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I giganti di Internet a caccia dell’attenzione delle persone: è il nuovo business model

La conquista dell’attenzione e perciò del tempo delle persone è diventato il nuovo modello di business dei big tech e gli studiosi ipotizzano che quella del futuro sarà l’economia dell’attenzione ma quali saranno le conseguenze per gli individui? La Felicità Interna Loda e il caso del Buthan

L’offerta di contenuti, intrattenimento, distrazioni e soprattutto esperienze (ora c’è pure la realtà aumentata nell’iPhone X) è cresciuta in un modo inimmaginabile appena 10 anni fa. Si tratta di una cosa senz’altro positiva: l’abbondanza è sempre meglio della scarsità. Succede però che l’altro oggetto della relazione, cioè il tempo disponibile per il consumo dei bisogni, rimane una costante invariabile. Solo volando dalla Nuova Zelanda verso l’Italia si può guadagnare quasi un giorno; non c’è altro modo di allargare il tempo sul pianeta.

Una indagine del Pew Research Center ci dice che il tempo libero degli americani, la popolazione più interessata da questi fenomeni, è rimasto pressoché lo stesso negli ultimi 10 anni. Judy Wajcman, professore di sociologia alla London School of Economics, ha dedicato due accurati studi (Pressed for Time e The Sociology of Speed) all’accelerazione della vita dominata dai nuovi media. La tesi della sociologa australiana è sostanzialmente questa: non è che in questa accelerazione si sia divenuti semplicemente ostaggi dei dispositivi di comunicazione o delle macchine, piuttosto è accaduto che ci siamo resi prigionieri di priorità e di parametri autoimposti. Fortunatamente, verrebbe da dire, perché si può fare ancora qualcosa. Sicuramente! Ma c’è qualcuno che dubita sulle nostre capacità correttive

In lingua inglese, il 12 settembre è uscito un libro di Franklin Foer, uno stimato giornalista di orientamento liberal già direttore di New Republic, dall’emblematico titolo World Without Mind: The Existential Threat of Big Tech. Si può senz’altro nutrire un certo scetticismo sulla tesi che la tecnologia dominata dalle grandi corporation di Internet sia una minaccia esistenziale per l’umanità, ma è certo che stiamo entrando, come scrive Foer sul Washington Post, in una nuova fase del rapporto tra la mente dell’uomo e le macchine. Una fase, come dice Larry Page co-fondatore di Google, in cui, postulato che “il cervello umano funziona come un computer”, perché “non accelerare il giorno in cui diventeremo dei completi cyborg?”. Avendo frequentato una scuola montessoriana il fondatore di Google e il suo socio, Sergey Brin, sono allo zenit del pensiero creativo.

L’ECONOMIA DELL’ATTENZIONE

Aspettando la metamorfosi in cyborg, succede che la competizione tra i “big tech” non avviene più sul mercato dei beni e dei servizi ma su qualcosa di assolutamente etereo, cioè l’attenzione delle persone. Conquistare una porzione della loro attenzione è diventato il nuovo modello di business delle imprese tecnologiche e dei nuovi media. Conquistare l’attenzione significa impadronirsi del tempo delle persone. Si investe moltissimo in questa impresa e qualcosa si ottiene. I consumatori di esperienze di tipo nuovo, in genere, rispondono agli stimoli, frazionando la loro attenzione tra molteplici task, così some accade con il time sharing nei sistemi operativi evoluti, direbbe Larry Page. Molteplici micro-attenzioni, però, possono produrre una complessiva distrazione che è un fenomeno che si osserva sempre più, particolarmente, tra i nativi digitali.

L’attenzione delle persone è diventata un fattore economico così fondamentale?—?anche più importante del portafoglio del consumatore (che viene di conseguenza)?—?che due non convenzionali studiosi (Erik Brynjolfsson e Joo Hee Oh) della Sloan Management School del MIT ipotizzano che l’economia del futuro sarà un’economia dell’attenzione. Chi avrà l’attenzione avrà l’egemonia. Chi conquisterà il tempo dominerà la società. L’attenzione è ricchezza.

LE CONSEGUENZE DELLA LOTTA PER L’ATTENZIONE

Con quali conseguenze cognitive sugli individui? Molti si sono posti questo interrogativo ed esistono molti studi psicometrici, cognitivi e neurali al riguardo. C’è però chi è andato oltre questo spicciolame, per porsi la vexata quaestio: questo stato di cose ci rende più felici, o no?

