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In Borsa conviene riposizionarsi verso ciclici ed emergenti

Da “IL ROSSO E IL NERO” di ALESSANDRO FUGNOLI, strategist di Kairos – Oggi “Borse e bond galleggiano senza troppi problemi e più che alleggerire si tratta, in questa fase, di riposizionarsi verso ciclici ed emergenti nella speranza ragionevole che l’economia americana, grazie al dollaro più debole, torni ad accelerare”

In Borsa conviene riposizionarsi verso ciclici ed emergenti

Il vero esotismo non è viaggiare dall’altra parte del mondo per scoprire le differenze tra un McDonald’s asiatico e uno di casa nostra. Esotismo è viaggiare nel tempo. Non nel futuro, dal momento che la fantascienza è inevitabilmente proiezione del presente, ma nel passato anche prossimo, così strano e così alieno.

Ci fu un tempo, dall’origine della nostra specie fino a un secolo e mezzo fa, in cui il concetto di privacy era praticamente sconosciuto e perfino il corpo del sovrano era pubblico. Re Sole provvedeva ogni mattina ai bisogni del corpo in una grande sala e nel frattempo discorreva di affari di stato con ospiti e cortigiani. Aveva però il privilegio di potere dormire da solo, se voleva. La camera da letto, dal neolitico in poi, era comunque un concetto noto solo alle classi alte delle città. Nelle campagne del mondo la stragrande maggioranza degli esseri umani, una volta uscita dalle grotte, aveva sempre vissuto in comune in quello che oggi chiameremmo un monolocale senza bagno, che fosse uno yurt dell’Asia centrale, una capanna africana o una cascina padana da albero degli zoccoli.

In questo monolocale si dormiva tutti insieme cercando di affrontare il gelo delle notti d’inverno senza disperdere calore. Nelle campagne cinesi di 7 mila anni fa si dormiva su pietre che erano state precedentemente messe vicino al fuoco, nella domus romana era già in uso il camino, ma indumenti spessi e pesanti coperte erano comunque indispensabili per sopravvivere. Con dieci o venti persone tutte insieme le notti erano movimentate e le coperte, tirate da tutte le parti, si rivelavano regolarmente troppo piccole e lasciavano inevitabilmente scoperto qualcuno.

Oggi abbiamo i termostati e le termocoperte, mentre al MIT hanno già pronta una pellicola di polimeri alimentati a energia solare che, applicata al pigiama, può regolarne a comando la temperatura. Il concetto di coperta troppo corta rimane però, come metafora, quando in economia si parla di risorse scarse da distribuire.

A livello globale, come è ben noto, il bene scarso di questi nostri anni è la crescita, che è la coperta che ci protegge dalla disoccupazione di massa e dall’instabilità sociale. Questa coperta è così preziosa che i vari paesi cercano ogni volta che possono di tirarla dalla loro parte svalutando la loro moneta. Poiché però la mia svalutazione è la rivalutazione degli altri ecco che si usa dire che i riallineamenti sono a somma zero. Se svaluto esporto di più e importo di meno, ma a spese dei miei vicini. La crescita globale resta invariata e la guerra valutaria genera solo instabilità e confusione, per cui può addirittura risultare a somma negativa se il mio vantaggio competitivo diventa più piccolo del danno creato agli altri.

Questo, quanto meno, è quello che si usa dire, scuotendo la testa, soprattutto quando a svalutare sono gli altri. Come tutte le frasi fatte (e come molte delle regole che si studiano sui manuali di economia) la teoria della somma zero vale qualche volta, ma non sempre.

Ci sono infatti due casi in cui tirare la coperta può risultare a somma positiva e produrre più calore per tutti.

Il primo caso è quando si tira la coperta tutti insieme, allargandola (si suppone in questo caso che la coperta sia elastica). Se tutti i paesi creano contemporaneamente nuova base monetaria attraverso il Quantitative easing è come se tutti svalutassero l’uno verso l’altro. I rapporti di cambio rimangono alla fine invariati e si crea uno stimolo. Se lo stimolo mette in moto risorse inutilizzate crea crescita, se le risorse inutilizzate non esistono più crea solo inflazione. Se le risorse inutilizzate esistono ancora, ma non hanno voglia o modo di essere utilizzate lo stimolo ritorna al mittente (le banche ridepositano in banca centrale i soldi del Qe) e non succede niente. In questi anni abbiamo visto che lo stimolo ha avuto in parte il primo effetto e in parte il terzo. Alla fine, per quanto inferiore alle attese, è stato positivo.

Il secondo caso di coperta tirata a somma positiva è quando la coperta, senza cambiare forma o dimensione, viene spostata da una parte e dall’altra con uno spirito di cooperazione. Tutti abbiamo freddo, ma se qualcuno ha la febbre (e a turno capita a tutti) accettiamo di rimanere con una gamba o un braccio scoperti per coprire bene il malato. Se si tratta di un figlio piccolo lo facciamo volentieri, se si tratta di un parente lontano siamo meno lieti ma lo facciamo lo stesso. È lo spirito con cui si va ad aiutare il vicino che ha la casa a fuoco perché si sa che il fuoco potrebbe arrivare anche da noi.

In questi anni post-2008 la coperta l’hanno tirata per primi gli Stati Uniti, che hanno inventato (o riscoperto) il Qe e hanno deciso che se non guarivano loro non sarebbe guarito comunque nessuno. Gli altri hanno accettato. Lo yen è salito fino a 80, l’euro fino a 1.50 e il renminbi ha continuato a rafforzarsi fino all’agosto scorso.

