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I Brics rischiano il contagio della crisi del debito europeo

Il cambiamento nello scenario mondiale sta avendo delle ripercussioni sui Paesi emergenti, che hanno visto nell’ultimo periodo una notevole crescita dell’inflazione e un apprezzamento delle valute. Le banche centrali hanno però ancora ampio spazio per mettere in atto riforme a sostegno dell’economia. A lungo termine i Bric continuano a essere attraenti

I Brics rischiano il contagio della crisi del debito europeo

Il rallentamento della crescita globale rischia di avere un effetto contagio nelle economie dei Paesi emergenti. La decisione della Fed di mantenere bassi i tassi d’interesse e l’avvio delle vendite di dollari americani nei mercati da parte di Goldman Sachs potrebbero ampliare la già grande entrata di capitali in questi Paesi.

Negli ultimi anni infatti non pochi investitori sono stati attratti dagli alti rendimenti che offrivano questi mercati. Basta notare che in Brasile dal 2008 i flussi di capitale in entrata sono aumentati del 189% e in Cina dell’80%, pur in un contesto di crescita sostenuta. Ora che gli Stati Uniti e l’Europa si avviano verso una fase di stallo, questo fenomeno rischia di ampliarsi e di portare con sé diversi effetti negativi.

Rischi – Questi enormi afflussi di capitale portano necessariamente con sé un apprezzamento, spesso eccessivo, delle valute. E ciò comporta un calo delle esportazioni, un aumento dell’inflazione con conseguente soffocamento dell’economia. Né la Cina né il Brasile riusciranno probabilmente a chiudere il 2011 con un’inflazione minore del 6%. E basta guardare gli andamenti dei maggiori indici dei Brics per rendersi conto che le economie hanno frenato nell’ultimo anno: il Bovespa, l’indice di riferimento del mercato brasiliano, ha perso il 27,57% dal primo gennaio, il Bombay Bse (India) il 16,82%, il Sse Composite (la CIna) il 8,07% e lo Ftse/Jse del Sud Africa l’8,18%.

Misure – Ma i Brics hanno ancora un asso nella manica. Infatti le banche centrali di molti Paesi emergenti si trovano in una posizione di potere e se vogliono possono tagliare i tassi, ridurre le riserve bancarie obbligatorie e lasciare indebolire la moneta per incrementare le esportazioni e stimolare la crescita.

Cina – La Banca centrale cinese ha dichiarato oggi che combattere l’inflazione rimarrà la sua priorità con una politica monetaria “prudente”. Ma lo yuan continua ad apprezzarsi sul dollaro: dal giugno 2010 (quando si è sganciato dalla valuta statunitense) il suo valore è aumentato del 6,8%. Essendo monitorato dal Governo, l’aumento dello yuan si verifica sempre per piccoli incrementi, ma nell’ultima settimana la crescita è stata di diversi punti base, il che sottolinea la congiuntura sfavorevole per la moneta del gigante asiatico. In Cina c’è anche un problema di eccessiva capacità produttiva e sovrainvestimenti e alcuni analisti ritengono che il Paese non riuscirà a mettere un tappo all’inflazione crescente. Un deceleramento dell’economia globale potrebbe aiutare ad alleviare i timori d’inflazione e darà tempo ai governi locali di terminare i progetti di infrastrutture già iniziati con un basso costo di finanziamento con una politica monetaria più permissiva.

Brasile – Anche il real non è messo troppo bene e la Banca centrale continua a rispondere con una politica dei tassi al rialzo: negli ultimi mesi ha aumentato gli interessi per cinque volte fino al 12,5%. “Il destino del real è incerto”, ha detto l’ex presidente della Banca Centrale Henrique Meirelles. Da una parte i bassi tassi d’interesse americani attraggono nel Paese molti capitali esteri che fanno apprezzare la moneta. Dall’altra il calo nella domanda mondiale potrebbe portare a una caduta delle commodities. Poiché il destino dei prezzi delle commodities non è sicuro, non si può escludere che porti a un deprezzamento del real. Tuttavia il presidente Dilma Rousself ha già iniziato a prendere le sue precauzioni imponendo l’imposta sulle operazioni finanziarie (Iof) – finora al 6% sugli interessi di prestiti, finanziamenti e azioni – anche sui titoli derivati: il Governo potrà però aumentare l’aliquota fino al 25%, con lo scopo di “rendere la speculazione meno profittevole possibile”. Il ministro delle finanze Guido Mantega, in relazione al rischio contagio della crisi europea, ha dichiarato che il Governo è pronto a prendere “tutte le misure necessarie per garantire il mantenimento degli investimenti, del credito e dell’impiego” assicurando che il Governo ha più di mille miliardi da parte (tra riserve e fondi del Tesoro) per proteggere il Brasile.

India – A giugno l’inflazione indiana aveva raggiunto il 9,44%, quando l’aumento del Pil previsto per il 2011 è pari all’8,2%. Questa cifra è stata rivista al ribasso (dall’8,5%) a causa della politica monetaria molto restrittiva messa in atto dalla Reserve Bank of India (Rbi) proprio per frenare l’alto costo dei prezzi al consumo. La Rbi ha infatti aumentato i tassi d’interesse, per l’undicesima volta da marzo 2010, all’8%. L’obbiettivo è moderare la crescita per abbassare l’inflazione nel breve periodo. Ma il risultato di questa politica è incerto e non sono in pochi ad aver osservato che un collasso nella crescita taglierebbe posti di lavoro e farebbe aumentare la massa di persone meno abbienti della popolazione. Di certo un contagio della crisi con una conseguente diminuzione di investimenti esteri diretti (che hanno già registrato una diminuzione del 43% nel primo trimestre 2011) non aiuterebbe un Paese che ha bisogno di forte investimenti in infrastrutture e programmi di sviluppo.

Russia – L’ex Repubblica sovietica è in controtendenza. Il rublo ha toccato il suo minimo da oltre nove mesi superando la soglia dei 30 rubli per dollaro. La Banca centrale russa è dovuta intervenire iniettando liquidità nel mercato e oggi la moneta si sta apprezzando di nuovo. Inoltre la valuta è inevitabilmente legata al valore del petrolio e il Brent sotto i 100 dollari al barile di certo non è stato favorevole. Il problema principale di Mosca è più simile a quello dei Paesi europei. Infatti il Cremlino non teme l’inflazione, che a giugno è scesa al 9,4% dal 9,6% di maggio, ma l’aumento del debito pubblico. Per diminuire il grande deficit crescente, Mosca si vedrà costretta nei prossimi tre anni a cercare circa 50 miliardi di euro l’anno nei mercati internazionali. Questa mossa rischia di spingere il debito della Russia fino al 17% del Pil (oltre le previsioni del governo del 15% nel 2015).

Insomma per i Brics non si prospettano mesi semplici ma questi Paesi possono ancora contare su alti tassi di crescita, una struttura della popolazione per età favorevole allo sviluppo, una nuova classe media di consumatori, politiche economiche notevolmente migliorate e dei dati strutturali in questo momento migliori di quelli delle economie avanzate. Le ultime previsioni della Banca Mondirale confermano che nel 2018 la Cina supererà gli Stati Uniti e che nel 2025 le economie emergenti cresceranno mediamente al 4,7%, più del doppio del 2,3% delle economie avanzate. Se anche saranno colpiti da questa congiuntura negativa. E’ difficile pensare che questi Paesi non siano attraenti nel lungo periodo

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