prima di una forte campagna pubblicitaria negativa.

E poi c’è il tema “anagrafico” del patron

Nel frattempo, sulle preoccupazioni operative di Lvmh incombe l‘elefante nella stanza: la successione. Certo, rispetto ai 90 anni appena compiuti di Giorgio Armani, il settantenne Arnault sembra un ragazzino. All’assemblea generale annuale di quest’anno, Arnauld ha ottenuto l’estensione del limite di età per l’amministratore delegato da 80 a 85 anni. A differenza dei capi di altre dinastie, Arnault è riuscito a mantenere i suoi figli – Delphine, Antoine, Alexandre, Frédéric e Jean – impegnati nell’azienda, mascherando anche qualche divergenza tra loro. Con i figli ancora alle prime armi, l’anno scorso Arnault ha scelto Stéphane Bianchi come suo vice. In azienda dal 2018, Bianchi all’assemblea generale annuale ha detto che Lvmh ha piani di successione a medio termine e in caso di un evento “improvviso”.

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