Condividi

I giudici di Milano fermano Uber in Italia: “E’ concorrenza sleale”. Tassisti in festa

E’ quanto deciso dai magistrati del Tribunale di Milano, che accolgono così il ricorso dalle associazioni di categoria dei tassisti: “La mancanza di licenze comporta un effettivo vantaggio concorrenziale per il gruppo Uber”, si legge nell’ordinanza – L’Italia si aggiunge così a Francia, Spagna e Germania, dove il servizio è già bloccato.

I giudici di Milano fermano Uber in Italia: “E’ concorrenza sleale”. Tassisti in festa

Uber-Pop bloccato in tutto il territorio italiano. Il servizio principale offerto dall’app di San Francisco, quello del noleggio di auto con autista (cd “ride-sharing”), è stato oggi fermato – in Italia – dal Tribunale di Milano che ne ha disposto il blocco con inibizione dalla prestazione del servizio. I giudici hanno così accolto il ricorso presentato dalle associazioni di categoria dei tassisti per “concorrenza sleale”.  

Il nodo, che ha portato al ricorso e alla conseguente decisione dei magistrati, è sempre quello delle licenze. L’attività svolta da Uber attraverso Uber-Pop è infatti stata giudicata “interferente con il servizio taxi organizzato dalle società, svolto dai titolari di licenze”, scrive il giudice Marangoni nell’ordinanza. La richiesta “di trasporto trasmessa dall’utente mediante l’app Uber-Pop – si legge ancora nel documento – oltre ad essere modalità tecnica già utilizzata dalle cooperative di tassisti appare di fatto del tutto assimilabile al servizio di radio taxi. Ma la mancanza di titoli autorizzativi da parte degli autisti Uber-Pop, come invece prevedono le leggi sui servizi di trasporto, comporta un effettivo vantaggio concorrenziale per il gruppo Uber e uno sviamento di clientela indebito”.

Il giudice ha anche aggiunto che, senza i “costi inerenti al servizio taxi”, gli autisti Uber-Pop possono applicare “tariffe sensibilmente minori rispetto a quelle del servizio pubblico”. I tassisti cantano dunque vittoria, e l’Italia non è il primo Paese dove accade: la app dalla valutazione multi-miliardaria sta incontrando ostacoli in tutto il mondo, principalmente per la resistenza delle associazioni dei tassisti, ma anche per legittime perplessità degli stessi consumatori. Il servizio infatti, che potrebbe costare sensibilmente meno, non sempre è così economico e proprio in virtù della libertà di esercizio non sempre il cliente è adeguatamente tutelato. Recentemente la stampa americana ha riportato di diversi abusi, che hanno contribuito alla decisione di sospendere Uber in alcuni Stati: in Nevada e a Eugene, in Oregon, la sospensione è già definitiva, mentre in Alaska, Texas, Alberta e Florida è battaglia, con l’app momentaneamente bloccata.

Senza contare i primi dubbi sull’effettiva capacità della app creata nel 2009 in California di creare posti di lavoro a condizioni realmente vantaggiose: una recente inchiesta del Wall Street Journal ha impietosamente rivelato che un autista di Uber, oltre a non avere un minimo di tutela e a dover disporre di un’automobile di proprietà (in alcuni casi anche di un’auto di lusso), raggiunge negli Stati Uniti un guadagno medio da lavoro part time, molto lontano da quei 90mila dollari annui di reddito medio prospettati da Uber qualche mese fa relativamente ai suoi autisti di New York. E’ inoltre notizia di questi giorni che in alcune località (a incominciare da San Francisco e San Diego) Uber sta sperimentando un aumento della commissione su ogni viaggio effettuato: in principio era il 20%, poi il alcune città – a seconda anche del traffico effettuato – è salito al 25%, ora si pensa al 30%. Quasi un terzo del guadagno, escluse le spese a carico dell’autista, torna alla “casa madre”.

Uber tuttavia non incontra solo resistenze negli Usa: in Europa l’Italia si aggiunge oggi a Spagna, Francia e Germania, dove è battaglia da mesi con ricorsi e contro-ricorsi, mentre il servizio è stato sospeso (ma in alcuni casi continua a operare abusivamente) in Paesi come Brasile, India, Australia, Sudafrica, Corea, Thailandia e nella città di Fukuoka, in Giappone. E mentre in Italia il Codacons grida allo scandalo (“Danno enorme per i consumatori”), in realtà gli stessi utenti, scatenandosi sui social e in alcuni sondaggi lanciati dai giornali online, sono alquanto divisi: Uber è una grande opportunità, ma ormai da più parti si chiedono chiarezza e trasparenza nella gestione dell’esercizio. Anche il mondo politico si divide: il tenore delle reazioni è sintetizzato dal post di Linda Lanzillotta (Pd), vice Presidente del Senato, sul proprio profilo Twitter: “Uber Pop non è il diavolo. Ok regolamentare ma non limitare libertà di scelta dei cittadini”. La risposta, come anticipato alcune settimane fa dal Financial Times, dovrebbe arrivare a breve dalla Commissione Ue.

Commenta