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L’High Frequency Trading: Borsa superveloce o manipolazione dei mercato?

Il caso della Deutsche Bank e della Barclays ripropone il problema irrisolto degli scambi superveloci in Borsa: un’opportunità in più o una palese manipolazione del mercato? – Ecco che cosa ne pensano due esperti, Giovanni Bottazzi e Alfonso Scarano in una recentissima analisi pubblicata dalla rivista dell’Aiaf

L’High Frequency Trading: Borsa superveloce o manipolazione dei mercato?

Deutsche Bank e Barclays, scrive The Wall Street Journal, sono sul punto di sottoscrivere un singolare accordo con il Dfs, che sta per Department of Financial Services di New York. Le banche hanno accettato l’installazione di monitor, gestiti da organismi indipendenti, che vigileranno sulle possibili manipolazioni degli scambi sui mercati dei cambi. Questo per raccogliere prove su presunte pratiche a vantaggio degli hft, gli high frequency traders, a danno degli altri operatori.
Insomma, i grandi della finanza mondiale sono trattati alla stregua di cassiere di supermercato in odore di furto. Anche così le autorità cercano di metter sotto controllo le dark pool, cioè le Borse private gestite dalle grandi banche che rendono possibili grandi transazioni su azioni od altri prodotti finanziari nel più assoluto anonimato. E opacità. A vantaggio  dei nuovi grandi protagonisti dei listini, gli hft, che controllano ormai più della metà degli scambi.

Nelle ultime settimane tre grandi istituti, Deutsche Bank, Crédit Suisse e Ubs, hanno ammesso di essere al centro di indagini condotte dalla Sec sui meccanismi in uso presso le dark pool. L’obiettivo? Dimostrare che il vantaggio competitivo degli operatori elettronici, capaci di replicare milioni di operazioni nel giro di spazi temporali infinitesimali, si configura come un colossale insider trading in grado di sconvolgere le regole del mercato, a partire dai meccanismi di formazione dei prezzi dei titoli.  E’ una partita affascinante, resa popolare dal best seller di Michael Lewis dedicato all’ascesa dei primi hft, capaci di mobilitare investimenti  miliardari pur di accorciare di pochi decimi di secondo la velocità di trasmissione dei dati da Chicago a New York o Londra. Riuscirà l’uso dei monitor a metter sotto controllo la leadership tecnologica dei sistemi Hft? Pubblichiamo, per gentile concessione della rivista Aiaf,  l’analisi e le terapie suggerite da due studiosi italiani esperti della materia: Giovanni Bottazzi, già responsabile dell’ufficio statistica della Borsa di Milano, e Alfonso Scarano, ex vicepresidente degli analisti finanziari.

GLI HFT: ORDINI DI BORSA ULTRAVELOCI O MANIPOLAZIONE DEL MERCATO?

Gli ordini di Borsa ultraveloci saranno una presenza problematica ed inquietante fintantoché non ne siano ben chiarite natura e conseguenze sulla correttezza del mercato, perché molti sospettano che il gioco sia truccato a favore degli operatori HFT.

In pochi anni dagli Stati Uniti si è diffusa nelle Borse del mondo una trasformazione dei modi di produzione e trasmissione degli ordini in una pratica nota come High Frequency Trading, o semplicemente HFT, attuata da ristrette cerchie di operatori tecnologicamente molto dotati. Caratteristica principale ne è la sorprendente velocità che consente vantaggi competitivi dell’ordine di millesimi di secondo rispetto agli altri operatori. A computer superveloci, programmi ed algoritmi sono demandate decisioni “automatiche” che scattano al verificarsi di prestabilite condizioni del “mercato”. Di qui l’invio in tempi brevissimi di un gran numero di ordini, ossia ad alta frequenza, per i quali l’intervento umano si riduce alla fase di programmazione.

Per “mercato” intendiamo quella sua parte tradizionale che è capace di vita autonoma, svolgendo la funzione tipica di stabilire il prezzo dei titoli tramite l’incontro ben organizzato della domanda e dell’offerta decise sulla scorta di considerazioni finanziarie circa le prospettive reddituali delle società emittenti. Di questo mercato socialmente utile gli operatori HFT approfittano: ne scrutano le discontinuità, si insinuano negli interstizi di tempo e li trasformano in lucro. Lecito quindi qualificare l’HFT come attività parassita: da un lato non apporta nuove informazioni finanziarie circa il valore dei titoli, ma sfrutta soltanto quelle desunte dal mercato stesso; dall’altro non concorre all’assunzione del rischio finanziario, visti i tempi di investimento praticamente nulli nei pochi casi di trasformazione degli ordini HFT in veri contratti di scambio. In breve, nella pratica HFT si esaltano le distorsioni di uno sviluppo disarmonico dei mercati finanziari in cui:

