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I Bric non sono morti: parola di chi li ha inventati

James O’Neill, l’economista che ha coniato l’acronimo Bric (Brasile, Russia, India e Cina), parla della crisi dei Paesi emergenti in un’intervista a Le Monde – “La decisione della Fed avrà un impatto, ma non è crisi, solo un ciclo economico” – “Bene Brasile e Russia, gli emergenti hanno debito pubblico più basso di molti membri Ue” – “Il futuro è in Africa”

I Bric non sono morti: parola di chi li ha inventati

James O’Neill è l’ex capo economista della banca d’affari Goldman Sachs, che ha lasciato nel primo trimestre 2013. E’ stato lui a coniare nel 2001 la definizione Bric, acronimo per Brasile, Russia, India e Cina. Oggi, in un’intervista a Le Monde, spiega l’impatto che la nuova politica monetaria della Federal Reserve potrebbe avere su questi Paesi.

“Ho vissuto la crisi obbligazionaria del 1994, la più grave dopo quella del 1982 – ricorda O’Neill – proprio mentre iniziavo a lavorare nel mondo della finanza. Quell’anno, diversi Paesi hanno sofferto molto più di quanto i fondamentali della loro economia lasciassero intendere. Questo essenzialmente perché il costo degli investimenti su questi mercati era cresciuto a causa del ribasso dei tassi di interesse negli Stati Uniti. Oggi, se la Fed taglia la liquidità, ci saranno effetti ovunque, in particolare negli stati con un disavanzo delle partite correnti, come India e Brasile. Non sorprende che Nuova Delhi sia peggiorata l’anno scorso. La bilancia dei pagamenti è minacciata dal debito pubblico consistente. L’India ha bisogno di importanti riforme. In confronto, la situazione brasiliana è meno inquietante.”

Intanto il mondo cambia, per l’ennesima volta. La Cina cresce, Brasile e India rallentano, mentre Stati Uniti, Giappone e Europa cominciano a ripartire.

“La maggior parte degli Emergenti sta rallentando, è vero – chiarisce O’Neill – ma non penso sia in atto un nuovo cambio di rotta. Se prendiamo la Cina, questa non rallenta semplicemente perché il governo è concentrato sulla qualità della crescita, e non sulla quantità. In realtà molte persone non hanno capito fino a che punto il mondo è cambiato. Se Pechino cresce “solo” del 7,5% l’anno, significa sempre una ricchezza addizionale di mille miliardi di dollari. Per trovare la stessa cifra negli Stati Uniti servirebbe una crescita annuale del 3,5%. Quest’anno, il contributo delle economie emergenti al Pil mondiale sarà ancora superiore rispetto a quello dei Paesi industrializzati, seppur il ritmo sia inferiore a quello degli ultimi due anni.”

Il fatto è che, nell’immaginario collettivo, ormai, i Paesi emergenti dovessero crescere sempre più rapidamente, indipendentemente dalle circostanze. “Ma chi pensava questo – obietta O’Neill – si sbaglia. Nell’ultimo decennio, i Brics (la S aggiuntiva sta per Sud Africa) sono cresciuti più che in quello precedente. Eppure io non ho mai pensato che questa crescità sarebbe stata permanente. Alla fine, l’unico Paese che è cresciuto quanto speravo è stato il Brasile. E nei prossimi 10 anni, gli stati che miglioreranno le proprie performance saranno Filippine, Indonesia e molti altri in Africa, in particolare la Nigeria.”

Di mezzo, c’è sempre la decisione della Fed. Se ora i capitali fuggiranno dagli Emergenti e torneranno in altri, più sicuri, lidi, come faranno questi Paesi a mantenere la crescita?

“Se prendete in considerazione – risponde O’Neill – i Bric, più Indonesia, Turchia, Messico e Corea del Sud, vedrete che questi stati hanno livelli di debito pubblico ben al di sotto di quelli dei membri della zona euro, con la significativa eccezione dell’India. Sembrerà strano, ma quelle nazioni hanno cifre più simili a quelle della Svizzera. Non hanno problemi di debito, ma soffrono la vulnerabilità sul dollaro americano. E’ questo che deve cambiare. Alcuni, come India, Indonesia, Turchia e, in misura minore, Brasile, hanno un disavanzo delle partite correnti, ma rispetto al 1997, quando è cominciata l’emersione, la situazione è molto più solida. E, per quanto riguarda la Russia, non vedo segnali di crisi.”

Tutti ora cominciano a parlare di fine del miracolo Bric. Ma, secondo O’Neill, la realtà è ben diversa: “Non credo che Cina e Brasile siano sull’orlo della crisi. I primi tre anno dello scorso decennio, il tasso di crescita brasiliano era lo stesso di oggi. Ma questo non ha impedito al Paese di emergere. La gente dimentica che ogni nazione ha un proprio ciclo economico.”

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