La faccenda della felicità è una questione serissima che pure i costituenti americani si sono posti seriamente tanto da farne un pezzo della loro costruzione politica e ideale. “La ricerca della felicità” insieme alla vita e alla libertà è uno dei capisaldi della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America. Pure un piccolo paese hymalaiano, il Buthan, misura il benessere dei propri cittadini non sul Prodotto Interno Lordo (PIL), ma sulla Felicità Interna Lorda (FIL). Il PIL pro-capite della piccola monarchia asiatica è di 2000 dollari, ma il FIL è il più alto del continente

Quelli che sono andati oltre la psicometria e le teorie cognitive nel cercare di capire le conseguenze di una mente che diventa sempre più errabonda e vagante, come le orde di azzannatori dei Walking Dead, sono due stimati psicologi di Harvard, Matthew Killingsworth e Daniel Gilbert, che si sono dati il compito di misurare la felicità percepita di un cospicuo numero di persone intente in svariate attività in uno specifico momento della giornate e stato della mente.

I due studiosi hanno sviluppato un’applicazione per iPhone distribuita a 5000 volontari provenienti da un centinaio di paesi. Queste persone, consensualmente e consciamente, potevano ricevere, a intervalli casuali nel corso della giornata, una notifica. Se l’accettavano, venivano specificamente interrogati sulla loro attività corrente, sul grado di felicità percepita e soprattutto dicevano dichiarare se in quel momento la loro mente era concentrata su quello che stavano facendo oppure stava vagando all’inseguimento di altri pensieri e sensazioni. Se succedeva questo venivano invitati a dire se era una divagazione piacevole, spiacevole o neutra. Un’idea tanto geniale, quando candida. Vi immaginate una persona impegnata in attività extracurricolari, come direbbe Trump, che riceve una notifica dal proprio iPhone con delle domande sul proprio stato di benessere in quel momento?

In ogni caso la ricerca ha mostrato che il 46,9% delle persone interpellate stava pensando a qualcosa di differente rispetto a quello che stava facendo e che questa condizione generava una percezione di non felicità. Stando a questa ricerca, la mente errabonda appare essere lo stato di default della mente umana di metà delle persone che abitano il pianeta. Niente male!

Ma lasciamo la parola a Matthew Killingsworth e Daniel Gilbert che hanno descritto su “Science” i risultati della loro ricerca. Abbiamo tradotto per voi questo articolo dal titolo “A wandering mind is an unhappy mind”, raccomandandovi di non vagare troppo con la mente mentre lo state leggendo.

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UNA MENTE CHE VAGA È UNA MENTE INFELICE

A differenza di altri animali, gli esseri umani trascorrono molto tempo pensando a ciò che non accade intorno a loro, contemplando eventi accaduti in passato, quelli che potrebbero accadere in futuro, o che mai si verificheranno. Infatti, il “pensiero a stimolo indipendente“ noto anche come “mente errabonda” sembra essere la modalità di default di funzionamento del cervello. Anche se questa capacità è un importante successo evolutivo che permette alle persone di imparare, ragionare, pianificare, può avere un costo emozionale. Molte tradizioni filosofiche e religiose insegnano che la felicità può essere trovata nel vivere il momento, gli appartenenti a tali tradizioni addestrati a resistere all’errare della mente per “essere qui ora.” Queste tradizioni suggeriscono che una mente errante è una mente infelice. Hanno ragione?

Esperimenti di laboratorio hanno rivelato molto circa le basi cognitive e neurali della mente errante, ma poco sulle conseguenze emotive nella vita di tutti i giorni. Il più affidabile metodo per indagare le emozioni nel mondo reale è il “campionamento esperenziale”, che implica il contattare le persone mentre si trovano impegnate nelle loro attività quotidiane per chiedere loro di enunciare i loro pensieri, sentimenti ed azioni in quel momento. Purtroppo, registrare report in tempo reale da un gran numero di persone durante la loro vita quotidiana è così complesso e costoso che il campionamento esperienziale è stato utilizzato raramente per esaminare la relazione tra mente errante e felicità e quindi è sempre stato limitato a campioni molto piccoli. Abbiamo risolto questo problema sviluppando una applicazione per iPhone che abbiamo usato per creare un prezioso ed ampio database di report realistici di pensieri, sentimenti ed azioni su di una ampio campione di persone durante le loro attività di vita quotidiana.

