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Google, la vera storia di una startup trilionaria

Steven Levy, autorevole giornalista americano specializzato nelle vicende della Silicon Valley, racconta l’origine dello straordinario progetto che portò alla nascita e all’impressionante successo di Google – Tutto cominciò nell’estate del 1995 a Stanford

Google, la vera storia di una startup trilionaria

Nel club del trilione 

Il 16 gennaio 2020 (un mese fa) Google si è unito al club delle aziende tecnologiche che hanno superato il trilione di dollari di capitalizzazione. A metà dicembre del 2019 i due fondatori di Google, Sergey Brin e Larry Page, hanno deciso di lasciare ogni incarico operativo di Alphabet, la società dal nome montessoriano che attualmente controlla Google. 

Si può pensare che l’uscita dei fondatori a favore di executive più sensibili al business abbia contribuito a far volare la quotazione di Google. La Borsa ha sempre premiato Google, ma sempre con una certa preoccupazione per le iniziative e gli interessi di Brin e Page. I famosi monshoot che alle volte esondavano in territori sconosciuti e aridi di risorse. Un po’ come succede a Fitzcarraldo. 

Di fatto i due fondatori continuano a controllare la società con i loro diritti di voto privilegiati nel consiglio di amministrazione. 

Forse è giusto che sia proprio così, anche se la faccenda può far venire qualche prurito agli investitori. Brin e Page hanno inventato di sana pianta Google. Hanno creato la tecnologia che ne ha fatto la fortuna. L’hanno trasformata in una forma operativa di intelligenza artificiale condivisa e di cui beneficiamo tutti. Magari succedesse la stessa cosa in futuro! 

Con perseveranza incredibile e umiltà hanno trasformato un progetto di laurea in un servizio e in un business mostruoso che ha cambiato radicalmente almeno tre industrie, tra queste quella trilionaria della pubblicità. 

Il racconto di Steven Levy

In questo racconto Steven Levy narra, con accuratezza e humor, la nascita di questo straordinario progetto. Soprattutto narra come abbia preso corpo da due studenti di Stanford, forse il più importante incubatore del mondo. Ci mostra anche quanto la perseveranza sia importante quanto il genio e l’inventività. 

Proprio quest’ultime insieme alla fortuna, alla iniziativa, al sacrificio e alla correttezza nei comportamenti sono state la miscela del big bang da cui, dal niente in un dormitorio universitario, è avvenuta la creazione di Google. 

Steven Levy è il giornalista e lo scrittore che da oltre trent’anni copre, per “Wired” e altri magazine (“Newsweek”, “The New York Times Magazine”, “The New Yorker”, “Premiere”, “Rolling Stone” ecc.) le imprese, le persone e le tecnologie della Silicon Valley, il motore della rivoluzione tecnologica. 

Nel 1984 ha pubblicato uno dei primi libri che spiega l’etica hacker con grande chiarezza, Hackers. Gli eroi della rivoluzione informatica (tradotto anche in italiano). Ha pubblicato libri anche sulla Apple, l’intelligenza artificiale e Google stesso (In the Plex). Molti di questi si trovano anche in lingua italiana, compreso quest’ultimo 

Divertitevi e soprattutto ispiratevi! 

Stanford, estate 1995 

Nell’estate del 1995, poco prima di entrare nella scuola di specializzazione di Stanford, il ventiduenne Larry Page frequentò un programma per studenti ammessi che prevedeva anche un tour di San Francisco. La sua guida era un dottorando in Informatica della stessa età sui rollerblade, amante del trapezio, predisposto alla matematica, e che aveva frequentato l’Università di Stanford per due anni. 

«Lo trovavo piuttosto odioso» dirà più tardi Page della sua guida, Sergey Brin. 

Quale figlio di informatici, Page era cresciuto a Lansing, nel Michigan, con il linguaggio dei computer come sua prima lingua, e più tardi si era guadagnato una laurea in Informatica presso l’Università del Michigan. Non era un tipo socievole — le persone che parlavano con lui spesso si chiedevano se c’era un pizzico di sindrome di Asperger in lui –, riusciva a far innervosire gli altri semplicemente tacendo. 

Eppure, per chi lo conosceva, l’intelligenza e l’immaginazione di Page erano evidenti, così come la sua ambizione. Nel 1995, Stanford non solo era il posto migliore per specializzarsi in Informatica d’avanguardia, ma, a causa del boom di internet, anche la capitale mondiale dell’ambizione. 

