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Globalizzazione addio, la guerra spinge al rientro delle produzioni strategiche: parla Jeffry Frieden (Harvard)

INTERVISTA A JEFFRY FRIEDEN, economista della Harvard University – “Le produzioni di beni strategici ritorneranno a casa”: ecco quali – “L’invasione russa dell’Ucraina rafforzerà sia la Nato che la Ue”

Globalizzazione addio, la guerra spinge al rientro delle produzioni strategiche: parla Jeffry Frieden (Harvard)

La guerra in Ucraina ha messo la parola fine sulla globalizzazione così come l’abbiamo vista governare il mondo negli ultimi trent’anni, ha detto Larry Fink, capo del fondo di investimento BlackRock. Negli Stati Uniti hanno coniato il termine “friend-shoring” per inquadrare il meccanismo di rientro a casa delle produzioni industriali strategiche e ad alto tasso di tecnologia. I rischi di una dipendenza pressoché totale in molti settori industriali sono stati sperimentati con qualche brivido già nelle fasi più acute della pandemia. In Italia, nelle prime settimane del Covid abbiamo faticato a produrre semplici mascherine di tessuto, non proprio gli ultimi derivati della tecnologia connessa alla fisica quantistica. Due mesi fa si è aggiunto il conflitto in Ucraina che ha riportato le varie economie regionali a dover ragionare potenzialmente su un futuro dove il mondo si divide le risorse in blocchi d’influenza politica. In esclusiva per FIRSTonline, l’economista Jeffry Frieden autore di uno dei libri più citati sul futuro della globalizzazione, “Global Capitalism: Its Fall and Rise in the Twentieth Century, and Its Stumbles in the Twenty-first”, disegna una mappa aggiornata per orientarsi nella nuova geografia dell’economia mondiale. Insegna Politica economica internazionale ad Harvard dove dirige il Department of Government.

Professor Frieden, la guerra ha congelato le radici profonde dell’economia mondiale. Energia, petrolio, valute, investimenti, approvvigionamenti alimentari: la globalizzazione sembra in grande crisi. È finita la ricreazione, il mondo ritornerà a dividersi in blocchi d’influenza?

«L’invasione russa dell’Ucraina ha cambiato sia la realtà geopolitica sia quella economica che dobbiamo affrontare. C’era già stata una certa pausa nell’integrazione economica internazionale, per diversi motivi. L’invasione porterà sicuramente ad una riconsiderazione della profondità e dell’ampiezza di molte relazioni economiche e politiche».

Non è semplice smontare il funzionamento di un’economia completamente globalizzata, interdipendente e con catene di produzione manifatturiera dislocate in ogni parte del mondo. È pensabile davvero un mondo tagliato in blocchi?

«Rimuovere la Russia dall’economia mondiale integrata non equivale a “smantellarla”. L’economia russa è piccola e non particolarmente rilevante per il resto del mondo, sebbene sia importante per alcune materie prime e per alcuni Paesi. Finché l’invasione e le sue conseguenze portano semplicemente all’isolamento economico della Russia e dei suoi più stretti alleati, le implicazioni per l’economia mondiale non saranno particolarmente significative».

Stati Uniti e Unione Europea da un lato e Cina e Russia dall’altro? Con un corollario variabile di potenze regionali in via di posizionamento. Che tipo di economia sarebbe?

«Ha ragione a sottolineare questo interrogativo: la più grande domanda sul futuro dell’ordine politico ed economico internazionale riguarda proprio il ruolo della Cina. Se il governo cinese decidesse di stare con la Russia, la prospettiva sarebbe la costituzione di un grande blocco eurasiatico che potrebbe plausibilmente configurarsi come alternativa all’OCSE. Tuttavia, non credo che ciò sia molto probabile, almeno non nel prossimo futuro. La Cina è molto più legata all’economia mondiale rispetto al rapporto con la Russia».

Il capitalismo occidentale, anche se non mette gli scarponi sul terreno in Ucraina, ha deciso di combattere duramente i suoi nemici con le sanzioni. Che effetti avrà la guerra economica nel commercio internazionale?