L’applicazione contatta i partecipanti attraverso il loro iPhone in momenti casuali durante le ore di veglia, presenta delle domande e registra le loro risposte in un database su www.trackyourhappiness.org. Il database attualmente contiene quasi un quarto di milione di registrazioni date da circa 5000 persone provenienti da 83 diversi paesi aventi età comprese tra i 18 e gli 88 anni e che complessivamente svolgono una delle 86 principali categorie occupazionali. Per scoprire come spesso la mente delle persone vaghi, su quali argomenti si aggiri e come questi vagabondaggi influenzino la loro felicità, abbiamo analizzato i campioni di 2250 adulti (58,8% maschi, 73,9% residenti negli Stati Uniti, età media di 34 anni) designati in modo casuale per rispondere a una serie di domande sui seguenti temi:

1) Felicità (“Come ti senti adesso?”) con una valutazione variabile su una scala continua che andava da molto male (0) a molto buono (100).
2) Attività svolta in quel momento (“Che cosa stai facendo in questo momento? “) con una possibile risposta scelta tra 22 attività lavorative o del tempo libero. adattate dal “metodo di ricostruzione del giorno”).
3) Condizione errante della mente (“Stai pensando a qualcosa di diverso da quello che si sta facendo?”), potendo rispondere con una delle quattro opzioni: no; sì, qualcosa di piacevole; sì, qualcosa di neutro; sì, qualcosa di non piacevole.

I TRE FATTI RILEVATI DALL’INDAGINE

In primo luogo, le menti delle persone vagavano frequentemente, indipendentemente da quello che stavano facendo. La condizione di mente errante si è verificato nel 46,9% del campione e durante ogni tipo di attività, eccetto che quella del rapporto sessuale, in almeno il 30% del campione. La frequenza della condizione di mente errante nel nostro campione era notevolmente superiore a quella tipicamente misurata in esperimenti di laboratorio. Sorprendentemente, la natura delle attività svolte dagli individui ha avuto solo un modesto impatto sul fatto che le loro menti vagassero mentre non ha avuto quasi impatto sulla piacevolezza degli argomenti su cui le loro menti hanno vagato.

In secondo luogo, le persone erano meno felici quando le loro menti vagabondavano, a prescindere dall’attività svolta, comprese quelle meno piacevoli. Anche se la mente delle persone era più propensa a vagare su temi piacevoli (42,5% del campione) che non su argomenti spiacevoli (26,5%) o neutri (31%), le persone non erano più felici quando pensavano a cose piacevoli di quanto non lo fossero pensando alla loro attività corrente. Risultavano considerevolmente meno felici quando pensavano ad argomenti neutri o spiacevoli. Anche se gli stati d’animo negativi sono noti per causare la condizione di mente errante. Le analisi di time-lag hanno suggerito che nel nostro campione la mente errante era generalmente la causa, e non semplicemente la conseguenza dell’infelicità.

In terzo luogo, ciò che la gente pensa è un miglior indicatore della loro felicità di quanto non sia ciò che fa. La natura delle attività delle persone ha dato ragione del 4,6% della varianza di felicità delle persone non in relazione e del 3,2% della varianza della felicità nelle relazioni interpersonali. D’altro canto il vagabondare della mente ha dato ragione del 10,8% della varianza della felicità delle persone non in relazione e del 17,7% di quellae in relazione. La varianza della mente errante era in gran parte indipendente dalla varianza legata alla natura delle attività, suggerendo che i due stati hanno influenze indipendenti sulla felicità. In conclusione, una mente umana è una mente errante, una mente errante è una mente infelice. La capacità di pensare a ciò che non sta accadendo è una dinamica cognitiva che si realizza con un costo emozionale.

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Il grafico elaborato da Killingsworth e Gilbert, sulla base delle risultanze dell’indagine, è di grandissimo interesse per capire che cosa può succedere alla nostra percezione di benessere quando siamo impegnati in una determinata attività, parte del nostro menu quotidiano, o quando la mente inizia a vagare e a inseguire pensieri estranei. Ci sono molte riflessioni da fare che lasciamo volentieri a voi.

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