Page scelse di lavorare con l’Human-Computer Interaction Group del dipartimento di Informatica di Stanford. Il suo tutor, Terry Winograd, descrive le idee stravaganti di Page come più «fantascientifiche che informatiche». 

Entrambi erano testardi quando si trattava di seguire le loro convinzioni. 

Larry&Sergey 

Brin, per cominciare, era nato in Russia e aveva quattro anni quando la sua famiglia emigrò negli Stati Uniti. Il suo inglese conservava ancora un sapore cirillico, e il suo eloquio era costellato di espressioni anacronistiche del Vecchio Mondo, come l’uso di “whatnot” quando i coetanei dicevano “stuff like that”. Era arrivato a Stanford a diciannove anni, dopo essere passato per l’Università del Maryland, dove suo padre insegnava. È stato uno dei più giovani studenti ad aver iniziato il dottorato di ricerca a Stanford. 

Sergey era un ragazzo eccentrico che sfrecciava per i corridoi di Stanford sui pattini a rotelle. 

Ma i professori capirono che dietro quella stravaganza c’era una mente matematica formidabile. Poco dopo l’arrivo a Stanford, passò tutti i test necessari per il dottorato e fu libero di frequentare i corsi fino a quando non trovò quello che gli avrebbe permesso di fare una tesi. Integrò i suoi studi praticando sport come il nuoto, la ginnastica e la vela. 

Nonostante le differenze caratteriali, per certi versi Page e Brin erano identici. Entrambi si sentivano a loro agio nell’ambiente meritocratico del mondo accademico, dove il cervello valeva più del resto. Entrambi avevano una profonda comprensione del valore di un mondo ultraconnesso, di cui loro potevano avvalersi in quanto studenti di Informatica. Un mondo che, peraltro, stava iniziando a diffondersi nel resto della società. Entrambi condividevano una fede incrollabile nel primato dei dati. 

Quando Page si stabilì a Stanford, divenne il miglior amico di Brin, al punto che la gente pensava che formassero un’unica identità: Larry&Sergey. 

Alla ricerca di una tesi 

Ciò che ha contribuito a cementare il loro rapporto è stato il fatto che all’epoca in cui si sono incontrati nessuno dei due aveva deciso l’argomento della tesi di laurea. 

Brin aveva una borsa di studio della National Science Foundation e non erano focalizzati esclusivamente sul data mining. Dette comunque una mano ad avviare un gruppo di ricerca chiamato MIDAS, sigla che stava per Mining Data at Stanford. 

In un curriculum postato sul sito della Stanford nel 1995, parlava di “un nuovo progetto” per generare valutazioni personalizzate di film. Un altro progetto a cui ha lavorato con il tutor Hector Garcia-Molina e un altro studente era un sistema che rilevava violazioni del copyright, automatizzando le ricerche di duplicati di documenti. 

Anche Page cercava un argomento per la tesi di laurea. Aveva presentato un progetto interessante al suo tutor, Terry Winograd, da realizzare in collaborazione con Brin. L’idea era creare un sistema in cui le persone potesseroannotare e commentare i siti web. 

Ma più Page ci pensava, più ne vedeva le difficoltà. Sui grandi siti, probabilmente, ci sarebbero state molte persone che avrebbero voluto lasciare un commento. Come venire a capo di chi dovesse commentare o il commento che sarebbe visto per primo? C’era bisogno di un sistema di valutazione. 

Era fuori questione far determinare i rating a un essere umano: sarebbe stato poco pratico e inaffidabile. Solo gli algoritmi — ben progettati, eseguiti in modo efficiente e basati su dati solidi — avrebbero potuto fornire risultati affidabili. 

Quindi il problema diventò trovare i giusti dati per determinare i commenti più affidabili o più interessanti di altri. Page si rese conto che questo tipo di progetto c’era già e che nessun altro lo stava utilizzando realmente usando. 

Disse a Brin: «Perché non usiamo i link sul web per farlo?». 

BackRub

Page, figlio del mondo accademico, aveva capito che i link web erano come le citazioni in un articolo scientifico. Era ampiamente riconosciuto che si potessero identificare gli articoli veramente importanti senza bisogno di leggerli. Bastava semplicemente rendersi conto di quanti altri articoli li citavano nelle note e nelle bibliografie. 

