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Libri: tornano “Le parole chiave” di Adorno con 5 novità

Torna disponibile per il lettore italiano un libro fondamentale del grande filosofo Theodor Adorno ma in una versione aggiornata che comprende 5 nuove parole chiave

Libri: tornano “Le parole chiave” di Adorno con 5 novità

Un libro irrintracciabile 

Torna disponibile per il lettore italiano, in una versione ampliata rispetto all’originale e ripensata in chiave contemporanea, un lavoro importante di Theodor Adorno. Era già stato pubblicato in Italia dall’editore Sugarco nel lontano 1974, un’edizione oggi, putroppo, irrintracciabile. Si sta parlando di Theodor Adorno, Parole chiave. Modelli critici. 

L’edizione del 1974, nella traduzione di Mariuccia Agrati, conteneva anche un ampio saggio introduttivo di Tito Perlini. Il saggio, di natura filosofica, non è stato riprodotto nell’edizione attuale a fronte di un ampliamento significativo delle parole chiave della edizione Sugarco che ha lo stesso contenuto di quella tedesca. L’edizione originale dal titolo Stichworte. Kritische Modelle era uscita nel 1969 presso l’editore Suhrkamp di Francoforte. La nuova edizione contiene 5 parole chiave in più della edizione 1969: sono animale, cultura, antisemitismo, nichilismo e freudiano. Si tratta di nuove keyword con una forte valenza di attualità. 

Come scrive Perlini gli Stichworte costituiscono l’ultimo lavoro portato a termine da Adorno che, però, non fece in tempo a vedere il libro stampato. Si trattava di testi scritti in occasione di differenti circostanze come convegni, incontri, commemorazioni, lezioni, interventi in radio ecc. Sono tutti legati alla riflessione critica dell’ultimo Adorno. Alcuni sono prettamente filosofici e presentano una certa complessità che richiede al lettore una buona familiarità con il pensatore francofortese. Riprendono, infatti, i temi trattati in Dialettica negativa (1966), che è una delle ultime opere filosofiche, diciamo sistematiche, di Adorno. 

Impegno e distacco 

La copertina dell’edizione goWare del 2009 nella collana “Piccoli grandi classici”. Contiene gli interventi di Adorno sulle seguenti parole chiave: America, Animale, Antisemitismo, Cultura, Educazione, Filosofia, Freudiano, Insegnante, Passato Personalità, Progresso, Ragione e Rivelazione, Soggetto, Tedesco, Tempo libero, Teoria e prassi.

Altri contributi hanno invece un’impronta divulgativa e anche autobiografica. Sono interessanti perché iniziano a sagomare di una sorta di biografia intellettuale del pensatore tedesco. Glossa sulla personalità, Tabù sulla professione di insegnante, Le esperienze scientifiche in America, Tempo libero, Che cosa è Tedesco?, L’educazione dopo Auschwitz, Progresso sono contributi legati alle riflessioni sulle società del dopoguerra. Riflettono anche la riflessione di Adorno come intellettuale profondamente segnato dall’esperienza del fascismo e della guerra sia come ebreo tedesco che come rifugiato negli Stati Uniti. Se da una parte c’è un fortissimo impegno civile dall’altra c’è un distacco dall’azione di natura politica. 

L’intervento su Teoria e Prassi è una sorta di risposta alla contestazione giovanile della seconda metà degli anni Sessanta, verso cui Adorno prese le distanze. È anche una sorta di difesa della sua visione nei confronti della critica dei suoi allievi più militanti, in particolare di Hans Jürgen Krahl, che rimproverò al maestro il rinvio alla prassi. Il rinvio della prassi che è il titolo anche di un importante libro di Marzio Vacatello su Adorno. Secondo Krahl, e con fondatezza, Adorno con il suo “trauma” per la deriva dell’individuo borghese “non è mai veramente uscito dal suo isolamento del periodo dell’esilio rimanendo fino all’ultimo un emigrato”. 

E forse proprio questo faro, privo di attracchi, in cui si era rinchiuso, ha fornito ad Adorno la capacità di gettare un fascio di luce rischiarante sulla dialettica che permea società moderne senza cadere nell’illusione di qualche facile via d’uscita. 

L’esercizio della critica e la fuga dalle illusioni 

Adorno con l’allievo Hans-Jürge Kral nel 1969 nel momento in cui l’allievo di Adorno guidò l’occupazione dell’Istituto. Il maestrò avversò a tal punto tale iniziativa da chiamare la polizia. Di lì a un anno, entrambi sarebbero scomparsi. Il giovane Kral in nel febbraio del 1970 un incidente stradale e Adorno di un attacco di cuore, mentre era in vacanza, nell’agosto 1969. 

L’intento maggiore di Adorno, nell’ultimo scorcio della sua vita, è stata quello di combattere ogni forma di cortigianeria intellettuale pronta a mettersi al servizio dell’ultima illusione coltivata dalla propria epoca. In tale quadro illusorio circoscrisse anche il Sessantotto. 