Gli Stati Uniti sono guariti e si è ammalato invece il Giappone, che nel 2013 e poi di nuovo a fine 2014 ha svalutato fino a che non sono occorsi 125 yen per comprare un dollaro. Nessuno dei vicini ha fatto i salti di gioia ma Abe è stato bravo a convincere il mondo che la svalutazione, accompagnata dalle altre misure fiscali e strutturali, ci avrebbe restituito un Giappone risanato.

Nella primavera del 2014 è stata l’Europa, con la sua parte meridionale esausta dopo tre anni di austerità, a mettersi in malattia e a curarsi con Qe e svalutazione. Anche questa volta i vicini hanno accettato di spostare la coperta. Un’implosione dell’Europa in un mondo fragile sarebbe stata devastante.

Nel 2013 hanno cominciato ad ammalarsi anche molti emergenti. La febbre si è alzata di nuovo nel 2015 per i molti di loro che producono materie prime e ha raggiunto in certi casi livelli pericolosi. E così l’anno scorso è stato loro concesso di tirare la coperta aggressivamente. Oggi non sono guariti, ma sono comunque sopravvissuti a una crisi gravissima e, sia pure barcollanti, sono di nuovo in piedi.

Nel 2015, in agosto, la Cina ha smesso di fare finta di essere sana e ha fatto capire ai vicini di non farcela più a stare agganciata a un dollaro sempre più forte. In settembre la Yellen ha dichiarato ufficialmente che anche agli Stati Uniti cominciava a mancare il fiato. Questa idea è stata poi ribadita dalla stessa Yellen due settimane fa. Da settembre a oggi, del resto, l’economia americana è cresciuta pochissimo. Da qualche tempo, quindi, sono gli Stati Uniti (ufficialmente a nome della Cina) a tirare la coperta. Tutti gli altri hanno restituito all’incirca un quarto della loro svalutazione rispetto al dollaro.

Il G 20 di Shanghai di fine febbraio si conferma ogni giorno di più come un piccolo Plaza (l’accordo del 1985 che fermò l’ascesa del dollaro). Nelle settimane che sono seguite a Shanghai abbiamo visto una nuova manovra europea studiata in modo da non indebolire l’euro. Il Giappone, dal canto suo, rinunciando ad allargare ulteriormente il suo Qe, ha implicitamente rinunciato a riportare lo yen a 125 (ora è a 108) anche se la sua economia ha perso una parte notevole dei progressi dovuti alla prima Abenomics. La Corea ha accettato di rivalutare insieme allo yen e perfino la Nuova Zelanda, rinunciando ad abbassare i tassi, ha accettato di non svalutare più.

Da una parte c’è la sensazione che allargare troppo il Qe è inutile e che i tassi negativi, oltre una certa misura, siano profondamente destabilizzanti. Dall’altra c’è la richiesta americana di una tregua sul dollaro.

A questo punto la coperta è posizionata in modo ottimale, perché nessuno sta troppo bene e nessuno sta troppo male. Il paese che sta meglio, a guardare i numeri, è la Germania, che è anche quella che si lamenta più di tutti.

La Germania, da paese mercantilista che non esporta mai abbastanza e non ha mai un cambio basso come vorrebbe, ha sviluppato negli anni una grande abilità nell’atteggiarsi a vittima. Prima l’unificazione, poi i disastrosi investimenti tedeschi nella tecnologia in bolla del 1999-2000, poi il peso morto del resto dell’Eurozona, poi il 2008, poi la Grecia e l’Italia, oggi la Cina in cui è più difficile esportare, Brexit, di nuovo la Grecia, le banche italiane, i rifugiati, insomma la Germania non è mai a corto di scuse per lamentarsi non solo all’interno dell’eurozona ma anche verso il resto del mondo. Dobbiamo comunque stare attenti a criticarla troppo, noi in Italia, perché questa capacità tedesca di tenere l’euro basso pur in presenza di un surplus delle partite correnti ci fa molto comodo.

L’equilibrio attuale dei cambi può tenere a patto che tengano i suoi due anelli deboli, la Cina e l’America. Per l’America non c’è troppo da preoccuparsi perché ha una solidità strutturale senza pari. Per la Cina c’è da chiedersi quanto potrà andare avanti con lo stimolo del credito, ma per il chiedersi quanto potrà andare avanti con lo stimolo del credito, ma per il momento le cose sono sotto controllo.

L’America, sempre più vicina alla piena occupazione, ha bisogno di alzare i tassi, ma non può farlo con un dollaro troppo forte. La coperta verrà dunque aggiustata fino a che la Cina sarà capace di assorbire un rialzo americano senza svalutare. In pratica ci sarà il rialzo il giorno in cui le economie americana e cinese andranno bene contemporaneamente. La prossima verifica sarà a giugno, ma se l’America andrà piano come adesso il rialzo verrà rimandato di nuovo.

In questo clima tiepido e forse anche freddino borse e bond galleggiano senza troppi problemi. Il ribilanciamento dei portafogli dopo le vendite da panico di gennaio e febbraio è completato e lo spazio per salire è molto ridotto. In un mondo stabile (o semplicemente percepito come tale) occorrerebbe comunque uno shock esterno per fare ritracciare i mercati. Più che alleggerire si tratta quindi, in questa fase, di riposizionarsi verso ciclici ed emergenti nella speranza ragionevole che l’economia americana, grazie al dollaro più debole, torni ad accelerare.

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