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Kaliningrad: il tallone d’Achille della Nato nella guerra Russia-Ucraina. Ecco perché e quali sono i pericoli

Kaliningrad è la Russia fuori dalla Russia, punto di passaggio tra l’Europa Nord Orientale e i tre Paesi Baltici. La guerra, dopo Kiev, potrebbe spostarsi qui.

Kaliningrad: il tallone d’Achille della Nato nella guerra Russia-Ucraina. Ecco perché e quali sono i pericoli

C’è un posto in Europa dove gli abitanti hanno i nervi a fior di pelle quanto coloro che vivono a  Kiev. È Kaliningrad, la Russia fuori dalla Russia, l’exclave sul mar Baltico tra la Polonia e la Lituania, in tutto scarsi 500mila abitanti. E precisamente sono molto nervosi coloro che vivono a ridosso del corridoio di Suwalki, una striscia di terra lunga 104 chilometri che da Kaliningrad porta in Bielorussia e che viene descritto dagli esperti di cose militari come il tallone di Achille dell’Alleanza atlantica nell’Europa nord orientale. 

In caso di offensiva russa contro la Nato – dicono questi esperti – basterebbe a Mosca chiudere questo passaggio per isolare dal resto dell’Alleanza tutti e tre i Paesi Baltici, Lituania, Lettonia ed Estonia, con le relative truppe Nato stanziate sui loro territori.  Cosicché “la Russia potrebbe prendere il controllo dei Paesi Baltici più rapidamente di quanto potremmo difenderli”, come ha sempre temuto il generale Ben Hodges, ex comandante delle truppe Usa in Europa.

La guerra, dopo Kiev, quindi potrebbe spostarsi qui, in qualunque momento. Ma se è così, perché a Kaliningrad hanno paura? Dopotutto la regione farebbe parte della squadra dell’attaccante. 

I timori di Kaliningrad

Al di là della constatazione semplice che non c’è nessuna guerra che sia una passeggiata né per chi attacca né per chi si difende: morti e macerie sono pari ovunque. C’è qualcosa di più nel caso di Kaliningrad. E per capirlo bisogna andare un po’ più a fondo del suo destino. 

“Chiave” e “serratura” nello stesso tempo, secondo la bella definizione che ne fa su geopolitica.info lo studioso Nicolò Sorio, se Kaliningrad è il tallone di Achille per la Nato, rappresenta per la Russia il paradigma del dilemma della sicurezza.  

Quando le relazioni fra russi e Occidentali tendono al bello – riflette Sorio –  essa appare come la “chiave” strategica per aprire le porte dell’Europa alla Federazione. Ecco quindi  che essa diventa il luogo più avanzato della sperimentazione economica (è Zona Libera),   politica (unica Oblast’, Regione, guidata da un plenipotenziario con poteri di un presidente vero), avanguardia di un sistema ibrido fra centralismo e liberalismo. Ma quando, come adesso, nei rapporti fra Mosca e Occidentali il barometro tende al brutto, allora la “chiave” viene gettata via e Kaliningrad diventa solo “serratura” impenetrabile.  

È come se un giorno ti dicessero che sei libero e ricco e il giorno dopo ti gettassero in prigione e ti privassero di ogni cosa.  

La storia di Kaliningrad

Prima dell’era sovietica Kaliningrad (dal nome del presidente del Presidium del Sovietico Supremo Kalinin) si chiamava Koenisberg, ed era stata la capitale della Prussia orientale, un pezzo di Germania separata dalla Germania dopo la Prima guerra mondiale secondo il trattato di Versailles, la storia si ripete qualche volta. Alcune cose che vanno tenute a mente di  Koenisberg: vi nacque il filosofo Kant ed è la patria dell’ambra essendo il 90% del minerale del pianeta estratto qui. 

Per chi ama la storia passata potremmo aggiungere che fu fondata dai Cavalieri Teutonici nel 1255: e per tornare a tempi più recenti, non andrebbe dimenticato nemmeno che qui,  in un bunker oggi diventato museo,  l’ultimo comandante delle truppe naziste, Otto Lasch, firmò la resa all’esercito sovietico, il 9 aprile 1945.   