Il mancato approccio critico nei confronti dei cambiamenti della società che possono anche apparire come messianiche — come oggi potrebbe essere il ciberspazio — priva il pensiero di ogni capacità di rischiaramento nei confronti della realtà che lo circonda. Lo priva della capacità di cogliere la sua dialettica profonda. La dialettica, questa è forse la parole chiave da cui si origina tutto il pensiero adorniano maturo a partire dal fondamentale lavoro del 1949 con Horkheimer, La dialettica dell’Illuminismo. 

Per esempio, la parola chiave “Progresso” nella sua abnorme feticizzazione (anche in politica) riceve una critica accanita da Adorno, perché quella forma specifica di progresso è destinata a rovesciarsi in regressione e da regressione in catastrofe. Questo perché il concetto di progresso è fortemente dialettico. Libera ma anche asservisce allo stesso tempo. La vicenda di Facebook dà ragione pienamente alla tesi del pensatore francofortese. E dimostra anche la validità del suo metodo per catturare squarci di verità della realtà del terzo millennio. 

Oltre un dizionario filosofico 

Le parole chiave di Adorno non sono le potenziali voci di un dizionario filosofico che il pensatore di Francoforte non avrebbe mai potuto comporre data la natura non sistematica del suo pensiero. Sono piuttosto i nodi di una autobiografia spirituale, dove non rinuncia ad attingere pienamente alla propria esperienza soggettiva che rivista con spirito critico e anche con candore. 

Questo avviene soprattutto nel saggio sull’America che si conclude con note di apprezzamento per una cultura completamente diversa dalla sua. Una cultura che attinge da una fonte filosofica che non può che essere la stessa di un filosofo formatasi alla scuola di Kant e di Hegel. Ma l’approccio critico di Adorno, verso la propria stessa costellazione di idee, è qualcosa di fondante del proprio pensiero e un grande leva per comprendere il diverso da sé. 

Pure le riflessioni sulla personalità sono di una grande modernità nella loro piena valorizzazione della nozione kantiana di autonomia della persona nel rapporto tra sé ed altro che impedisce a uno dei due di sopraffare l’altro. 

In “Ragione e Rivelazione” Adorno nota la progressiva disgregazione del concetto di secolarizzazione che si rovescia in un ritorno del religioso. Questo ritorno però assume sempre più i tratti di uno spiritualismo oscurantistico e regressivo. Così che si viene a sviluppare un vincolo con la ragione meccanizzata che finisce per annullare ogni differenza tra ragione e rivelazione. Una riflessione attualissima. 

Il ruolo del pensiero 

È proprio sul rapporto tra soggetto e oggetto che si appunta la riflessione più densa di Adorno in collegamento diretto con la Dialettica negativa. È all’oggetto che spetta il primato e il soggetto dipende dall’oggetto nella formazione della propria identità. Il soggetto deve lasciare spazio a ciò che gli è altro. Una convinzione che lo porta in diretta collisione sia con la metafisica, che con il positivismo e l’irrazionalismo. La realtà che tende a dissolversi nell’astrazione del soggetto è la matrice del falso che nel quadro sociale contemporaneo estende il suo dominio con un’energia che sembra derivare da una ineluttabile fatalità. Questa apparentemente invincibile fatalità è falsa in se stessa. 

Dà luogo a una autopropagazione dell’inganno. Per questo il pensiero ha l’obbligo assoluto di staccarsi da un presente verso cui ha il compito del disvelamento e della liberazione dal falso. La riflessione sul proprio tempo deve rendersi radicale e dura. Due condizioni che sono la garanzia dell’onestà del pensiero medesimo. Altro monito fondamentale del pensiero di Adorno alle persone del terzo millennio. 

Scrive Perlini nella sua introduzione all’edizione del 1974: 

Nel coraggio dell’inattualità sta la dignità stessa del pensiero. Il pensatore che a tale impegno si attiene, è assai simile a quel Freigeist (spirito libero) che Nietzsche, cultore di un paradossale illuminismo antilluministico, contrappone allo spirito soggiogato, vincolato alle proprie cieche obbedienze. 

Uno spirito libero che però non deve cadere né nell’autocompiacimento, né nell’ebrezza del proprio isolamento, né nel narcisismo, a cui si è esposto il pensiero di Kierkegaard, anche se — come scrive Perlini — il pensatore danese resta il “modello segreto” di Adorno. 

L’industria culturale e il tempo libero 

Alex Ross in un lungo articolo sul “The New Yorker” dal titoli “I Guastafeste” (“The Naysayer”) scrive che Adorno e Benjamin hanno dato vita a una delle più ricche e stimolanti conservazioni sull’arte nell’era tecnologica. 

