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Il reddito di cittadinanza resta un rebus insolubile

Dopo mesi di attesa il decreto sul reddito di cittadinanza e quota 100 non c’è ancora ma il messaggio politico che il Governo Lega-Cinque Stelle ha voluto dare è devastante e illude la gente che il reddito di cittadinanza sia estendibile a tutti – Ma l’altro insormontabile limite del provvedimento è la sua confusa implementazione pratica: ecco perchè

Il reddito di cittadinanza resta un rebus insolubile

Dopo mesi di attesa non c’è ancora il decreto su reddito di cittadinanza e quota 100. Dal decreto dignità in poi sembra diventata la cifra fissa di questo governo di buttar lì delle bozze provvisorie per vedere l’effetto che fa e magari farsi correggere anche qualche strafalcione eccessivo.

Durante questi mesi la bozza del decreto di cittadinanza ha avuto qualche miglioramento marginale, come quello per esempio di prevedere due canali di accesso distinti: uno per i disoccupati e uno per i poveri con i problemi di inclusione sociale, questo permette in parte di salvaguardare il reddito di inclusione del governo Gentiloni che è diretto alla platea dei poveri che meritano un’attenzione diversa da chi è disoccupato temporaneamente e da chi lavora ma ha un reddito basso.

In secondo luogo, le assunzioni dei tutor nei centri dell’impiego (i famosi Navigator) sono un segno tangibile che la retorica sullo sviluppo dei centri dell’impiego ha anche un qualche significato pratico. E infine la possibilità per le aziende che assumono un disoccupato con il reddito di cittadinanza di avere il beneficio del residuo del reddito di cittadinanza stesso aiuta a coinvolgere il mondo imprenditoriale nell’operazione.

Intendiamoci, questi miglioramenti sono molto marginali perché ognuno di questi avrà problemi di implementazione assai rilevanti: bisognerà comunque passare prima da un centro dell’impiego quindi si disconnette l’amministrazione attuale del reddito di inclusione che stava ben funzionando; si procede alle assunzioni di Navigator con contratti a termine attraverso Anpal Servizi per superare la contrarietà delle regioni che però non la faranno passare liscia; si danno incentivi potenzialmente molto alti a chi avrebbe comunque assunto profili professionali diversi creando incentivi distorti per una platea molto rilevante di persone e di aziende.

E comunque i problemi di sostanza rimangono del tutto intatti e non sono migliorabili neppure se rimandassero il decreto ancora 10 volte. Il primo problema è il messaggio politico che hanno voluto dare fin dal primo momento: diversamente dal reddito di inclusione, che è una misura per una platea ben circoscritta ai poveri, il reddito di cittadinanza è sempre stato colpevolmente venduto come una misura potenzialmente estendibile a tutti; il dato per cui al Sud Italia 43% delle persone dichiara meno di 9.360 euro annui e quindi è un potenziale beneficiario fa presagire che quest’anno gli italiani si dedicheranno più a trovare il modo per rientrare nei parametri del reddito piuttosto che a trovare un lavoro.

A questo messaggio devastante dal punto di vista della crescita e della cultura del paese si associa l’altro limite insormontabile che riguarda l’implementazione della misura. La fase di implementazione è sempre stata il punto debole di tutte le leggi ma in questo caso l’implementazione pratica corretta della misura è (forse volutamente) impossibile. Infatti l’unico risultato che si vuole ottenere è che qualcuno riceva dei soldi entro le elezioni europee.

Il decreto sul reddito cittadinanza è scritto in maniera per cui prima INPS decide sulla base dell’Isee (già oggi un gran numero di dichiarazioni non sono veritiere e, per l’occasione, si prevede un peggioramento della situazione) il diritto al reddito e poi iniziano tutta una serie di adempimenti formali non esigibili (INPS deve rispondere entro 5 gg, il CPI ti deve convocare entro 30gg. etc.) conditi con pene esagerate (e non credibili) in caso di false dichiarazioni da parte dei beneficiari.

Questo è il tipico modo in cui si distribuiscono soldi senza condizionalità alcuna. È ben noto infatti che l’unica condizionalità che può eventualmente funzionare non è quella rispetto all’offerta di lavoro (che molti centri di impiego non faranno mai) che comunque esiste formalmente in Italia dal 2012 e non è una condizionalità funzionante neanche in paesi europei con una lunga tradizione di politiche attive ma la condizionalità rispetto alle attività: cioè il risultato finale del reddito cittadinanza sarà di pagare 780 euro al mese a persone che fanno 8 ore di lavori socialmente utili in Comune (sempre che i comuni riescano a organizzare così tanti lavoratori socialmente utili).

In conclusione, l’unico lato positivo del reddito di cittadinanza è sottolineare la necessità di ampliare la rete di protezione sociale ma questo si sarebbe potuto fare molto meglio e in maniera molto più efficace dividendo le platee degli interessati in tre gruppi separati: i poveri che meritano un ampliamento del REI; i disoccupati, che meritano un ampliamento del sussidio e un miglioramento dei servizi al lavoro e i lavoratori a basso reddito, che meritano sconti fiscali consistenti a integrazione degli 80 euro.

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