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Gualmini: “Brexit rafforzerà la stabilità delle leadership in Europa”

INTERVISTE DEL WEEKEND – Parla Elisabetta Gualmini, docente di scienze politiche all’Università di Bologna e vicepresidente Pd della Regione Emilia-Romagna: “Dopo Brexit le persone cercano riparo dai venti populisti e antisistema: ne verrà una spinta positiva anche per il referendum italiano e per l’Europa se cambieranno le politiche della Ue”.

Gualmini: “Brexit rafforzerà la stabilità delle leadership in Europa”

L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea potrebbe dare una spinta ai governi stabili nel Vecchio continente, perché in una fase d’incertezza i cittadini hanno hanno bisogno di punti fermi e di stabilità. Ne è convinta Elisabetta Gualmini, docente di scienze politiche dell’Università di Bologna, vicepresidente Pd della Regione Emilia Romagna e già presidente dell’Istituto Cattaneo. 

Professoressa Gualmini crede che Brexit, dopo aver terremotato la Gran Bretagna e l’Europa, cambierà anche lo scenario politico italiano? Il Governo e la leadership di Matteo Renzi sono a rischio?

“No, paradossalmente Brexit avrà l’effetto contrario. Lo shock dell’uscita della Gran Bretagna provoca un tale smarrimento nella popolazione europea e in quella italiana che nessuno sente il bisogno di aggiungere incertezza a incertezza. Il risultato produce anche un bel po’ di malcontento. La Scozia si sta ribellando e molti cittadini britannici si rendono conto solo oggi del significato del voto. Si pensi che in Inghilterra, in questo momento, la prima ricerca su Google è: Unione Europea. Evidentemente non se ne sapeva molto. In queste fasi le leadership stabili si rafforzano. Le persone temono nuovi scossoni, cercano riparo dai venti populisti e antisistema, il desiderio di fare squadra aumenta. Sono convinta che questa situazione dia una spinta anche al referendum costituzionale italiano, cioè alla modernizzazione del paese. Brexit, per l’Italia, è un’occasione di rilancio a livello continentale, ora può giocare un ruolo centrale, con Francia e Germania. Questo non vuol dire che il segnale vada sottovalutato. Il rischio di contagio degli euroscettici c’è sempre, in particolare in Olanda e Polonia. Per questo è arrivato il momento di cambiare le politiche europee, di dare vita a politiche più forti. Le dimissioni di Juncker non sono una risposta”.

Angela Merkel non sembra orientata in questa direzione…

“È vero. La Germania in questo momento frena, mentre altri accelerano anche per l’uscita della Gran Bretagna in tempi rapidi. Il cambio di passo atteso non è ancora arrivato. Dobbiamo tenere conto però che la Merkel prepara le elezioni politiche e non vuole dare l’impressione, ai suoi elettori, di essere arrendevole verso Italia e Francia. Per quanto riguarda l’uscita della Gran Bretagna è la prima volta che si applica l’articolo 50 dei Trattati, è un capitolo nuovo, tutto da scrivere e ci vorrà un po’ di tempo”.

Il fatto che i leader politici continuino a basare le politiche europee su problemi di consenso interno è un freno per l’Unione?

“Sì, questo è un problema reale. Ogni leader risponde alla propria opinione pubblica e gli egoismi nazionali riaffiorano con forza, anche perché ci sono fasce di popolazione molto colpite da questa lunga e profondissima crisi”.

Non crede che anche Renzi possa incontrare crescenti problemi di consenso, come rivelano gli ultimi sondaggi? Le elezioni amministrative hanno lanciato un segnale. In un quadro europeo e nazionale in così rapida evoluzione il premier non rischia, secondo Lei, di essere percepito come rappresentante dell’establishment invece che alfiere del cambiamento?

“I risultati delle elezioni amministrative non sono stati lusinghieri per Palazzo Chigi. Chi governa paga sempre lo scotto di una maggiore volatilità dell’opinione pubblica, il potere ha un prezzo. Come studiosa però distinguo le elezioni amministrative da quelle nazionali, non sono sovrapponibili, almeno non completamente. Nelle elezioni locali la storia personale del candidato conta di più, le alleanze sono maggiormente variabili. Insomma le differenze sono tante, ciò non toglie che i Cinque stelle abbiamo ottenuto un riscontro positivo e si senta ancora molta insoddisfazione verso la politica”.

Dopo Brexit, il referendum costituzionale italiano sta diventando un appuntamento cui guarda tutta Europa, probabilmente slitterà a dicembre e arriverà dopo la pronuncia della Corte Costituzionale sull’Italicum. Bisogna usare questo tempo per ripensare la legge elettorale, a partire dal premio al voto di lista che l’opposizione del Pd e parte delle opposizioni vorrebbero sostituire con il premio alla coalizione?

“Intanto mi preme ricordare che referendum e legge elettorale sono cose diverse. La legge elettorale non ha bisogno di conferme, può essere cambiata con legge ordinaria. I cambiamenti costituzionali proposti invece mettono finalmente ordine nella divisione del lavoro fra Stato e Regioni, semplificano il sistema. Se ogni volta che parliamo del referendum entriamo nel merito i cittadini capiranno e apprezzeranno riforme che sono scritte per durare nel tempo. La legge elettorale, d’altra parte, ci mette in linea con l’Europa, il fatto che un partito di maggioranza relativa riceva un premio e governi stabilmente è vero in Francia come in Gran Bretagna”.

L’esperienza dell’Ulivo e quella di Forza Italia e Lega dimostrano che le armate Brancaleone fanno vincere le elezioni ma rendono difficile l’azione di governo. Il ballottaggio di Torino però dimostra che, quando le forze in campo sono tre,  vincere è un problema perché la legge elettorale spinge le opposizioni a coalizzarsi contro il primo partito. Questa contraddizione come si risolve?

“Proprio quando il sistema è tripolare, secondo me, ci vuole il doppio turno, cioè un sistema che assicuri governabilità, per non ricadere nelle altalene del passato. Niente vieta alle varie forze di fare una sola lista e pesare di più. Se poi Renzi deciderà di cambiare la legge e conferire il premio alla coalizione invece che alla lista non sarà un dramma o un gran cambiamento. Quello che conta, perché il meccanismo funzioni, è il ballottaggio. Io preferisco due grandi partiti, ma se proprio vogliamo delle litigiose coalizioni, diamogli spazio”.

Renzi deve dimettersi o no in caso di sconfitta al referendum?

“La Gran Bretagna insegna: Cameron si è dimesso. Credo sia difficile restare se l’opinione pubblica boccia le riforme per cui ti batti. La responsabilità impone coerenza”.

E cosa diciamo dell’ingovernabilità venuta fuori dalle elezioni spagnole?

“Che i sistemi elettorali devono essere cambiati in base ai diversi sistemi politici. Infatti in questi giorni gli spagnoli stanno studiando l’Italicum, con doppio turno”.

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