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Danieli: “L’Opificio Golinelli è diventato Città della conoscenza e della cultura”

INTERVISTA ad ANTONIO DANIELI, Direttore generale della Fondazione Golinelli: “In soli due anni il nostro Opificio ha ampliato il suo raggio d’azione e raccolto in un solo ecosistema l’intera filiera che comprende educazione, formazione, ricerca, innovazione, nuova imprenditorialità e finanza per coltivare creatività e talento delle nuove generazioni”.

Danieli: “L’Opificio Golinelli è diventato Città della conoscenza e della cultura”

Per coltivare e tenere i cervelli in Italia il segreto c’è: bisogna offrire loro delle opportunità ed è quanto intende fare la Fondazione Golinelli di Bologna. Per intercettare la creatività e il talento, per intagliare le potenzialità come un diamante l’Opificio voluto da filantropo Marino Golinelli diventa grande, trasformandosi da “Cittadella” della conoscenza e della cultura in “Città”, con proiezione internazionale. Per farlo raddoppia la superficie disponibile (da 9mila a 14mila, da 5mila metri quadrati coperti a 10mila) e amplia il suo raggio di azione, chiudendo in un solo ecosistema l’intera filiera, che comprende educazione, formazione, ricerca, trasferimento tecnologico, nuove imprese, business model innovation, investimenti finanziari.

Si tratta di un disegno strategico di lungo respiro, che non a caso si chiama Opus 2065, ma poiché il futuro è adesso, gli spazi sono già in parte completati, il resto è in dirittura d’arrivo entro il 2018, i progetti sono già partiti. FIRSTonline ne parla con Antonio Danieli, direttore generale della Fondazione.

Dottor Danieli, l’Opificio Golinelli ha appena festeggiato il suo secondo compleanno: l’obiettivo era quello di creare la cittadella per la conoscenza e la cultura per i giovani che vivranno il futuro. E’ stato raggiunto? Che bilancio si può fare di due anni di attività?

“Il bilancio mi sembra ampiamente positivo. La Fondazione Golinelli ha 30 anni, ma ha avuto un’accelerazione da quando c’è l’Opificio e le nostre attività sono state concentrate in questo luogo. Dal 2015 a oggi le persone che sono passate da noi sono circa 200mila, soprattutto ragazzi; dal 2009 contiamo un milione di presenze. Gli ultimi 24 mesi, anche con l’introduzione di Opus 2065, sono stati di transizione, abbiamo messo radici profonde per costruire un futuro solido. La cittadella sta diventando una vera città, un ecosistema che copre l’intera filiera, dai primi passi nell’educazione dei bambini, alla formazione degli insegnanti, alla ricerca, al trasferimento tecnologico, alla creazione di Start Up, alla finanza, all’impresa. Tutto questo è possibile anche grazie alla contaminazione con una serie di partner. Per esempio abbiamo introdotto un dottorato in Big Data con l’Università di Bologna, il Politecnico di Milano, il Cineca, Ifn e IIt, Fondazione Isi. Abbiamo 110 candidature e 15 borse della durata di 4 anni già assegnate, in lingua inglese. Stiamo già lavorando a un secondo ciclo. Le borse aumenteranno e sta crescendo molto l’interesse delle imprese verso l’iniziativa”.

I prossimi passi quali saranno?

“Stiamo costruendo nuovi spazi e l’Opificio diventerà anche un incubatore d’imprese, saranno 14mila metri quadrati entro dicembre 2018. Poiché non c’è impresa senza un investimento iniziale, ci stiamo occupando dell’aspetto finanziario. Al convegno “Il Mondo Nuovo. Formazione, Ricerca e Finanza: utopie concrete per lo sviluppo”, che si è svolto mercoledì scorso nella nostra sede, abbiamo parlato proprio di questo. Intanto abbiamo creato il fondo Utopia con Principia Sgr. La dotazione iniziale è di 70 milioni di euro, ma l’obiettivo è di raccogliere altre risorse”.

Come vi rapportate con le istituzioni?