Page credeva che questo principio potesse essere valido anche con le pagine web. Ma non sarebbe stato facile premere i dati giusti. Le pagine web rendevano i loro link in uscita trasparenti: nel codice, c’erano marcatori facilmente identificabili per le destinazioni verso cui era possibile andare con un clic del mouse dalla pagina. 

Ma non era affatto ovvio tutto ciò che collegava a quella pagina. Per scoprirlo, bisognava raccogliere un database di link che connettevano tutti quanti a una certa pagina. Poi si procedeva all’indietro. 

Ecco perché Page chiamò il suo sistema BackRub. Disse una volta a un giornalista: 

Le prime versioni di un ipertesto avevano un difetto tragico: non si potevano eseguire i backlinkBackRub era pensato per annullare questo problema. 

Winograd pensò che fosse una grande idea per un progetto, ma non facile. Per farlo bene, disse a Page, avrebbe dovuto davvero catturare l’intera struttura di collegamento del World Wide Web. Page disse che, in effetti, l’avrebbe fatto. Pensò che gli ci sarebbe voluta una settimana o qualcosa del genere. «E naturalmente — ha ricordato più tardi — ci sono voluti, tipo, anni.» 

Ma Page e Brin andarono all’attacco. Ogni due settimane Page andava nell’ufficio di Garcia-Molina a chiedere dischi e altre attrezzature. «Va bene — diceva Garcia-Molina –, questo è un grande progetto, ma devi darmi un budget.» Chiese a Page di scegliere un numero, per sapere quanta parte del web dovesse scansionare e per fare una stima di quanti dischi ci sarebbero voluti. 

«Voglio scansionare tutto il web» disse Page. 

Python 

Dato che Page non si sentiva un programmatore in grado di affrontare questa sfida, chiese a un amico di aiutarlo. Scott Hassan era un assistente di ricerca a tempo pieno a Stanford. Hassan era anche buon amico di Brin, che aveva conosciuto a una partita di ultimate frisbee durante la sua prima settimana a Stanford. 

Quando Hassan prese in carico il lavoro commentò: «Il programma di Page aveva così tanti bug che c’era poco da divertirsi». 

Hassan riscrisse il programma in Python, un linguaggio più flessibile che stava diventando popolare tra gli sviluppatori web. Questo programma avrebbe spazzolato il web alla ricerca di dati. Il programma visitava una pagina web, trovava tutti i link e li registrava sequenzialmente in una coda. Poi andava a controllare se aveva visitato quelle pagine in precedenza. In caso negativo, metteva il link in una lista di pagine che avrebbe dovuto visitare in futuro. Quindi ripeteva il processo. Poiché Page non conosceva Python, Hassan divenne un membro del team. 

Brin, l’enfant prodige della matematica, si prese in carico la grande impresa di trovare la matematica necessaria per sbrogliare la matassa dei link raccolti dalla procedura di Hassan durante la mostruosa sessione di elaborazione delle pagine di un web in crescita esponenziale. 

Anche se il piccolo team stava andando da qualche parte, non era del tutto chiara la destinazione finale. Ricorda Hassan: 

«Larry non aveva un piano. Nella ricerca, si esplora qualcosa e vedi cosa abbia più senso». 

Nasce l’idea del motore di ricerca 

Nel marzo 1996 iniziarono un test partendo da una sola pagina, l’homepage del dipartimento di Informatica di Stanford. Il programma localizzò i link sulla pagina e si sparpagliò verso tutti i siti che puntavano a Stanford, e poi ai siti che linkavano a quei siti e così via. 

«Ci rendemmo conto che questa parte del programma funzionava davvero, davvero bene» ricorda Page. «Allora ho detto: “Wow! Il grosso problema qui non è quello di lasciare appunti. Ora dovremmo usarlo non solo per stilare delle classifiche delle annotazioni, ma anche per le ricerche”.» 

Sembrava l’applicazione più ovvia per un’invenzione che desse una valutazione per ogni pagina del web. 

«Era abbastanza chiaro a me e al resto del gruppo che se c’era un modo di classificare, non soltanto sul contenuto della pagina, ma basandosi sul valore che il mondo dava a quella pagina, sarebbe stato qualcosa di molto prezioso per la ricerca». 

AltaVista & C. 

Il leader della ricerca sul web a quel tempo era un programma chiamato AltaVista elaborato dal Western Research Laboratory della Digital Equipment Corporation (DEC). 

