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Il vino sposa la storia: nel museo etrusco di Villa Giulia quello del Papa, sul Palatino e a Pompei quello dei romani

Dalla vigna didattica nel Museo Etrusco di Villa Giulia alla riscoperta della vigna di Federico IV di Borbone nella reggia di Caserta, alle vigne del Colosseo e di Pompei, il vino fa cultura

Il vino sposa la storia: nel museo etrusco di Villa Giulia quello del Papa, sul Palatino e a Pompei quello dei romani

Nacque come residenza di campagna di Giovanni Maria Ciocchi del Monte, assunto al soglio pontificio con il nome di Giulio III (1550-55). La fece costruire tra il 1551 ed il 1553 al di là del Tevere come momento ameno di riposo. Le cronache ci dicono che il pontefice vi arrivava in barca e vi si tratteneva allegramente un giorno alla settimana. E dal nome del Papa la villa venne chiamata Villa Giulia, oggi sede del “Museo Nazionale di Villa Giulia”, tra i più importanti di Roma, ricco di capolavori come “l’Apollo di Veio”, il “Sarcofago degli Sposi” e numerosi reperti della famosa “Raccolta Castellani” di oreficeria antica.

La villa originariamente era molto più estesa rispetto alle dimensioni attuali e anche molto suntuosa vi lavorarono Michelangelo il Vignola e l’Ammannati al punto che anche dopo la morte del Papa venne usata con funzioni di accoglienza per sovrani e grandi personalità in attesa di fare il loro ingresso a Roma attraverso la vicina “Porta Flaminia “: tra gli altri, nel 1565 vi fu ospitata la regina Cristina di Svezia.

Fra i giochi d’acqua del raffinato Ninfeo e gli angoli di frescura creati da un ricco giardino di piante ornamentali al cui riparo il Papa intratteneva i suoi ospiti trovò posto anche una vigna da cui ricavare del buon vino da sorseggiare in tutta tranquillità.

È certo l’attenzione particolare al vino ed alla vite è testimoniata da un ricco decoro che impreziosisce tutta la volta dell’emiciclo della villa affrescato con un pergolato con tralci di uva e viti frammisti a personaggi mitologici, tra cui Marte, Mercurio, Venere ed Apollo.

L’accostamento fra la vigna del Papa e i piaceri del vino di cui è ricca l’iconografia etrusca – di cui sono ampia testimonianza le raccolte archeologiche del Museo – è venuto spontaneo nella brillante ideazione di una vigna didattica che è stata realizzata nei giardini posteriori di Villa Giulia, ad opera dei Servizi Educativi del Museo coordinati da Vittoria Lecce. Si tratta del progetto PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento), ed ha coinvolto gli studenti dell’Istituto Tecnico Agrario Giuseppe Garibaldi.

Sangiovese e Malvasia: la vigna didattica per ricreare il mondo degli etruschi a Villa Giulia

L’idea è stata quella di guidare i ragazzi alla conoscenza della pratica della viticoltura e dell’uso del vino nel mondo etrusco. La vigna didattica – coltivata a sangiovese e malvasia del Lazio, per le origini antiche dei due vitigni – sarà anche alla base di visite guidate alle collezioni concentrate sui temi del vino e del banchetto.

La scelta delle barbatelle di due varietà: Sangiovese e Malvasia del Lazio è stata operata perché – spiega Valentino Nizzo, Direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia – “sembrano le coltivazioni più antiche documentate dalle fonti, e sembrano avere, specialmente il Sangiovese, le caratteristiche delle viti antiche”, il progetto si inquadra infatti nel contesto di ricerca e di studio del passato in una forma di archeologia sperimentale.

Per vedere i primi frutti del lavoro svolto finora occorrerà aspettare l’autunno del prossimo anno. Il professor Francesco Nardi, che segue il programma,  prevede infatti che la vendemmia, potrà avere luogo nell’autunno 2023 per una produzione di 70/80 bottiglie di grande valore simbolico. Ma il progetto è ancora più ambizioso prevede appuntamenti culturali a tema, all’interno dei quali sono ipotizzabili degustazioni guidate del vino etrusco di Villa Giulia secondo un’idea di museo aperto alla comunità.

Dal vino dei Papi ed etrusco a quello dei romani. A Roma già da qualche tempo è stata avviata un’altra interessante iniziativa.  Nell’area del parco archeologico del Colosseo, a due passi dall’anfiteatro Flavio, è stato impiantato un piccolo vigneto di 500 mq, la “Vigna Barberini” in omaggio alla famiglia romana che nel XVII secolo possedeva una vasta area dell’attuale parco archeologico, coltivata a vigneti, uliveti e orto. Pratica antica fin dai tempi dei romani che amavano l’idea di avere un orto personale. Con la fine dell’impero tutta quest’area, con il Colosseo ridotto in rovina e adibito a rifugio di poveri ed emarginati, divenne un grande campo coltivato (tutta l’area del Circo Massimo era divisa per orti), e anche le grandi famiglie nobiliari costituirono i loro orti personali.

