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La Costituzione non è un tabù: proviamo a cambiarla

E’ bastato che il premier Letta accennasse alla necessità di cambiare le regole della nostra Costituzione (ma è davvero la più bella del mondo?) sulla elezione del Capo di Stato perché subito si scatenassero le polemiche dei puristi – Invece bisogna provare a discuterne, essere pragmatici ed evitare un fuoco di sbarramento preventivo

La Costituzione non è un tabù: proviamo a cambiarla

E’ bastato un cenno del premier Letta sulla necessità di cambiare le regole della nostra Costituzione sulla elezione del Capo dello Stato, per scatenare le polemiche dei puristi della nostra Costituzione da Ezio Mauro, a Saviano, dalla Bindi a Zagrebelsky per finire al redivivo Rodotà. Difficile dire se all’Italia sia confacente il sistema francese o sarebbe meglio quello tedesco o quale legge elettorale consentirebbe di formare governi stabili, come avviene nei due paesi nostri grandi vicini, ma quello che colpisce è che ogni volta che si parla di modificare il funzionamento delle nostre istituzioni si assiste ad una levata di scudi preventiva come se il sistema delle regole attuali funzionasse benissimo, o se non funziona, la colpa è dei partiti e della politica che non si dimostra all’altezza dei grandi principi contenuti nella nostra Costituzione.

La domanda vera è: i politici ed i cittadini italiani sono quindi tutti scemi perché non riescono a vedere quanto sarebbe bello vivere secondo i dettami della nostra Costituzione, oppure quelle regole e le prassi che ne sono scaturite, inducono politici e cittadini a comportamenti che non conducono ad una armonica composizione degli interessi e spingono quindi il Paese verso l’incertezza, il familismo amorale, e in definita la disgregazione del comune senso di appartenenza ad una società competitiva e solidale?

Non è vero che bisogna adattare le regole ai comportamenti ed alle carenze culturali dei cittadini. Sono le regole che spesso danno un quadro di riferimento al quale i singoli si adattano spontaneamente e talvolta per la paura di sanzioni (sociali prima che penali) che vengono comminate in maniera equa e credibile. Ebbene le nostre regole hanno portato a degenerazioni tali della politica e del costume nazionale che, pur ammettendo che ci siano delle cause antropologiche profonde che spingono gli italiani e lo Stato a nutrire una profonda diffidenza reciproca, sono ora di un tale livello da non poter essere più sopportate. Nel 460 Dc, alla vigilia della dissoluzione dell’Impero Romano d’Occidente, uno studio della cancelleria di Costantinopoli individuava i tre mali dell’Occidente a cui occorreva porre rimedio per salvare quella parte dell’Impero: troppi attori sul campo di gioco in perenne conflitto tra loro, la crisi fiscale dello Stato, la mancanza di regole condivise per dare adeguato supporto all’autorità. La vera causa della crisi non andava ricercata tanto nei barbari che premevano alle porte, ma nel disfacimento della società e nell’inconsistenza del potere centrale.

Nel diverso, e fortunatamente meno drammatico, contesto storico attuale, quei tre mali sembrano ancora percorrere le strade dell’Italia odierna. Per arrestare la china del declino sulla quale stiamo scivolando da tempo, il cambiamento delle regole appare una tappa fondamentale. Da esso potranno discendere sia un adeguato ripensamento del ruolo e delle responsabilità delle autonomie locali, sia un diverso impegno dei cittadini verso le sorti dell’intera collettività, piuttosto che, come ha detto il Governatore della Banca d’Italia, essere rivolto solo verso la difesa ad oltranza delle proprie rendite e di quelle della propria corporazione.

Difficile credere, come invece pensa Ezio Mauro, che con queste regole i partiti ed i singoli politici possano cambiare il loro atteggiamento che li spinge ad occupare lo Stato in tutte le sue articolazioni, ad utilizzare il potere per soddisfare in primo luogo i propri appetiti e quelli delle proprie clientele. Cambiare le regole non è una scorciatoia, ma è proprio la necessità di prendere atto che la politica non può trovare in sé stessa la forza per attuare quei rimedi che sarebbero necessari per riconquistare la fiducia dei cittadini e soprattutto per indurre un generale cambio di mentalità in tutti i settori della società italiana. Forse anche il cambio della Costituzione, da solo non basterà a riportare l’Italia nella prima classe dei paesi del mondo, ma almeno proviamo a discuterne seriamente senza alimentare un fuoco di sbarramento preventivo che, alla fine, serve solo a coloro tra i politici e tra i vari gruppi di potere, che pur combattendosi ogni giorno, in realtà non vogliono cambiare proprio nulla.

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