Anche i creatori di AltaVista avevano avuto la buona intuizione di raccogliere tutto il web e renderlo accessibile con un motore di ricerca. Avevano perso trascurato la struttura dei collegamenti. AltaVista analizzava il contenuto di ogni singola pagina — usando come unità di misura la frequenza delle parole usate — per vedere se una pagina era un match rilevante per una data parola-chiave nel contesto di una ricerca. 

Anche se non c’era un modo chiaro per fare soldi con la ricerca, AltaVista aveva un certo numero di concorrenti. Nel 1996 i dirigenti di diverse aziende si vantavano di avere il servizio più utile, ma ammettevano che nella corsa tra il web onnivoro e la loro tecnologia in via di sviluppo, il web stava vincendo. 

Il capo ingegnere di AltaVista disse che l’approccio migliore era quello di impiegare massicce quantità di silicio per la risoluzione del problema e sperare per il meglio. 

Nessuno dei team che lavoravano nelle società dei motori di ricerca pensarono di utilizzare i link. 

L’invenzione del PageRank 

I link erano la ragione del successo di un progetto di ricerca eseguito su un computer in una stanza di un dormitorio di Stanford. Il PageRank di Larry Page era abbastanza potente perché analizzava in modo intelligente quei link e assegnava loro un numero su una scala da uno a dieci. 

Questa assegnazione permetteva di definire la rilevanza della pagina rispetto alle altre pagine web. BackRub aveva semplicemente contato i link in entrata, ma Page e Brin si resero presto conto che non era solo il numero di link a rendere una pagina rilevante. 

Più era alto lo status della pagina che generava il link, tanto più rilevante era il link che generava la pagina stessa, e inoltre aumentava il posizionamento della pagina web quando si calcolava il suo numero con PageRank. 

Il PageRank aveva un altro grandissimo vantaggio. Per i motori di ricerca che si affidavano a tradizionali approcci di analisi del contenuto, il web poneva una terribile sfida. 

C’erano milioni e milioni di pagine e, siccome se ne aggiungevano sempre di più, le prestazioni di quei sistemi andavano progressivamente degradandosi. Per quei siti, la rapida espansione del web era un problema, prosciugava le loro risorse. 

Ma grazie al PageRank, la procedura BackRub migliorò man mano che il web cresceva. Nuovi siti significavano più link. 

«Il PageRank aveva il vantaggio di imparare da tutto il World Wide Web» commenta Brin. 

Se Michigan è meglio di Stanford 

Brin e Page caddero in un vortice di rapida iterazione e lancio. Se le pagine per una data ricerca non erano proprio in ordine, tornavano all’algoritmo per vedere cosa fosse andato storto. 

Page usava il ranking della parola “università” come cartina di tornasole. Prestava particolare attenzione alla classifica relativa alla sua alma mater, l’Università del Michigan, e a quella di Stanford. 

Brin e Page pensavano che Stanford si sarebbe classificata più in alto, ma l’Università del Michigan la superava. Era un difetto dell’algoritmo? No. 

«Abbiamo visto che il Michigan aveva più materiale sul web, e questo spiegava il suo ranking migliore» dice Page. 

Questo risultato mostrava l’“intelligenza” del PageRank. Rendeva il BackRub molto più utile dei risultati che si ottenevano con i motori di ricerca commerciali, la cui lista di istituzioni per la ricerca “università” sembrava totalmente casuale. Il primo risultato per quel termine generico in AltaVista era l’Oregon Center for Optics. 

Fino a quel momento, il compito di compilare un elenco di università e di classificarle per importanza era stata una faccenda complicata, intellettualmente impegnativa e laboriosa. 

Alcune riviste specializzate impiegavano grandi squadre che lavoravano per mesi proprio a tale scopo. C’erano poche possibilità che una macchina avrebbe sfornato un rating coerente con le impressioni di un cittadino ben istruito, ma BackRub non sapeva niente di queste statistiche. 

Sapeva solo sfruttare il fatto che i link creati da una comunità web avevano prodotto una classifica migliore di quella stilata da un gruppo di redattori o curatori di una qualunque rivista di esperti. 

Oltre il progetto di tesi?

Page e Brin avevano pensato al progetto come possibile argomento per le loro tesi di laurea. Ma era inevitabile che cominciassero a immaginare anche un differente sbocco che potesse portare loro dei soldi. Il programma di Stanford Computer Science era tanto un incubatore di imprese quanto un’istituzione accademica. 

