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Guerra Russia-Ucraina, per l’Italia rischi su crescita, energia e materie prime: parla Pagani (Muzinich)

Secondo l’economista FABRIZIO PAGANI l’escalation russa in Ucraina può produrre “effetti pesanti sulla ripresa” e sul rincaro dell’energia e delle materie prime ma non sul debito

Guerra Russia-Ucraina, per l’Italia rischi su crescita, energia e materie prime: parla Pagani (Muzinich)

L’escalation in Ucraina ha fatto ripiombare l’economia europea in un clima di notevole incertezza. I listini europei, tra prese di profitto e vera e propria paura della guerra, hanno perso circa il 2% la scorsa settimana. «La preoccupazione aveva già provocato danni sui mercati, ora l’acuirsi delle tensioni rischia di produrre effetti pesanti sulla ripresa. Ad oggi nessuno è in grado nemmeno di fare previsioni precise sull’atteggiamento russo rispetto alle forniture di gas», osserva da Parigi Fabrizio Pagani, capo economista della società di investimento Muzinich, professore a Sciences Po e presidente del think tank “M&M” (Minima Moralia) e già capo della Segreteria tecnica del Mef.

In che modo i mercati stanno prezzando la tensione?

«I prezzi dell’energia sono già alle stelle. Rischiamo in aggiunta una nuova fiammata sulle materie prime e sui metalli. La Russia è anche un produttore di metalli rari, fondamentali per alcuni settori dell’industria. Il rischio è anche quello di trovarsi anche i prezzi delle commodities agricole, come il grano, ancora più gonfiati. Ci sono difficoltà oggettive anche nella quantificazione degli effetti delle sanzioni occidentali, americane ed europee. Non è da escludere un collasso vero e proprio de commercio con la Russia».

Esiste un nesso tra gli scenari di guerra e la gestione del debito pubblico italiano? Lo spread con una guerra a 2.500 km potrebbe tornare a farci paura?

«Distinguerei tra una maggiore volatilità attesa nelle prossime settimane e uno scenario più generale che viene invece dalle politiche monetarie di normalizzazione e di aumento dei tassi di interesse. In ogni caso, l’Italia per i mercati oggi non è un problema. Con una crescita stimata al 4% abbiamo un buon ombrello protettivo. Anche nel medio termine, se riuscissimo a mantenere una crescita attorno al 2%, accompagnata da una inflazione attorno al target della Bce, non si porrebbero problemi di sostenibilità del nostro debito».

Finché ci sarà Mario Draghi a Palazzo Chigi si dorme tranquilli.

«Sì, ma è fondamentale per un grande Paese la continuità delle policy. Se continuiamo a seguire quelle del governo Draghi non ci saranno problemi su questo fronte».

Va detto che il Pil è gonfiato in parte anche dall’attuale contingenza inflazionistica. Tuttavia, dal lato aziende questa dinamica, soprattutto sul fronte dell’energia, potrebbe essere molto pericolosa.

«I prezzi attuali hanno già incorporato, almeno in parte, le tensioni geopolitiche. Lasciando da parte la questione energetica, si tratta di una inflazione a due facce, diversa nelle singole economie del mondo. Negli Usa c’è una dinamica legata alla domanda interna fortemente sostenuta negli ultimi due anni, in altri luoghi è legata più al lato offerta e ai tanti colli di bottiglia che si sono venuti a creare. Sono diverse anche le dinamiche salariali, in Europa, contrariamente agli Usa e alla Gran Bretagna, non mi sembra che ci siano ancora spinte su questo fronte. D’altro canto, la Bce continua a rassicurarci sul fatto che dal prossimo anno l’inflazione rientrerà al 2%».

In una recente intervista il nuovo capo economista del ministero delle Finanze tedesco sembra aver un po’ spento gli entusiasmi per una riforma ampia dei parametri europei di finanza pubblica. L’Italia sceglierà la strada del fronte comune con la Francia?

«L’editoriale congiunto di Macron e Draghi sul Financial Times è il punto di partenza. Ma è difficile pensare ad un nuovo corso europeo senza un ruolo centrale della Germania. La crisi in Ucraina sta riportando in agenda anche la necessità di ritrovare la forza per nuovi step dell’integrazione europea. Forse proprio da Est arriveranno i buoni motivi per cercare un accordo lungimirante per la revisione del Patto di Stabilità».

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