«Non credo che le sanzioni avranno un impatto particolarmente profondo sul commercio mondiale, a parte ovviamente il loro impatto sul commercio con la Russia ed i suoi alleati. Ci sarà una ricerca di nuove fonti di approvvigionamento rese meno accessibili dalle sanzioni, ma si tratterebbe di uno spostamento degli scambi più che di riduzione vera e propria».

La pandemia prima e la guerra dopo costringono i Paesi occidentali a programmare l’accorciamento delle catene del valore. Essere dipendenti da Paesi potenzialmente ostili è un rischio che non possiamo più correre?

«Sì, già con la pandemia molti governi stavano riconsiderando l’idea di ridurre la dipendenza delle catene di approvvigionamento globali per beni particolarmente importanti: quelli essenziali per l’assistenza sanitaria, l’approvvigionamento alimentare, la difesa e simili. Credo che l’invasione, le sanzioni e le conseguenze della guerra, porteranno ancora di più molti governi a cercare di garantire una migliore protezione delle loro economie. In primis, contro i potenziali effetti negativi delle interruzioni nelle catene di approvvigionamento».

Ci può fare qualche esempio di beni e tecnologie che ritorneranno presto a casa?

«Si tratta della produzione di beni considerati strategici, o addirittura essenziali, per le diverse nazioni. Generi alimentari di base, forniture sanitarie, tecnologie legate alla difesa nazionale e alcune apparecchiature elettroniche particolarmente sensibili».

L’Europa proprio su alcuni settori si è scoperta molto fragile. In primo luogo per le produzioni semplici (il caso delle mascherine), poi per la questione energetica ed infine per i beni primari dell’agricoltura. Ci sarà quindi una nuova fase di interventismo statale nell’economia?

«L’Unione Europea e i suoi Paesi membri dovranno rivalutare fortemente la propria vulnerabilità rispetto alle interruzioni delle catene di approvvigionamento. Tralasciando le ovvie implicazioni nelle questioni energetiche, immagino che ciò si applicherà ai tipi di beni menzionati in precedenza, quelli ritenuti cruciali per il funzionamento dell’economia europea (elettronica e beni strumentali) e quelli ritenuti basilari come l’alimentazione e l’assistenza sanitaria».

L’inflazione è una “brutta bestia” che non eravamo più abituati ad affrontare. Rimarrà con noi a lungo, sia per gli effetti della transizione energetica sia per la riorganizzazione del commercio internazionale. È destinata a cambiare anche la politica occidentale?

«La politica monetaria è destinata ad inasprirsi negli Stati Uniti e in Europa, è già iniziata questa fase. Resta da vedere fino a che punto dovranno salire i tassi di interesse e quanto questo aumento potrà causare un rallentamento profondo dell’economia. E soprattutto verificare se questa politica sarà sufficiente per arginare l’inflazione. Anche l’allentamento delle politiche fiscali, iniziato nell’era della pandemia e ora con la guerra, sarà una sfida che attende le economie occidentali».

Che scenari sono prevedibili del mondo delle valute in vista di questo riconfigurarsi del nuovo ordine commerciale internazionale?

«Sebbene continuino ad esserci proiezioni sul calo del dollaro, ancora non vedo segnali veri in questa direzione. Non esiste un’alternativa realisticamente utilizzabile, anche se l’euro potrebbe diventare leggermente più attraente nel tempo. Il renminbi, la valuta cinese, non ha la reputazione di cui ha bisogno una valuta internazionale e lo stesso mercato finanziario cinese non è abbastanza aperto e profondo per supportare una valuta di interesse globale. Quindi non vedo molti cambiamenti nel breve e medio termine».

Sul fattore tecnologico, dove bisognerà guardare per capire come si evolveranno i rapporti tra le potenze globali?

«L’automazione, le biotecnologie e l’intelligenza artificiale sono attualmente le punte di diamante del moderno cambiamento tecnologico e probabilmente continueranno ad esserlo».

Ultima domanda: alla luce di quello che sta succedendo, vede un’Europa più forte o più debole nei prossimi anni?

«Credo che l’invasione russa dell’Ucraina alla fine rafforzerà sia la NATO che l’Unione Europea. La prospettiva di un vero nemico di solito concentra la mente e aiuta a superare le differenze nel perseguimento della difesa comune».