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L’emergenza migranti in Sicilia e le pagelle degli sbarchi: che cosa funziona e che cosa no

Nel 2014 sono arrivati sulle coste del Sud Europa più di 75 mila migranti ma oltre 800 sono annegati o dispersi nel Mediterraneo – Per le nostre istituzioni è sempre emergenza: il salvataggio e la prima accoglienza funzionano discretamente ma poi i problemi esplodono – Pregi e limiti della missione militare – Un piano per il Viminale – Il ruolo dei Comuni

L’emergenza migranti in Sicilia e le pagelle degli sbarchi: che cosa funziona e che cosa no

Bagnanti e turisti delle spiagge di Pozzallo e dintorni dovranno farci l’abitudine. Mercoledi 30 luglio per tutta la mattina si sono trovati al largo una nave militare, presenza insolita a poche miglia dalla costa. Sbarcava migranti su un rimorchiatore che poi li ha condotti in porto. Ancora più inconsueto lo scenario di lunedì 28 quando il profilo enorme di una nave cargo o portacontainer si stagliava avvolto nella nebbia mattutina a un paio di miglia dalla spiaggia. Anche in questo caso si stavano trasferendo su un rimorchiatore 299 nordafricani. Il ritmo degli arrivi non accenna a calare nonostante il vento abbia sferzato le coste siciliane per tutto il mese di luglio e le strutture preposte affrontano l’emergenza senza sottrarsi. Ma quale il bilancio di questi drammatici primi sette mesi del 2014 e più in generale dei dieci mesi dall’avvio della missione Mare Nostrum?
 
La MISSIONE MILITARE composta da cinque navi d’altura e un trasporto costiero con una decina di velivoli ed elicotteri e circa 1500 militari schierata dalla Marina per far fronte all’emergenza immigrazione ha svolto e svolge quelle operazioni umanitarie che si era prefissata, si è trasformata in una sorta di 118 del Mediterraneo con tutti i pro e i contro che la cosa comporta. Si è ridotto il numero di vittime e di naufragi, ma verosimilmente è cresciuto il numero di profughi che tentando di raggiungere l’Italia con imbarcazioni di fortuna. In fondo i rischi sono ridotti una volta lasciate le coste africane. Più deludente l’aspetto specificamente militare e di deterrenza che si poteva immaginare inizialmente, viste le dimensioni e le dotazioni delle unità navali assegnate all’operazione. Una nave lanciamissili da 3.300 tonnellate non è la più adatta (anche in termini di costi) a svolgere semplici compiti di soccorso. Navi di quel tipo sarebbero utili invece a bloccare le imbarcazioni in uscita dai porti libici o scortare il ritorno sulle coste nordafricane dei migranti raccolti in acque internazionali in buone condizioni di salute.
 
Un bilancio quindi in chiaroscuro ben sintetizzato dal procuratore aggiunto di Palermo Maurizio Scalia: “l’operazione, che io condivido fortemente dal punto di vista umanitario ha favorito gli sbarchi. Adesso partono con piccole navi perche sanno che qualcuno li salverà in mare”. Ed è arduo, come ha tentato di fare il ministro Alfano in Senato, all’indomani dell’arrivo a Pozzallo dell’imbarcazione con 39 morti tentare un collegamento tra Mare Nostrum e il calo complessivo dei reati registrati in Italia da quando è iniziata l’operazione militare. E i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite non permettono di essere ottimisti: secondo l’Unhcr sarebbero oltre 800 i morti annegati e non e i dispersi nel Mediterraneo in questi primi mesi del 2014. Più dei seicento registrati lo scorso anno. E nel primo semestre dell’anno più di 75 mila migranti sono sbarcati sulle coste del Sud Europa, il 25% in più rispetto ai 60 mila di tutto il 2013!