“Da tempo abbiamo accantonato l’idea della sussidiarietà. Noi siamo snelli e possiamo essere un pungolo per le istituzioni, una sorta di turbo nel motore della formazione e della creazione d’impresa. Il nostro atteggiamento fattivo ha fatto breccia e siamo sempre riusciti a lavorare con la parte pubblica, senza distinzioni politiche, perché il fare è un linguaggio universale. Attualmente siamo uno dei 58 laboratori territoriali creati in Italia. Abbiamo un ottimo rapporto con il Miur e anche gli ampliamenti che stiamo facendo all’Opificio sono stati ben accolti dagli enti locali, non abbiamo incontrato ostacoli burocratici. Il nostro obiettivo è tenere i cervelli in Italia e i nostri interlocutori lo capiscono. Il lavoro di rete d’altra parte secondo noi è importantissimo, per questo cerchiamo di lanciare ponti e disegnare traiettorie convergenti. La Fondazione è un enzima per avvicinare e far correre veloci e insieme tutti gli attori, imprese università, centri di ricerca scuola e istituzioni”.

Siete una realtà unica a livello nazionale: ma questo radicamento territoriale non vi va un po’ stretto?

“Da qui ampliamo i nostri rapporti a raggiera e possiamo collegarci con il mondo. Il nostro è un lavoro capillare sul territorio: da Bologna guardiamo a Modena e Ferrara, a Firenze e a tutto il centro nord (Torino, Milano Trento Padova). L’Opificio Golinelli ambisce però a diventare un hub per l’innovazione scientifica e tecnologica di caratura europea che dialoghi con tutti, da Tel Aviv a Londra. Stiamo ingrandendo e ampliando la nostra rete perché solo su dimensioni significative si compete a livello internazionale o almeno ci si fa notare”.

Recentemente avete inaugurato il nuovo Centro arti e scienze Golinelli: in che modo volete unire questi due mondi, quello dell’arte e quello della scienza, apparentemente lontani?

“Il Centro arti e Scienze Golinelli completa la nostra visione. C’è una ricerca su come tenere insieme “arte, scienza e tecnologia”, vogliamo intercettare le parabole convergenti dei diversi settori scientifici e tecnologi, dalla meccatronica, alla domotica, dall’automotive, alla robotica, deep learning machine learning, biotech, life sciences, fisica quantistica. L’Italia ha un gusto particolare per la bellezza e per l’arte e ha un DNA produttivo importante. Vogliamo unire questi due mondi, modificandoli geneticamente nell’ambito del paradigma industry 4.0, per diventare sempre più competitivi, senza rinunciare alla nostra identità. Dobbiamo partire da chi siamo e dalle qualità che abbiamo per migliorare la nostra competitività”.

Lei ha recentemente sostenuto che l’Opificio è il vestito, ma che più importante è la visione di chi lo indossa e che il segreto del successo è Marino Golinelli, grande filantropo e ideatore dell’Opificio: come si può riassumere la vision della Fondazione Golinelli?

“Marino Golinelli ha saputo trasformare in un grande progetto la sua visione del mondo. Lui è un imprenditore di  grande successo e ha sentito il bisogno di restituire alla società parte di quanto ha ricevuto. Per questo ha voluto l’Opificio: un luogo dove i giovani possano sfruttare i loro talenti, trasformando la loro energia, in impresa, come ha fatto lui e restituendo, magari, un giorno, parte di quanto avranno ricevuto. È sicuramente un circuito virtuoso che Golinelli ha messo in moto, partendo proprio da suo sguardo sul mondo. La sua è un’azienda farmaceutica e il tema del benessere e della salute è al centro del lavoro dell’Opificio. Oggi Marino Golinelli, che ha 97 anni, ha fatto un passo di lato. È presidente onorario e ha passato il testimone al presidente Andrea Zanotti, gli sguardi si sono moltiplicati e hanno arricchito la visione d’insieme, ma il seme iniziale resta quello che ha fatto crescere questa grande pianta”.

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