Tuttavia Brin e Page per il momento erano ancora riluttanti a mettersi in proprio. Entrambi avevano puntato Stanford con l’intenzione di seguire le orme accademiche dei loro padri. 

Ma vendere la licenza per il loro motore di ricerca non era facile. Yahoo non vide la necessità di acquistare la tecnologia del motore di ricerca. Qualsiasi possibilità di un accordo con AltaVista venne azzerata dalla direzione centrale del DEC, nel Massachusetts: «Non è stato inventato qui» dissero. 

Page e Brin riuscirono quasi a raggiungere un accordo con Excite, una società di ricerca avviata da un gruppo di geek di Stanford molto simili a Larry e Sergey. Ma l’affare non si concluse, per colpa della “supervisione di un adulto”, il nuovo CEO di Excite, George Bell, un ex dirigente del magazine “Times Mirror”. 

La prova comparativa con Excite 

Il team di BackRub aveva fatto visita a Bell per una dimostrazione, aveva aperto BackRub in una finestra ed Excite in un’altra per una prova comparativa. 

Per la prima ricerca utilizzò la parola “internet”. I primi risultati di Excite erano delle pagine web cinesi in cui la parola inglese “internet” spiccava tra un’accozzaglia di ideogrammi. I primi due risultati di BackRub, tuttavia, mostravano pagine che informavano sulla modalità d’uso dei browser. 

Era esattamente il tipo di risultato che, molto probabilmente, avrebbe soddisfatto chi avrebbe impostato la ricerca. 

Bell rimase, però, visibilmente impressionato. Il prodotto di Stanford era veramente buono. Se Excite avesse inglobato un motore di ricerca capace di dare immediatamente le informazioni che le persone cercavano, ha spiegato Bell, gli utenti avrebbero lasciato Excite all’istante. 

Poiché i ricavi pubblicitari provenivano dalle persone che stazionavano sul sito — la “viscosità” era il parametro più ricercato dai siti web dell’epoca — utilizzare la tecnologia BackRub sarebbe stato come darsi la zappa sui piedi. 

Le perplessità a lasciare l’ambito accademico 

Scott Hassan ricorda di aver esortato Larry e Sergey proprio allora, all’inizio del 1997, a lasciare Stanford e avviare una loro azienda. Ricorda ancora: 

«Tutti gli altri lo stavano già facendo. C’erano Hotmail e Netscape che andavano molto bene. Il denaro scorreva a fiumi nella Valle. Così gli ho detto: ‘L’idea è il motore di ricerca. Dobbiamo assolutamente farlo’. Loro non la pensavano così. Larry e Sergey erano entrambi molto determinati a rimanere nell’ambito accademico di Stanford». 

«Non eravamo… in un mood imprenditoriale, in quel momento», affermò Brin più tardi. 

Nel settembre 1997, Page e Brin rinominarono BackRub in qualcosa che speravano fosse più adatto per il mercato. 

Valutarono “The Whatbox”, per poi scartarlo perché suonava troppo come “wetbox” (un termine gergale per “lubrificante vaginale”). Ovviamente, non era una denominazione congrua. 

Allora, il compagno di stanza di Page al dormitorio di Stanford, suggerì “googol”, un termine matematico che identifica il numero 1 seguito da 100 zeri. 

La scelta del nome e il logo 

«Il nome rispecchiava esattamente la scala di quello che stavamo elaborando — spiegò Brin qualche anno più tardi. In realtà si rivelò una denominazione azzeccata solo qualche tempo dopo. Oggi, in effetti, abbiamo miliardi di pagine, gruppi, immagini e documenti, oltre a centinaia di milioni di ricerche al giorno.» 

Purtroppo l’indirizzo internet per “googol” era già occupato, come presto si accorsero. Fortunatamente Page commise un errore nel digitare il nome nella casella di ricerca. Scrisse “google”, invece di “googol”. E Google era il nome di un dominio disponibile. 

«Google era inoltre facile da digitare e mnemonico», ricorda Page. 

Una notte, usando un programma di grafica open-source chiamato GIMP, Sergey buttò già la grafica della homepage. Disegnò un logo separando ogni lettera del nome e assegnando a ognuna un colore diverso. Il logo ricordava un puzzle a cubi di legno per bambini. Trasmetteva un senso di affabile ghiribizzo. 

«Voleva che fosse giocoso e giovanile», ricorda Page. 