Il picco record di arrivi ha messo in seria difficoltà la capacità di ricezione dell’Italia mettendo in luce problemi e pecche delle nostra struttura organizzativa, una volta messa sotto stress. Il VIMINALE ha dato carta bianca alle prefetture, ha allargato i cordoni della borsa, ha denunciato, ripetuto e gridato al vento le colpe dell’Europa che ci ha lasciato soli, ma è stato colto di sorpresa dal boom degli arrivi di questi ultimi mesi che ha evidenziato le difficoltà ad ospitare in Sicilia e comunque al Sud un cosi alto numero di profughi. Di qui l’urgenza di mettere a punto un “piano strutturato” che coinvolgerà l’intero paese e metterà a punto un modulo organizzativo capace di approntare 10mila posti che tutte le regioni devono rendere disponibile per le emergenze. Un piano da svariate centinaia di milioni di euro che ha come prima linea di accoglienza quattro caserme da 600 posti ciascuna distribuite tra Nord, Centro e Sud.

Il piano è necessario per far fronte ad un flusso migratorio che a fine anno avrà ampiamente superato i 100mila arrivi, ma anche a razionalizzare l’accoglienza con piani che vadano oltre la casualità di questi mesi. La Sicilia e il Sud non hanno strutture disponibili ad affrontare questi numeri e infatti già nei mesi scorsi 20mila migranti, che non era possibile accogliere nei tradizionali centri di accoglienza, sono stati distribuiti in tutta Italia in modo spesso confuso e senza preavviso. Le notizie dei pulman arrivati all’aeroporto di Comiso in piena notte con lo scalo chiuso (e tornati al punto di partenza non sempre vicino) o le proteste del comune di Milano costretto a trovare in meno di 24 ore 750 posti letto a profughi “spediti” dalla Sicilia senza preavviso hanno scandito le cronache delle ultime settimane.

Un altro flash sintomatico dei mille problemi che incontra la STRUTTURA DI ACCOGLIENZA di fronte agli arrivi di questi mesi è emerso a giugno quando nei cassonetti della spazzatura di Pozzallo sono state trovate centinaia di confezioni pasto intatte. Dopo l’indignazione iniziale e l’avvio delle inchieste di rito si è iniziato a capire che la ditta incaricata di fornire i pasti non si era posto il problema dell’inizio del Ramadan né dai centri di accoglienza si era provveduto a capire come sarebbero cambiate durante il mese di digiuno le abitudini alimentari degli ospiti, perlopiù musulmani, e a fornire precise istruzioni alla ditta. I numeri di profughi hanno messo in difficoltà le strutture siciliane e si è rimediato in tutti i modi possibili, trovando nuove residenze, chiedendo ospitalità a parrocchie, centri Caritas, conventi, in modo da trovare un tetto a tutti. Ma non si può vivere sempre in emergenza, non è salutare, e il sovraffollamento trasforma le strutture improvvisate o meno in una sorta di carcere. Per non parlare di problemi come igiene, servizi e via dicendo. Si può anche stendere sul pavimento qualche centinaio di materassi se la superficie lo permette ma moltiplicare il numero di bagni, cessi e docce è più complesso. E si rischia di arrivare al paradosso di un centro nel ragusano che  ricorre allo spurgo quattro volte al giorno: poco pratico e troppo costoso, per limitarsi a citare le critiche più semplici.

Un miglior coordinamento tra comuni, province, prefetture e più in generale una collaborazione leale tra i diversi livelli istituzionali potrebbe migliorare il quadro complessivo, troppi al momento  i comuni che si rifiutano di esser coinvolti, ma il reale collo di bottiglia sono in tempi infinitamente lunghi per l’iter burocratico e l’esame delle richieste di asilo e protezione. Una recente direttiva del Viminale si muove verso una velocizzazione delle procedure di identificazione e una accelerazione dei tempi per la valutazione delle richieste. Trattenere bloccati per mesi migliaia di richiedenti asilo non fa che zavorrare l’intera struttura, occorrono permessi più rapidi e tempi stretti. In definitiva salvataggi e prima accoglienza funzionano discretamente anche se con i grandi numeri vanno sotto, ma il discorso non vale per la seconda accoglienza e l’integrazione. I rifugiati una svolta sbarcati e distribuiti nei vari centri sono spesso abbandonati a se stessi anche se riconosciuti meritevoli di protezione.

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