In questa nuova edizione delle parole chiave di Adorno, rivisitate in chiave contemporanee, è stato inserito anche il saggio sull’Industria culturale. Scritto insieme ad Horkheimer alla fine degli anni quaranta è inserito nella Dialettica dell’illuminismo. È questo uno dei maggiori contributi alla comprensione del ruolo della cultura nelle economie di mercato e della sua capacità di diventare una componente del controllo sociale e della guerra cognitiva tra i differenti sistemi sociali. 

È stato Hollywood, secondo lo storico israeliano Yuval Noah Harari, a sradicare il comunismo e oggi è proprio il soft power uno dei mezzi del governo cinese per creare un’egemonia mondiale. Inoltre i meccanismi fondativi dell’industria culturale tendono a riprodursi amplificati ed esagerati nel ciberspazio. Tant’è che qualche studioso contemporaneo ha iniziato a parlare della fine del libero arbitrio del soggetto. Con l’industria culturale, la tecnologia che è il suo principale veicolo, viene soggiogata a un disegno di controllo sociale e di egemonia. 

Pertanto il valore di un’opera d’arte viene determinato dal mercato, non dalla sua essenza, determinandone una funzione sociale degradata. Il valore di scambio ha sostituito il valore estetico. La produzione culturale pertanto va verso una omologazione asservita ai gusti dei consumatori anch’essi omologati. 

La visione totalmente pessimistica di Adorno e Horkheimer forse non considera interamente l’aspetto dialettico dell’industria culturale che invece è stato intravisto da Walter Benjamin. La fotografia, il cinema, l’editoria la discografia possono essere una leva per la democratizzazione della cultura. Un processo quest’ultimo, senz’altro progressivo, ma costellato di immense complessità. Inoltre il ruolo totalmente passivo attribuito da due francofortesi ai destinatari dell’industria culturale è una tesi molto discutibile. 

In ogni caso l’analisi dell’industria culturale e del concetto di tempo libero, come mera parentesi del lavoro e non come spazio soggettivo, costituiscono una sostanza a cui bisogna continuamente affidarsi per rischiarare le vetrate che danno sul nostro tempo. 

Internet conferma le tesi di Adorno e Horkheimer? 

Lo spazio virtuale sembra la conferma più inoppugnabile della dichiarazione di Adorno e Horkheimer secondo cui l’industria culturale consente “la libertà di scegliere ciò che è sempre lo stesso”. La cultura appare più monolitica che mai, con alcune società titaniche — Google, Apple, Facebook, Amazon — che tendono a decidere che cosà è rilevante e che cosa non è rilevante sulla base dei gusti degli utenti. Internet, alla fine, ha reso il mondo della cultura più ristretto e più coercitivo, anche se l’offerta culturale è cresciuta a dismisura. È successo qualcosa che assomiglia al grattacielo di Horkheimer. 

I motori di ricerca non premiamo le diversità, anzi le penalizzano. Nei siti Web tutti leggono le stesse storie. La tecnologia tende a creare la dittatura del “Mi piace” o “Se ti piace questo, ti potrebbe piacere anche questo”. Siamo indubbiamente nell’infanzia di tutto questo e qualcosa potrebbe — e senz’altro accadrà — cambiare anche con la crescita del pubblico 

Ma le imprese tecnologico, grazie ai big data, tendono a controllare i comportamenti non solo commerciali dei loro clienti, ma anche quelli di natura politica, sociale e culturale. Quindi sarà un processo molto complicato. 

Forse quella dei francofortesi è un’analisi troppo drastica e anche un poco patetica nel rimpianto della cultura borghese classica che era diversamente selettiva. Benjamin, a differenza di Adorno e Horkheimer, era invece convinto che i messaggi di dissenso possano emanare dal cuore dell’industria culturale.  

Era qualcosa che vedeva in azione nel cinema, nella fotografia e nella musica. Attraverso i film di Chaplin, per esempio, poteva arrivare al pubblico la critica al modello capitalistico. La stessa industria culturale, per i suoi stessi meccanismi anonimi, può dare una voce a gruppi oppressi o emarginati. Una voce che altrimenti andrebbe perduta come è successo nei secoli. Siamo di fronte a una miscela contraddittoria e caotica di autentico e posticcio. 

Forse l’evoluzione culturale delle società tardo capitalistiche può essere intesa proprio in modo dialettico come una sintesi di omologazione e autenticità, di catastrofe e progresso, poli che tendono anche a intrecciarsi. 

E a questo proposito torna proprio giusta la frase di Benjamin secondo cui non c’è alcun documento di civiltà che non sia allo stesso tempo un documento di barbarie. 

Anche oggi i teorici di Francoforte presentano un modello critico per pensare in modo diverso l’attualità. Un qualcosa di cui era convinto anche Steve Jobs. 

Adesso abbiamo anche le parole chiave di questo modello. 

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