La homepage aveva una casella per digitare l’espressione di ricerca e, sotto, due pulsanti, uno per la ricerca e un altro etichettato “mi sento fortunato”. Una sorprendente scommessa. Diversamente dalla concorrenza, Google sembrava in grado di esaudire una ricerca al primo tentativo. 

A differenza di molte altre pagine web, la homepage di Google era così scarna da sembrare un abbozzo. 

Più roba c’era sulla pagina, più il caricamento era lento. Entrambi, soprattutto Page, credevano che la velocità fosse un fattore fondamentale per soddisfare gli utenti. Page in seguito trovò divertente che la gente elogiasse il design zen della homepage, con tutto quello spazio bianco. 

«Il minimalismo era dovuto al fatto che non avevamo un webmaster e dovevamo fare tutto da soli», ha riconosciuto. 

Un progetto secretato 

Nel frattempo, BackRub-diventato-Google era cresciuto a tal punto che era diventato difficile gestirlo all’interno delle strutture di Stanford. Stava diventando sempre meno un progetto di ricerca e sempre più una startup internet gestita da un’università privata. 

La riluttanza di Page e Brin a scrivere un articolo sul loro lavoro era diventata leggendaria al dipartimento di informatica di Stanford. La gente diceva: «Perché sono così riservati? Si tratta di un progetto accademico, dovremmo sapere come funziona», ha raccontato Terry Winograd. 

Page sembrava caduto in un conflitto di interessi. Da un lato, aveva convintamente aderito all’ethos hacker della conoscenza condivisa. Era quello che il suo progetto promuoveva: rendere accessibile la conoscenza per rendere il mondo un posto migliore. 

Ma aveva anche un forte impulso a proteggere le sue scoperte conquistate con tanta fatica. Gli si affacciava alla mente Nikola Tesla, che morì in povertà mentre le sue invenzioni arricchivano gli altri. 

Inoltre, scrivere un articolo sulla loro esperienza non era, alla fine, così stimolante per Brin e Page come poter costruire qualcosa. 

Winograd infine li convinse a spiegare il PageRank in un evento pubblico. I due presentarono un paper intitolato The Anatomy of a Large-Scope Hypertextual Web Search Engine in una conferenza in Australia nel maggio 1998. 

Stanford inizia a stare stretta 

Ben presto, Google gestiva ben 10.000 query al giorno. A volte consumava la metà della banda internet di Stanford. Il suo consumo di apparati e banda era vorace. 

«Supplicavamo, prendevamo in prestito — racconta Page. C’erano un sacco di computer in giro, e siamo riusciti a procurarcene qualcuno.» 

La stanza di Page nel dormitorio era essenzialmente il centro operativo di Google, con un variegato assortimento di computer di vari produttori collegati in una versione casalinga di un rack di server — un armadio costruito con mattoncini lego. 

Per memorizzare le milioni di pagine analizzate, Page e Brin dovettero acquistare personalmente le unità di memorizzazione di massa ad alta capacità. Page trovò un posto che smerciava dischi ricondizionati a un decimo del costo originale. 

Funzionavano egregiamente purché non si sostituisse il software di gestione del disco. 

«Ci procurammo 120 unità con una capacità di nove giga ciascuno. In tutto un terabyte di spazio — dice Page — ma era chiaro che ben presto avremmo avuto bisogno di altre. E poi di cos’altro ci sarà bisogno?, ci chiedevamo. Tutto questo succede davvero?» 

Si inizia a cercare i soldi 

Stanford non li stava cacciando via. Le difficoltà generate del nascente Google erano bilanciate dalla consapevolezza che il dipartimento stava facendo qualcosa di importante. 

«Penso che avrebbero presentato un’ottima tesi di dottorato — dice Grace-Molina che lavorava per trattenere Brin e Page a Stanford –. Credo anche che le loro famiglie li sostenessero nei loro studi. Ma avviare un’azienda era diventata un’attrazione troppo grande per resistervi.» 

Non c’era alternativa, nessuno avrebbe mai pagato abbastanza Google. E gli utenti soddisfatti del servizio stavano confermando Google stavano facendo davvero la differenza. Restava il problema, non da poco, delle risorse necessarie a sostenere questa crescita esponenziale. 

Brin e Page si rivolsero al professor Dave Cheriton per un consiglio. Cheriton aveva avviato una propria società a Stanford. Poi l’aveva venduto a Cisco per 220 milioni di dollari. Cheriton suggerì loro di incontrare Andy Bechtolsheim, il suo ex partner commerciale. 