– la rapida evoluzione della tecnologia ha trasferito dall’uomo alle macchine criteri di decisione complessi, annullando o quasi la dimensione temporale; ma  la regolamentazione fatica a tenere il passo, con buona pace dei principi di correttezza ed efficienza dei mercati finanziari che per molti decenni ne avevano ispirato l’organizzazione ed il funzionamento;
– gli elevati costi delle strutture tecniche necessarie all’attività HFT sono una barriera all’ingresso di nuovi operatori. Così il mercato tende ad un oligopolio, ove poche grandi entità operano a tutto campo ed a livello internazionale;
– le Borse non hanno compreso inizialmente i pericoli insiti nel fenomeno HFT e, in seguito, per fronteggiare la concorrenza dei sistemi alternativi di contrattazione, hanno fatto buon viso al cattivo gioco da cui dipendono ormai in larga parte, visto che le operazioni targate HFT coprono oltre la metà degli scambi negli USA e poco meno in Europa; tanto da dover concedere abbuoni tariffari agli operatori HFT per garantirsi un maggior volume di ordini immessi, a dispetto dell’infima quota che si conclude in scambi effettivi.

La gara tra operatori si svolge anzitutto in campo tecnologico ed esige continui aggiornamenti nel software e nell’hardware. Tutto questo fa crescere i costi e, a fronte dei pochi beneficiati, opprime il resto del mercato. La presa di coscienza della situazione è altrettanto asimmetrica, perché tra i moltissimi danneggiati pochi afferrano davvero i termini del problema e la sua rilevanza per la finanza buona, quella che serve all’economia reale. Il problema è perciò culturale e anche politico: la politica trova arduo dedicarsi a questa materia, così spiccatamente tecnica e in mano a pochi, rimanendo facilmente catturata dalle affermazioni interessate di quell’esigua minoranza dei beneficiati che vanta però potenti mezzi persuasivi.

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La questione mai sopita circa la vera natura dell’HFT, la sua liceità e le sue conseguenze ritorna periodicamente all’attenzione dei media. L’occasione più recente è stata, in primavera, la pubblicazione negli Stati Uniti del libro di Michael Lewis “Flash Boys, a Wall Street Revolt”. Ma una rivolta contro che cosa? Per comprenderlo occorre scendere su qualche aspetto più specificamente tecnico.

Per ciascun titolo quotato la piattaforma elettronica della Borsa mantiene continuamente aggiornato un registro degli ordini, detto book di negoziazione. Esso raccoglie le proposte di negoziazione, PDN, di acquisto e di vendita, e le ordina per priorità di tempo di arrivo e di prezzo, in una graduatoria di convenienza per una controparte. A parità di prezzo ha successo la proposta che prima è registrata nel book. Di qui la corsa ai computer veloci, alle linee di trasmissione in fibra ottica, che consentono velocità prossime a quella della luce nel vuoto, addirittura a posizionare le apparecchiature elettroniche nei locali sede della Borsa (co-location). Ma non tutto è teso a realizzare veramente lo scambio nel più breve tempo possibile: la maggiore velocità consente vantaggi preziosi soprattutto in termini di informazione. Varie sono le strategie adottate.

Quella forse meno contestata è il “market making”. Verificato  nel book di negoziazione, per un certo titolo in un certo momento, un certo intervallo di prezzo (spread) tra la migliore offerta e la migliore domanda, l’HFT interpone sistematicamente proposte di negoziazione sia in acquisto sia in vendita appena migliori rispetto a quelle riscontrate. Se il contratto si realizza in acquisto, e immediatamente dopo lo stesso avviene per quello in vendita, l’operatore HFT vede annullata la sua posizione nel giro di frazioni di secondo e consegue un piccolo lucro differenziale; che però può ripetersi molte volte e per molti titoli. E’ la parodia del market maker, perché erode il margine per il vero market maker accreditato presso la Borsa con un contratto impegnativo per quantità e persistenza degli ordini. L’operatore HFT resta invece libero di evaporare dal mercato se giudica le condizioni non più favorevoli.

Tra le altre tecniche considerate di dubbia liceità citiamo il layering e lo stuffing. Con la prima si cerca di accreditare false convinzioni sulla tendenza momentanea del mercato tramite la massiccia immissione di ordini dal lato della domanda o dell’offerta, ordini che però vengono immediatamente cancellati non appena se ne ravvisi l’opportunità. Con la seconda strategia l’operatore invade il mercato al solo scopo di rallentarlo, con ordini che non verranno conclusi in un contratto.
Fra le strategie più direttamente manipolatorie stanno però quelle di front running, configuranti il furto dell’informazione contenuta in un ordine primigenio. E’ la versione aggiornata dell’antico “fare la cresta all’ordine” originale da parte dell’intermediario, precorrendolo nell’esecuzione per trarne profitto; ma qui l’HFT non vanta alcun mandato di intermediazione ed è solo terzo incomodo. Tale strategia reca un danno all’emittente dell’ordine primigenio ed è ovunque vietata legalmente; però è difficile individuarla e perseguirla concretamente.

