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Internet e occupazione, come agganciare innovazione e crescita in tre mosse

Telecom Italia chiama a Roma economisti ed esperti – Recchi: “In Europa 900mila posti scoperti nell’Ict nel 2017. Adattarsi per salvarsi” – Patuano: “Il gruppo va verso la public company” – Giulio Sapelli (Università di Milano): “Alzare la remunerazione” – Pronti 7 miliardi pubblici per il Piano banda larga – Padoan rassicura sullo scorporo

Internet e occupazione, come agganciare innovazione e crescita in tre mosse

Catastrofe economica o opportunità rivoluzionaria? Internet e l’avanzamento tecnologico (Ict) cambiano il modo di lavorare e produrre, cancellano centinaia di migliaia di posti di lavoro ma ne offrono molti e molti altri. Il saldo è positivo o negativo? Il progresso tecnico certamente porterà occupazione ma come sarà la transizione? E come saranno distribuiti i benefici? La premessa, come sempre, è nei numeri: il 97% dei posti di lavoro a rischio negli Usa, spiega Giuseppe Recchi, presidente di Telecom Italia, è dovuta al fatto che in futuro quei lavori saranno sostituiti da macchine. Per esempio, le stampanti tridimensionali metteranno fuori mercato alcuni mestieri nell’industria. Allo stesso tempo, “la commissione europea stima che 900.000 posti di lavoro mancheranno nel 2017 nel comparto Ict (nonostante la disoccupazione giovanile sia al 43% in Paesi come l’Italia) a causa di mancanza di competenze adeguate. E’ impressionante”, conclude il manager Telecom. E per capirne di più il colosso nazionale di tlc ha chiamato economisti ed esperti per  scandagliare il nuovo mondo che si apre, dedicandogli una intera giornata di studio (“Internet, jobs & skills: an opportunity for growth”). 

Fine delle fabbriche

“Siamo di fronte alla fine delle fabbriche? Internet e la tecnologia – osserva Recchi – creano un nuovo modo di lavorare e rivoluzionano tutta la catena produttiva. L’Ict e il mondo delle telecomunicazioni ci stanno cambiando la vita; logico quindi che un’azienda come Telecom, con 60.000 dipendenti, si interroghi sugli scenari che si stanno aprendo. L’innovazione ha successo perché migliora la vita della gente e crea nuove opportunità ma dobbiamo chiederci cosa comporta la transizione, cosa sarà il mondo del lavoro non solo in futuro ma già oggi sapendo che il lavoro del futuro sarà diverso. Dobbiamo cercarlo adesso, preparando i nostri figli. Prima ci adattiamo e prima ci salveremo”.

Favorire la transizione

Siamo allora di fronte all’alternativa meno braccia e più bit? Il nodo è planetario e investe anche la sfida tra economie mature ed emergenti. “Indubbiamente siamo di fronte ad una de-industrializzazione di alcuni mestieri – afferma in video Eli Noam di Columbia Business school – ma anche ad una de-servizizzazione di altri. E tuttavia ci sono mestieri che non è possibile digitalizzare: come la cameriera d’albergo o l’operaio impiegato nella costruzione di autostrade. Sono i lavori “di mezzo” ad avere i maggiori problemi mentre crescono i lavori professionali così come quelli di basso profilo”. Luci e ombre dell’avanzata della tecnologia. Chi sopravvivrà alla “gara con le macchine”? Andrew Mc Afee, ricercatore di Mit, è ottimista: “Le imprese di successo di domani combineranno ciò che le persone sanno fare con quel che sanno fare le macchine”. Conciliare due tipi di intelligenze e competenze è possibile? Più che altro è necessario. “Chi finora è riuscito ad adattarsi – ammonisce Andrea de Panizza , senior economist Ocse-Istat – ha vinto ed è riuscito a conciliare crescita ed occupazione. Ma non è semplice; il futuro può non essere roseo ed il ruolo delle politiche è di favorire il processo di adattamento perché sia di successo”.

Rete, prezzi e public company

“Ragionamenti interessanti – osserva però Giulio Sapelli dell’Università di Milano – ma qui il convitato di pietra è il regolatore, italiano ed europeo. Ci dimentichiamo che siamo di fronte a sistemi regolati e che la regolazione, negli ultimi 20 anni, ha abbassato i margini delle aziende e si è dimenticata di incoraggiare gli investimenti”. Proprio quel che chiede invece Marco Patuano, ad di Telecom: “Abbassando i prezzi si è puntato sulla democratizzazione dei servizi. Ma se si vogliono fare ripartire gli investimenti non si può non considerare anche il tema delle regole per un settore così innovativo” in cui il gruppo investe 3 miliardi l’anno per arrivare a coprire nel 2016 il 50% della popolazione con la fibra sul fisso e oltre l’80% sul mobile con Lte. Una trasformazione dell’infrastruttura che procede insieme alla ‘mutazione’ del Dna del gruppo. “Andiamo vero un modello di public company – ha concluso Patuano – e lavoriamo per l’interesse dell’azienda, al di sopra dell’interesse dei singoli azionisti in un mercato di investitori di beve e ma anche di lungo termine”.

Il tema della remunerazione e della rete torna dunque centrale proprio ora che il governo sta per presentare all’Europa il piano nazionale per la banda larga che mette sul piatto 7 miliardi di risorse pubbliche per un upgrade della rete in fibra da 30 a 100 Megabit. Ma il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan tranquillizza Telecom sul tema dello scorporo:“Le strategie delle imprese – assicura – sono decise dalle imprese, non dal governo. Ma è interesse di tutti far ripartire gli investimenti. Quelli pubblici ma soprattutto quelli privati”. E qui sono in gioco, ricorda, i provvedimenti già presentati o in corso d’opera: Sblocca Italia, piano banda larga, legge di Stabilità. Basteranno a “mettere le imprese nella miglior condizione per investire”? Lo vedremo molto presto.


Allegati: Gli effetti dell’Ict sul lavoro – Ocse.PDF

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