Quella sera stessa, verso mezzanotte, Brin si precipitò a scrivere una e-mail a Bechtolsheim. Questi rispose immediatamente chiedendo ai due studenti di presentarsi alle otto del mattino successivo a casa di Cheriton, che si trovava sulla strada che egli percorreva ogni giorno per andare al lavoro. 

Arrivano 100 mila dollari 

A quell’ora inusuale, Page e Brin fecero una dimostrazione del motore di ricerca a Bechtolsheim sul portico di Cheriton che aveva una connessione internet. Bechtolsheim rimase impressionato, ma desideroso di raggiungere l’ufficio, tagliò corto offrendo ai due un assegno da 100.000 dollari. 

Ricorda Brin: “Non avevamo neppure un conto in banca. ‘Incassatelo quando ne avrete uno’, rispose Bechtolsheim e sfrecciò via sulla sua Porsche”. 

Lo fece con nonchalance, mentre sorseggiava un cappuccino un mattino qualsiasi di un giorno qualsiasi sulla via del lavoro. In realtà aveva appena investito in un’impresa che avrebbe cambiato il modo in cui il mondo accedeva all’informazione. 

Brin e Page festeggiarono con uno spuntino da Burger King. L’assegno giacque nella stanza del dormitorio di Page per oltre un mese. 

… e poi il primo milione di molti altri 

Poco dopo, a Bechtolsheim si unirono altri angel investors. Tra questi c’era Dave Cheriton, il professore che li aveva presentati a Bechtolsheim. Un altro early investor era un imprenditore della Silicon Valley di nome Ram Shriram. La sua azienda era stata da poco acquisita da Amazon. 

Shriram aveva incontrato Brin e Page nel febbraio 1998. Sebbene fosse scettico sul modello di business dei motori di ricerca, rimase enormemente impressionato da Google. Dopo l’incontro, Shriram invitò i due studenti a casa propria per incontrare il suo capo Jeff Bezos. 

Anche Bezos rimase positivamente impressionato dalla passione e dalla “sana caparbietà” dei due studenti. Brin e Page gli spiegarono il motivo per cui non avrebbero mai inserito annunci pubblicitari sulla loro homepage. Con Bezos, insieme a Bechtolsheim, Cheriton e Shriram come investitori privati, la raccolta di finanziamenti di Google arrivò a un totale di un milione di dollari. 

Nasce Google.com Inc. 

Il 4 settembre 1998 Page e Brin presentarono la domanda di costituzione della società Google e si trasferirono fuori dal campus. La ragazza dell’epoca di Sergey era amica di un manager della Intel di nome Susan Wojcicki. La Wojcicki aveva appena acquistato, con il marito, una casa in Santa Margarita Street a Menlo Park per 615 mila dollari. 

Per finanziare il mutuo, la coppia chiese a Google 1700 dollari al mese per l’affitto del garage e di alcune stanze della casa. A quel punto, assunsero il loro primo dipendente, un compagno di studi di Stanford, Craig Silverstein. 

Era entrato in contatto con Brin a Page mostrando un algoritmo per comprimere tutti i collegamenti in modo da rendere più efficiente la loro memorizzazione e il loro funzionamento. 

Fu preso a bordo anche un responsabile dell’ufficio. 

Come se fossero ancora studenti, Brin e Page mantennero una loro presenza a Stanford, co-insegnando a un corso, il CS 349, “Data Mining, Search, and the World Wide Web”. Il corso si teneva due volte a settimana in quel semestre. 

Brin e Page presentarono il corso come una “classe progetto”. Gli studenti avrebbero lavorato con il repository di 25 milioni di pagine web che Google aveva raccolto. Google adesso era un’azienda privata. 

Avevano anche un assistente di ricerca. La prima lettura consigliata fu il loro stesso saggio, ma più avanti, nel corso del semestre, il corso si concentrò sul confronto tra PageRank e il lavoro sviluppato da Jon Kleinberg. 

Nel mese di dicembre, dopo che vennero portati a termine gli ultimi progetti, Page invitò via email gli studenti a una festa che segnò una pietra miliare. Nell’invito c’era scritto . 

«Il progetto di ricerca di Stanford è ora Google.com: la società di ricerca Internet della prossima generazione. Si consiglia abbigliamento polinesiano e portate qualcosa per la vasca idromassaggio». 

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