Anche Koenigsberg, come Dresda e altre città tedesche e europee, fu completamente distrutta dalle bombe degli Alleati; alla fine dei 300mila abitanti ne restarono solo 20mila, tutti tedeschi, “invitati” dai vincitori a lasciare la città, visto mai fosse comparsa un’altra “questione dei Sudeti”. Seguì una massiccia politica di slavizzazione tanto che oggi, per dare l’idea, l’exclave viene chiamata  “la piccola Russia”.

Unico porto del Paese in cui il mare non ghiaccia mai, era il fiore all’occhiello della Marina Sovietica, ospitando 32 sottomarini e un’Armata di 90mila uomini. L’implosione dell’impero nel 1991 ebbe conseguenze terribili: l’armata fu sciolta, i sottomarini scesero a 2, i soldati non sapevano cosa fare del loro mestiere. Mentre gli Stati vicini, Polonia, Baltici, tutti Paesi dell’Ex Urss, da amici si trasformarono in nemici. 

Ma Mosca non sottovalutò il pericolo del disfacimento. Il primo presidente della nuova Russia, Boris Eltsin, riconoscendone il valore strategico, proclamò il territorio Zona Economica Libera, denominata Jantar, cioè Ambra in russo, da una delle maggiori risorse della regione, come si è visto. E poi creò la figura di Plenipotenziario Presidente.  

Mentre i rapporti  con i Paesi europei e con i vicini si potevano tenere senza passare per Mosca. Si vide Vilnius aprire un consolato a Kaliningrad, e non c’era bisogno di visto per visitare le due città almeno per trenta giorni. La Russia “aperta” prima di Putin. 

La svolta di di Putin: addio all’occidentalizzazione

Poi la gelata. Nel 1999, Putin, allora Primo ministro, durante il Vertice Russia-Ue di Helsinki chiarì che d’ora in avanti per Kaliningrad ci sarebbe stata “un’occidentalizzazione strategica guidata da pragmatico nazionalismo”. Che voleva dire nessuna occidentalizzazione.

E poi arrivarono le crepe vere e proprie. Nel 2005 alla manifestazione per i 750 anni della fondazione di Koenigsberg, i Paesi vicini non furono invitati, né la Polonia né i Baltici, uno sgarbo al passato comune della città, visto che la ex Prussia orientale, di cui essa fu la capitale, alla fine della guerra fu divisa tra Russia, Polonia e Lituania. 

Poi, nel 2012, dopo la guerra con la Georgia (2008) Putin decise di lanciare il programma di modernizzazione delle Forze Armate e Kaliningrad ne diventò il cuore rivivendo il destino di una nuova militarizzazione. Per gli appassionati di strategia militare Kaliningrad è oggi il perno di quel programma chiamato Anti-Access/Area-Denial (A2/AD), che consiste in tenere sotto scacco i nemici impedendogli ogni manovra, sul fianco nord dell’Alleanza Atlantica. 

Puntando direttamente al tallone di Achille, come si diceva: conquistare 104 chilometri, non di più. Perché se sono quelli giusti sono più che sufficienti per spezzare il morale dei nemici.   

Kaliningrad nella guerra Russia-Ucraina

Dal dicembre scorso, quando è cominciato il nuovo braccio di ferro fra Russia e Nato, seguito alla conferma da parte di Washington che l’Ucraina potrà (un giorno o l’altro) entrare nell’Alleanza, a Kaliningrad è tornato il terrore. Palpabile quanto quello che scoppiò nel 2017, quando i vicini Polonia e Paesi Baltici, rafforzarono i loro sistemi di difesa. Che – tradotto – volle dire più armi spianate contro la città. 

La Polonia, per esempio, dopo aver scritto nei documenti ufficiali che la Russia è il suo principale avversario (non sorprendendo più di tanto in realtà), al netto delle truppe Nato stanziate (un migliaio di effettivi) ha rafforzato il suo esercito con oltre 50mila uomini, 128 carri armati Leopard 2PL e un sistema di missili Patriot. 

Quanto ai Baltici, alcuni di essi, come la Lituania, quella più vicina a Kaliningrad appunto,  ha autorizzato perfino il possesso di armi sofisticate a membri di gruppi paramilitari. 

Ora che tutti gli occhi degli Occidentali sono puntati sul confine orientale dell’Ucraina, magari con lo sguardo degli osservatori che si allunga un po’ verso la Bielorussia, non mollando il Mediterraneo, non si può tenere fuori dal mirino Kaliningrad. È la punta di diamante dell’attaccante. 

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