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L’Italia e il “capitalismo di filiera”: la classifica dei distretti industriali

L’undicesima edizione del Rapporto annuale sui distretti industriali di Intesa Sanpaolo mette a nudo un Paese a due velocità: da un lato un’economia a bassissima produttività, dall’altro una rete di Pmi manifatturiere che organizzandosi in distretti sono decisive per il surplus commerciale – La top 20 dei migliori distretti del 2018.

L’Italia e il “capitalismo di filiera”: la classifica dei distretti industriali

“Capitalismo di territorio”. Così, secondo il chief economist di Intesa Sanpaolo Gregorio De Felice, si può definire l’economia italiana, forte di un tessuto manifatturiero sempre più sostenuto dalle eccellenze dei distretti, che valorizzano Pmi e le filiere di prossimità. Nel Rapporto annuale, giunto alla undicesima edizione, il centro studi della prima banca italiana ha scannerizzato quasi 20.000 imprese in tutto il Paese, appartenenti a 156 distretti manifatturieri diversi, e le ha confrontate con circa 60mila imprese non distrettuali, per un fatturato complessivo di 765 miliardi di euro. Ne è venuta fuori la fotografia di un’Italia sostanzialmente a due velocità, tra problemi strutturali dell’economia e un tessuto produttivo ancora molto vitale, soprattutto appunto quello di territorio, cresciuto come fatturato del 7,7% nel biennio 2017-2018, nonostante il piccolo rallentamento dell’ultimo anno. “La crescita – spiega De Felice – è di cinque punti percentuali superiore a quella delle aree non distrettuali, nel periodo tra il 2008 e il 2017. Ma soprattutto a fare la differenza è la produttività: quella dell’economia italiana in generale ristagna ormai dal 1995, crescendo solo dello 0,4% annuo, ritmo nettamente inferiore rispetto a Germania e Francia, mentre guardando al manifatturiero cresciamo del 16% dal 2008 e guardando al manifatturiero distrettuale miglioriamo del 9,5% nello stesso periodo, contro il 2% del manifatturiero non distrettuale”.

Il dato che meglio sintetizza l’importante del “capitalismo di territorio, o di filiera”, nell’economia italiana, è quello del saldo commerciale: come è noto, l’Italia è il quinto Paese al mondo (secondo in Europa dietro alla Germania) per surplus commerciale, esclusa l’energia, e dei 90 miliardi di surplus, ben 79 miliardi arrivano dall’export dei distretti. “Non abbiamo decine di grandi imprese come i nostri concorrenti – ha detto De Felice – ma migliaia di Pmi molto dinamiche. Questo è il nostro punto di forza ma non basta: saranno cruciali gli investimenti, sia materiali che immateriali, oltre che la ricerca e l’innovazione”. Senza dimenticare i capitali esteri, che come dimostra la ricerca hanno avuto un ruolo decisivo nella crescita di molti distretti: a fare la differenza non è solo l’internazionalizzazione, alla ricerca di mercati anche molto lontani (la distanza media delle esportazioni è aumentata in media di 367 km, con uno sforzo notevole in particolare per i settori dei mobili e dei materiali da costruzione, che hanno allargato il loro raggio di vendita di oltre 700 km), ma anche l’apertura alle multinazionali estere, oltre che a quelle italiane: “A volte ci sono stati casi di imprese predatrici, ma i dati ci dicono che i grandi gruppi esteri portano soprattutto know how e investimenti”.

LA CLASSIFICA

Le imprese “campioni” di questa edizione sono ben 1.600, quasi il 10% del totale: sono quelle che hanno visto il loro fatturato crescere nell’ultimo triennio di almeno il 15%, rispondendo anche a parametri di redditività e che negli ultimi anni hanno assunto personale, creando lavoro. Guardando ai singoli distretti, il “vincitore” dell’edizione 2018 è il distretto della gomma del bergamasco, con un punteggio di 85 punti su 100 (criteri: Ebitda 2017, crescita Ebitda 2016-17, fatturato 2017, export 9 mesi 2018, evoluzione 2008-2017 export e fatturato), davanti alla pelletteria e calzature di Firenze e ai dolci di Alba e Cuneo, ben distaccati. “Il distretto lombardo era già stato il migliore di questa classifica nel 2014 – rivela De Felice – ma a dominare la top 20 è sicuramente il settore della meccanica, che conta da solo 25 distretti sui 156 esaminati e ne piazza 12 tra i primi 20”. A ridosso del podio infatti ci sono la termomeccanica di Verona, la meccatronica di Reggio Emilia e i metalli di Brescia. A seguire l’agroalimentare con i vini fiorentini e senesi al settimo posto, che sopravanzano il Prosecco di Valdobbiadene al nono, in regressione rispetto al podio del 2017.

1 thoughts on “L’Italia e il “capitalismo di filiera”: la classifica dei distretti industriali

  1. questi dove li mettiamo:
    dal polo farmaceutico del Lazio a quello aeronautico di Caserta, dai sistemi Ict di Catania e Lecce alle manifatture avanzate lombarde, venete ed emiliane

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