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Ilva, paradigma di un’Italia che non va (al di là di chi ha ragione e chi ha torto)

Gli ingredienti del patatrac italico, dove nessuno riesce a fare il proprio mestiere, ci sono tutti: i politici che lasciano marcire i dossier sulla loro scrivania, la burocrazia che scrive regolamenti incomprensibili e la magistratura che li interpreta secondo la propensione del singolo giudice – La chiusura? Sarebbe un colpo duro all’economia nazionale

Ilva, paradigma di un’Italia che non va (al di là di chi ha ragione e chi ha torto)

Quella dell’Ilva di Taranto e’ una storia emblematica della situazione di ormai insostenibile sfascio cui e’ giunto il sistema istituzionale e burocratico dell’Italia. Prima ancora di cercare di capire chi ha ragione e chi ha torto e soprattutto se la polemica tra lavoro e salute ha davvero un senso, bisogna dire che ormai e’ evidente che nessuno riesce a fare il proprio mestiere: i politici si tengono alla larga dalle grane e lasciano marcire i dossier sulla propria scrivania, la burocrazia scrive direttive e regolamenti incomprensibili o inattuabili, la magistratura interpreta tali leggi o regolamenti a seconda della propensione personale del singolo giudice. Intendiamoci non si deve chiedere al magistrato di farsi carico di interessi dei lavoratori o di quelli generali del Paese, dato che la sua azione deve essere ispirata solo al rigoroso rispetto della legge. Ma quale legge? E interpretata da chi? Sotto questo aspetto sembra chiaro che le perizie si riferiscono a una situazione del passato e che invece non c’e certezza sulle emissioni attuali.

Ma non e’ certo il caso di addentrarci in una guerra tra periti. L’inquinamento e’ un problema anche se, secondo alcuni, non è poi così diverso da quello di cui soffrono altre grandi citta’ del Nord che non godono della brezza marina come Taranto. Inoltre i danni alle persone si registrano nei quartieri più vicini alla fabbrica molti dei quali sorti negli ultimi decenni: gli amministratori comunali non hanno nulla da rimproverarsi?

Il problema principale e’ questa ormai insopportabile supplenza della Magistratura a qualsiasi gestione ordinaria della vita pubblica. Ed il fatto che viviamo in una societa’ complessa ricca di conflitti non facilmente appianabili, non giustifica l’incapacità di agire delle nostre istituzioni a tutti i livelli. Cosa ha fatto in questi anni la regione Puglia, amministrata da quel predicatore di buoni sentimenti che si chiama Vendola? Questa vicenda e’ in primo luogo un suo fallimento, dato che da lui dipendono sanita’ ed ambiente. E se anche ci fossero responsabilità e ritardi non suoi, come senza dubbio ci sono, perché il Governatore che spesso si atteggia a capopopolo non si e’ incatenato ai cancelli dell’Ilva fino ad ottenere dai padroni dell’azienda e dal Governo di Roma gli investimenti necessari a mettere in sicurezza da fabbrica dal punto di vista ambientale e salvaguardare il lavoro di dodici mila operai?

Sotto l’aspetto puramente economico la eventuale chiusura dell’acciaieria di Taranto rappresenterebbe un colpo durissimo non solo per l’azienda dei Riva, ma per l’intera economia nazionale. Non abbiamo energia, non abbiamo la chimica, stiamo perdendo l’auto, settori fondamentali per un Paese che vuole rimanere industriale. Ora vogliamo perdere anche la siderurgia facendo così aumentare le importazioni che in qualche modo dovremmo poi pagare. Per l’energia e la chimica una parte delle responsabilita’ della nostra debolezza puo’ essere assegnato ad un malinteso senso ambientalista che ha bloccato la ricerca, i rigassificatori, il nucleare, gli impianti chimici di tutti i tipi. Casi come Seveso e la Eternit hanno segnato nel profondo la mentalità degli italiani. E questo non perché sognano la purezza della campagna incontaminata, ma semplicemente perche’ non si fidano della capacita’ dei nostri amministratori e dei nostri burocrati di far rispettare le norme vigenti, anche se, come tutti sappiamo, si tratta di norme imperfette destinate a mutare con il progresso della tecnologia. E’ una sfiducia generale che si alimenta anche di una cultura superficiale che ad esempio confonde il profitto aziendale con la competitivita’ necessaria per resistere alla concorrenza internazionale.

La strada che dovremo percorrere per rendere il nostro Paese mediamente competitivo e’ ancora molto lunga. E dovremo passare per un cambio di mentalità. Ad esempio dovremo smettere di aspettarci tutto dallo Stato, risolvendo il caso Ilva con una bella cassa integrazione a vita per tutti gli operai, come sostiene la Fiom e alcuni dei soliti commentatori della sinistra estema. Ma il groviglio dei nostri problemi non potrà essere sciolto se non partiremo da un profondo cambiamento della politica e da una revisione delle nostre istituzioni che sono ridondanti e nello stesso tempo inefficienti.

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