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Lavoro, tra Commissione europea e Regione Lombardia è scontro

La Commissione europea sta conducendo un’indagine sulla Dote Unica Lavoro della Regione Lombardia, una politica attiva che dal 2013 ha avviato al lavoro 180 mila persone – Ma la Ue teme il rischio di un doppio finanziamento e sembra orientata al divieto di pagare i servizi in base al risultato occupazionale – Il pericolo è di buttare il bambino con l’acqua sporca con effetti disastrosi su un’esperienza di politica attiva del lavoro che ha dimostrato la sua efficacia

Lavoro, tra Commissione europea e Regione Lombardia è scontro

La Commissione Europea sta conducendo un’indagine sulla Dote Unica Lavoro (Dul) della Regione Lombardia, una politica attiva del lavoro finalizzata a fornire servizi per l’occupazione tramite una rete di operatori pubblici e privati. Finanziati con il Fondo Sociale Europeo (FSE), i servizi erogati sono rimborsati solo se determinano l’effettivo inserimento lavorativo delle persone disoccupate. I risultati confermano l’efficacia della Dul: dal 2013, oltre 180 mila persone sono state avviate al lavoro, facendo registrare un tasso di occupazione di chi ne ha fruito superiore del 40% rispetto a chi ha utilizzato altri canali.

La Commissione Europea ha messo in discussione il nostro modello con argomenti basati sul presunto rischio di doppio finanziamento. Cioè che gli operatori privati prendano il rimborso previsto dal Dul per il collocamento e vengano pagate per lo stesso servizio dalle imprese che assumono. Il sospetto si concentra soprattutto sulle Agenzie per il Lavoro di somministrazione ma viene prefigurato anche per l’inserimento lavorativo con qualunque forma contrattuale, persino con contratto a tempo indeterminato. La Commissione pare dunque orientarsi verso un divieto di pagare i servizi in base al risultato occupazionale.

La posizione delle Commissione, se venisse confermata in tutta la sua rigidità, avrebbe a mio avviso due possibili esiti, entrambi disastrosi:

  1. Chiusura di Dul e passaggio delle politiche per l’occupazione, almeno per quanto concerne i servizi di inserimento al lavoro, in esclusiva ai Cpi, con risultati che l’esperienza ci consente facilmente di immaginare, ma con probabile soddisfazione del ministro Di Maio, del presidente di Anpal Domenico Parisi e dei “navigators”, finora nullafacenti.
  2. Divieto ai privati di usare Dul per pagare i servizi di inserimento al lavoro, che diventerebbero di esclusiva competenza dei Cpi. Ai privati rimarrebbe la possibilità di usare Dul per fare formazione, in vista di una migliore occupabilità. Ma a parte il fatto che occorrerebbe cambiare strutturalmente tutto il modello di Dul, che era stato concordato con le Parti Sociali e aveva proprio nell’abbinamento stretto formazione-occupazione la propria ragion d’essere, si lascerebbe inevitabilmente mano libera agli Operatori di fare formazione generica, non potendo più finalizzarla ad uno sbocco occupazionale che spetterà ad altri individuare. E questo sì mi sembrerebbe un utilizzo improprio dei Fondi Europei e un regalo a chi facesse una formazione senza che vi sia alcun riscontro della sua utilità.

Una soluzione ragionevole (se la Commissione tornasse coi piedi per terra e tenesse conto che gli imbrogli e le truffe possono sempre verificarsi, come a Bruxelles sanno molto bene, per ottimo che possa essere il sistema che si vuole truffare) potrebbe essere consentire alle Apl, fermo restando l’attuale normativa Dul, di utilizzare la somministrazione come sbocco occupazionale retribuito (magari diminuendo in questo caso la quota di premialità), accettando il fatto che un contratto di somministrazione è più garantito e tutelato di un normale contratto a termine, con un beneficio quindi per il lavoratore e un miglior risultato per il servizio di Politiche Regionali per il Lavoro e di conseguenza un maggior riconoscimento per l’operatore. Che poi qualche Operatore si faccia pagare (in nero, evidentemente) dall’azienda che assume un lavoratore tramite la Dul è questione penale (intermediazione illegale di mano d’opera) e non di regole.

Resta il fatto che se la Regione e le Parti Sociali non saranno sostenute adeguatamente dal Governo, a Bruxelles si profila il rischio che la prima e più significativa esperienza di politiche pubbliche per il lavoro, capace di mobilitare risorse sia pubbliche che private con risultati concreti, debba chiudere; un pessimo segnale nel contesto generale di voglia di “più Stato” che incombe sul Paese.

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