Condividi

Golf, la seconda occasione di Padraig

All’Honda Classic va in scena la strepitosa vittoria di Padraig Harrington, giocatore di Dublino, 43 anni, numero 297 del mondo: un uomo che ha avuto una seconda occasione.

Golf, la seconda occasione di Padraig

Il torneo di golf più bello dell’anno, probabilmente, l’abbiamo già visto: è l’Honda Classic, chiuso lunedì con la strepitosa vittoria di Padraig Harrington, giocatore di Dublino, 43 anni, numero 297 del mondo, un uomo che ha avuto una seconda occasione. Il percorso è stato sofferto, difficile, estenuante, una lotta per la sopravvivenza durata 7 anni e cinque giorni, quelli della gara (un giorno in più a causa del rinvio per maltempo) conclusa alla 74esima buca, ai playoff, in una sfida diretta fra il vecchio campione, Harrington e il ventunenne rookie nordamericano Daniel Berger.

In questo confronto, sul PGA National (Champion), Palm Beach Gardens, Florida, i protagonisti sono dei perdenti di successo, grazie ai quali il golf a volte si manifesta in tutta la sua crudeltà a bellezza. Per questo motivo vale la pena dedicare qualche riga all’evento e alla carriera di Harrigton, vincitore di tre major: l’Open Championship del 2007 e del 2008 (davanti, fra l’altro, a un altro “grande perdente” come Sergio Garcia, numero 7 del mondo) e il Pga Championship sempre nel 2008. Nel ricco Palmares dell’irlandese figura anche l’Honda Classic del 2005, eppure da sette anni Padraig non registra alcun successo, solo sconfitte. Perché? È uno dei misteri del golf, forse all’origine ci sono delle scelte sbagliare. 

All’apice della forma infatti il campione decide di cambiare swing, di migliorare ancora, invece nel giro di qualche anno crolla dalla posizione numero 3 dell’ordine di merito mondiale, alla 300 e oltre. Perde la carta del circuito Usa e tentenna sul tour Europeo, infilando una serie di tagli mancati, compreso l’Open d’Italia lo scorso anno. Passati i 40 anni Harrington sembra destinato a finire nel dimenticatoio. Eppure questo “coniglietto assassino” (mostra i denti e gli occhi sbarrati quando è in trance agonistico) non molla. Per rimettersi in pista vince un torneo minore e torna nei primi 300 giocatori del mondo, quindi approda in Florida, con la targa del World Ranking numero “297”, una posizione fortunata, la stessa di James Hahn due settimane fa quando vince il Northern Trust Open.

Quella di Harrington non è una marcia trionfale, ma una faticosa salita, un gradino alla volta, fino alla 17 dell’ultimo giro (la 71esima buca), disputato lunedì. A dieci minuti dalla fine ha la vittoria in mano. I suoi avversari diretti, l’inglese Ian Poulter e lo statunitense Patrick Reed, si sono “suicidati” nelle buche precedenti, finendo in acqua in momenti clou della gara. Harrington è a -7, mentre dalle retrovie è salito il giovane Berger, che ha già chiuso a -6. Per Padraig vincere significa tornare fra i grandi, godere di molte esenzioni, rimettere in tasca la carta del Pga Tour e garantirsi un invito al Masters. Fra lui e quest’obiettivo ci sono il par 3 della 17 e il par 5 della 18. Deve solo giocare nel modo più prudente possibile, fare due par e vincere senza problemi. 

Ma il golf è crudele soprattutto se la meta è vicina, è in quel momento che ai giocatori tremano le gambe e i pensieri. Padraig è visibilmente nervoso: gli dà fastidio tutto, il pubblico che si muove, gli aerei che volano, le mosche che ronzano, si ferma più volte, discute col suo caddie, guarda e riguarda l’arco che deve compiere la sua pallina per superare l’acqua e atterrare sul green. Alla fine decide per un colpo complicato, da sinistra a destra con un ferro 5, ma il suo corpo e le sue mani non si muovono come previsto. La pallina prende subito una traiettoria troppo destrorsa e s’inabissa col suo carico di  sogni. È la premessa per un tragico doppio bogey che puntualmente arriva. Al tee della 18 Harrington è in seconda posizione, non ha più tempo di recuperare e i suoi progetti di riscatto si allontanano, mentre al loro posto tornano i fantasmi degli ultimi anni. 

Dopo 5 giorni di gioco, dopo un errore così grossolano, la voglia di gettare la spugna prende quasi sempre il sopravvento. Harrington però è un campione, è un giocatore che non vince da sette anni, ma che ha sopportato la tensione di tre major, quindi…..Il drive della 18 è in pista, ma troppo lontano e troppo a rischio acqua per raggiungere il green con due colpi. Il nostro tira quindi un secondo di avvicinamento e il terzo verso la bandiera. L’operazione riesce, ma la palla si ferma lontano dall’asta. Harrington, per costringere il giovane avversario allo spareggio, ha un lungo putt per il birdie e per scendere a -6. In quel momento nella sua mente scatta qualcosa di  simmetrico e contrario alla 17, un istinto di sopravvivenza che porta la palla in buca. È un’esplosione di gioia e il coniglietto ricomincia a crederci.

Si riparte sempre dalla 18 con la formula “sudden death”, morte improvvisa, chi soccombe anche di un solo colpo, perde il confronto. La buca però finisce con un nulla di fatto, due par, benché Daniel sia più vicino e abbia, per un istante, il torneo in mano. Ci si avvia quindi al tee della 17, laddove tutto ebbe inizio. Padraig decide di perseverare nello stesso, difficile, colpo di pochi minuti prima, un ferro 5, tagliato da sinistra a destra. È di nuovo nervoso, si ferma più volte, consulta il caddie, prende posizione e poi si toglie, riprende posizione e si ritoglie. Alla fine di questo balletto impugna il ferro e tira: questa volta è un ferro splendido che finisce a un metro della bandiera. Il giovane Daniel tenta di reagire, ma va in acqua. La partita si conclude con un par di Harrington e la sua resurrezione. Come nella canzone di Gianni Morandi: “se ti diranno sei finito non ci credere”, uno su mille ce la fa e Padraig ce l’ha fatta, perché il golf a volte offre una seconda opportunità.

Commenta