Il front running HFT si realizza se qualcuno intercetta l’ordine prima della sua esposizione nel book di negoziazione, ossia prima che sia noto al mercato. Non basta quindi che qualcuno, dotato di maggior velocità, semplicemente “legga il book” prima degli altri; anche se, ovviamente, la sua possibilità di successo aumenta riducendo il tempo di lettura dell’ordine primigenio nel book e della conseguente reazione automatica, godendo al limite di una postazione di favore collocata proprio nell’edificio stesso della Borsa. Dato che non si può precorrere l’ordine altrui che sia già arrivato al book, la sua intercettazione deve avvenire prima, e per questo occorre “vedere” l’ordine altrui alla partenza. Se questo accade, le buone regole non sono rispettate e il mercato non è corretto. Ma come può verificarsi?
Paradossalmente interviene una delle regole imposte al mercato, quella che obbliga alla migliore esecuzione (da noi è la best execution dinamica, negli USA è conosciuta con la sigla NBBO). Proprio questa, imponendo alla Borsa la ritrasmissione ad altre piattaforme di contrattazione dell’ordine ricevuto cui non possa dare esecuzione immediata alle migliori condizioni, pare sia di grande aiuto alla pratica disinvolta del front running HFT. I tempi di questo rigiro dell’ordine consentono infatti a qualcuno di intercettarlo e precorrerlo.

E’ contro questa forma di inquinamento del mercato che si pone la “rivolta” annunciata dall’Autore del libro citato. Non si tratta solo di un rifiuto morale di fronte a un quadro del mercato finanziario USA pesantemente condizionato dalla sistematica “predazione” dell’ordine originario tramite HFT, come dipinto dall’Autore attraverso le parole messe in bocca ad alcuni superesperti del settore; l’Autore espone anche la loro reazione per contrastarla. La trovata tecnologica è geniale e consiste nella gestione dei tempi di “latenza”, ossia di trasmissione degli ordini telematici. Si è creato un sistema innovativo, chiamato IEX, che regola le latenze con le varie piattaforme a cui gli ordini possono essere trasmessi per l’esecuzione in modo da annullare il vantaggio di tempo lasciato ai terzi che potrebbero interferire con il front running HFT. La rivolta è quindi una barriera di difesa pratica dalle intrusioni più direttamente manipolatorie; e il libro ne è una bella pubblicità. Ma sono importanti e positivi sia l’aperta denunzia, sia la notizia che il mercato inizia a reagire autonomamente, elaborando autonomamente gli anticorpi contro l’inquinamento che lo mortifica e frenando, così, anche la folle gara verso approdi incerti, sul filo dei millesimi e perfino dei milionesimi di secondo. 

D’altra parte, sul fronte dei controlli e delle sanzioni degli abusi del front running HFT occorrono indagini per individuare il punto di smagliatura nella catena di trasmissione delle proposte di negoziazione. Sembra qui indispensabile acquisire e studiare i contratti di servizio (SEL – Service Level Agreement) stipulati dalla Borse e dalla altre piattaforme di contrattazione elettronica. Ma occorrono poi analisi sottili con adeguate dotazioni tecnologiche, sinora manifestatamente carenti presso gli Organi di controllo.
 
Sul fronte della valutazione teorica degli effetti positivi riconoscibili agli HFT in termini di liquidità, a compenso dei quali alcune Borse concedono abbuoni tariffari agli operatori per aumentare l’attività, dovrebbero prevalere i dubbi, visto che tale liquidità è notoriamente illusoria ed effimera, pronta ad evaporare proprio quando al mercato sarebbe più utile. Tanto più che è, invece, assolutamente certa la spinta ad incredibili sovradimensionamenti delle sovrastrutture informatiche della Borsa, eccessive se poi confrontate con i volumi degli scambi effettivi. Il sovraccarico dei costi finisce per gravare su quegli operatori che intendono davvero effettuare scambi di titoli. Questi subiscono sia il danno dei maggiori oneri tariffari, sia la beffa del costante attacco predatorio di marca HFT. Così qualcuno di loro via via è espulso dal mercato, a verificare ancora la legge di Gresham per cui le moneta buona viene scacciata da quella cattiva, che invece si consolida.

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