L’uva Pantastica citata da Plinio rivive nel Bellone nel parco del Colosseo

Tre anni fa il Parco archeologico del Colosseo decise di recuperare e con la collaborazione dell’azienda vinicola Cincinnato di Cori che impiantò il vigneto sul Colle Palatino. Si decise in quel caso di mettere a dimora barbatelle della varietà Bellone.

“La scelta di piantare proprio le barbatelle di Bellone – ha spiegato in un’intervista Gabriella Strano, l’architetto paesaggista del Parco che, insieme alla direttrice Alfonsina Russo, ha ideato e portato a compimento il progetto – riprende quanto ci tramanda Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia dove racconta dell’uva “Pantastica”, un antichissimo vitigno autoctono della zona laziale da cui deriva il Bellone, noto anche come vino Cacchione”.

“Si tratta in principal modo di un’operazione “etica – sottolinea Alfonsina Russo – destinata a sviluppare senso civico nei confronti della cultura e, al contempo, didattica perché darà il là a laboratori, visite guidate, degustazioni”.

Il revival del Piedirosso e dello Sciascinoso nel vino della Villa dei Misteri

Dove invece oramai la vendemmia di uve storiche è un appuntamento irrinunciabile per gli amanti del vino e dell’archeologia è a Pompei. Qui da anni viene prodotto il ricercato vino ”Villa dei Misteri”, frutto dell’uvaggio storico di Piedirosso e Sciascinoso, due antichi vitigni autoctoni, cui si è aggiunto, a partire dal millesimo 2011, l’importante contributo dell’Aglianico, vitigno simbolo della Campania prodotto mediante una convenzione con l’Azienda Vinicola Mastroberardino che si è occupata negli anni delle ricerche preliminari, dell’impianto e della coltivazione dei vigneti.

La coltivazione delle uve e la produzione del vino pompeiano fanno parte di un progetto scientifico di studio degli impianti e delle antiche tecniche di viticoltura pompeiana avviato negli anni ’90, nell’ambito degli studi di botanica applicata all’archeologia condotti dal Laboratorio di Ricerche Applicate del Parco Archeologico di Pompei, cui ha fatto seguito la convenzione con l’Azienda Vinicola Mastroberardino che tutt’oggi si occupa della cura dei vigneti producendo il vino ”Villa dei Misteri”.

L’idea progettuale, nata nel 1994, dapprima riguardava un’area limitata degli scavi, per poi ampliarsi e giungere oggi a interessare 15 aree a vigneto ubicate tutte nelle Regiones I e II dell’antica Pompei (tra cui Foro Boario, casa del Triclinio estivo, Domus della Nave Europa, Caupona del Gladiatore, Caupona di Eusino, l’Orto dei Fuggiaschi, ecc.) per un’estensione totale di circa un ettaro e mezzo e per una resa potenziale di circa 40 quintali per ettaro.

Il Pallagrello il vino che piaceva a Ferdinando IV di Borbone rinasce nella reggia di Caserta

Da citare infine un altro vigneto carico di storia in questo caso bisogna spostarsi nella reggia di Caserta. Qui, infatti, dopo oltre un secolo l’antica vigna borbonica nella Reggia di Caserta è tornata a vivere producendo nel Bosco di San Silvestro, un ottimo vino Pallagrello, che era usato a corte dai Borboni.

L’esistenza della Vigna della Reggia nel bosco di San Silvestro, vicino a quella più nota del Ventaglio, fu scoperta ci9nque anni fa. La vigna originaria era infatti quella che serviva le tavole e la cantina reale ed era grande circa cinque ettari, giusto di fronte alla Casina di San Silvestro, nel bosco omonimo.

Del Pallagrello Ferdinando IV di Borbone, il “Re lazzarone” di Napoli e delle Due Sicilie, monarca gaudente che agli obblighi di corte preferiva gli spazi aperti, la caccia, la pesca, cavalcare per le campagne, che amava i piaceri della tavola, e confondersi con i lazzari parlando in stretto dialetto napoletano, ne era grande estimatore e consumatore al punto che diede disposizione che costantemente presente nei pranzi ufficiali del regno assieme ai più altolocati vini francesi e spagnoli, e di cui si faceva dono ai più illustri ospiti in visita nel reame di Napoli, si chiamava Pallagrello.

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