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Jobs Act fuori dalle nebbie: ecco che cosa cambierà con il contratto di lavoro a tutele crescenti

Al di fuori della febbre ideologica che ne ha contrastato il debutto, il nuovo contratto di lavoro a tutele crescenti supera l’articolo 18 e introduce più flessibilità nel mercato del lavoro infrangendo il tabù della reintegra, che varrà solo in casi limitati – Ecco come funzioneranno le nuove regole del gioco.

Jobs Act fuori dalle nebbie: ecco che cosa cambierà con il contratto di lavoro a tutele crescenti

La tendenza tutta italiana a discutere di questioni economiche , in special modo quelle riguardanti il mercato del lavoro, in termini ideologici o generalmente politici, ha portato spesso a trascurare il merito delle questioni e a non valutare gli effetti concreti dei necessari cambiamenti.

Quando Matteo Renzi ha posto l’ esigenza di riformare l’ art. 18, la CGIL, ausiliata recentemente dalla nuova segreteria della UIL, ha per l’ ennesima volta alzato delle barriere vetero-laburiste con il dire che l’ art. 18 era una “norma di civiltà”, dimenticando di ricordare che tutti i lavoratori delle aziende sotto i 15 dipendenti non ne sono coperti e che non si possono ritenere incivili tutti i paesi europei, per non parlare degli Stati Uniti, dove una norma simile non esiste, se non in Germania peraltro con la clausola dell’ opting out.

CGIL e UIL sono arrivati alla rottura con il Governo proclamando lo sciopero generale e magari, dopo l’ entrata in vigore delle nuove norme, promuoveranno un referendum abrogativo, così come fece la stessa CGIL quasi trent’anni fa, ricevendo una sonora bocciatura dal corpo elettorale.

La tesi della CGIL è sempre stata che l’ art. 18 è un deterrente contro i licenziamenti di massa e che oggi, nel bel mezzo di una grave crisi economica, non si può dare questa libertà alle aziende. Questa semmai sarebbe una riforma da fare (secondo il vecchio adagio “non fare oggi quello che puoi promettere di fare domani”) nei periodi di espansione dell’ economia quando è facile per i lavoratori passare da un lavoro ad un altro, ma non oggi quando il lavoro non c’è.

Il ragionamento trascura però di considerare che in realtà l’ art. 18 non difende i lavoratori rispetto alla chiusura delle aziende come dimostra il rilevante aumento della disoccupazione registrato negli ultimi anni, mentre è evidente che il cattivo funzionamento del mercato del lavoro è stato uno degli elementi che hanno tenuto lontani gli investitori esteri dall’ Italia.

E se non si sapranno riformare tutti i fattori di freno che da lungo tempo comprimono la competitività del Paese, ben difficilmente si potrà sperare in una ripresa economica che possa creare nuova occupazione. Per cercare di ottenere questo risultato, Matteo Renzi si è proposto di realizzare uno scambio tra una minore flessibilità in entrata (incentivando le assunzioni a tempo indeterminato) e una maggiore flessibilità in uscita (attenuando il regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi). Obiettivo che si può ritenere in buona parte raggiunto con lo “schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”, presentato in Consiglio dei Ministri il 24 dicembre scorso.

Il decreto disciplina un nuovo regime di tutele nel caso di licenziamento illegittimo per tutti i lavoratori operai, impiegati e quadri che saranno assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, a partire dalla data di entrata in vigore del decreto stesso.
È da rilevare che, per favorire lo sviluppo delle piccole imprese, è prevista, qualora una impresa superasse la soglia dei 15 dipendenti in virtù di assunzioni a tempo indeterminato, l’applicazione delle nuove tutele anche al personale antecedentemente assunto, anzichè il mero art. 18 come da attuale normativa.

Con questo decreto viene, per i nuovi assunti, definitivamente infranto il tabù dell’ intangibilità della sanzione reintegratoria, che aveva resistito anche con la Legge Fornero, in quanto, come soluzione compromissoria con la sinistra sindacal-laburista, lo spazio riconosciuto dall’ art. 18, come riformato nel 2012, al rimedio puramente indennitario è stato residuale ed è stato ulteriormente compresso dai giudici in questi due anni di sua applicazione.

Ora la reintegrazione viene mantenuta soltanto:
a) per il licenziamento discriminatorio, per motivo illecito o in caso di matrimonio e gravidanza o intimato in forma orale
b) per il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, quando il fatto contestato non sussiste, se direttamente dimostrato in giudizio a prova del lavoratore licenziato.

In tutti gli altri casi la sanzione meramente indennitaria senza la reintegra opera :
– indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale da 4 a 24 mensilità, sulla base dell’ anzianità aziendale
a) quando il licenziamento intimato per giusta causa o giustificato motivo soggettivo si rivela illegittimo, ma non per una insussistenza così plateale del motivo addotto, come quella che legittima la reintegrazione
b) quando non ricorrono gli estremi tecnico-organizzativi o economici per un licenziamento per giustificato motivo oggettivo
– indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale da 2 a 12 mensilità
c) per il licenziamento inefficace per vizi meramente formali o procedurali.

E’ comunque doveroso segnalare che la nuova disciplina delle tutele crescenti, pur se semplificata (e traducibile in inglese!) rispetto alla complessa articolazione dell’ art.18 della Legge Fornero, rischia di affidare nuovamente al Giudice quell’ampia discrezionalità valutativa sulla “insussistenza” o meno del fatto materiale, che sarebbe stato opportuno comprimere anche con il ricorso all’ opting out, in funzione di esigenze di certezza dei rapporti giuridici.

Peraltro, proprio per dare certezza ai costi da sostenere nei piani aziendali di riduzione del personale, un pò a sorpresa, attese anche le smentite precedenti del Ministro Poletti, il decreto ha esteso il regime indennitario dei licenziamenti economici individuali (per giustificato motivo oggettivo) anche ai licenziamenti collettivi, che sono economici per definizione.

La nuova disciplina riguarda infine anche le organizzazioni di tendenza, che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di religione o di culto, e che finora, in qualità di datori di lavoro, erano state esonerate dall’ applicazione dell’ art.18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori nei confronti dei propri dipendenti. Da domani queste organizzazioni dovranno applicare ai propri lavoratori quei diritti che hanno sino ad oggi ben predicato agli altri!

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