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Gli azionisti di JP Morgan al voto sulla doppia poltrona di Dimon. Le tre lezioni della “Balena”

Gli azionisti votano oggi in assise sulla separazione delle cariche di presidente e ceo dopo gli scandali – Trema la doppia poltrona di Dimon – Le tre lezioni della balena di Londra dell’economista Jan Kregel (Bard College) – Il caso JPMorgan è diventato il terreno di gioco su cui si sta disputando la sfida sulla Volcker rule tra Senato e lobbies finanziarie

Gli azionisti di JP Morgan al voto sulla doppia poltrona di Dimon. Le tre lezioni della “Balena”

Gli azionisti di JP Morgan sono convocati oggi in assise a Tampa, in Florida. Ai voti c’è la separazione delle cariche di presidente e ceo accentrate nelle uniche mani del boss Jamie Dimon. Un voto cruciale che potrebbe portare alla nomina di un nuovo presidente che aumenti la sorveglianza sullo stesso amministratore Dimon, sotto pressione per i recenti scandali e inchieste. Uno scenario che nei giorni scorsi sembra fosse arrivato a raccogliere oltre il 40% dei voti. Piuttosto che accettare la rinuncia a una poltrona, il voto non è vincolante ma sarebbe una bruciante sconfitta per il boss, Dimon ha riferito che potrebbe dimettersi. A suo favore giocano comunque utili record e una performance in Borsa del 19% da inizio anno. L’esito del voto non è così scontato.A spingere sulla separazione delle cariche sono soprattutto i fondi pensioni dei sindacati che insieme possiedono sei milioni di azioni.

Il cerchio attorno alla poltrona di Dimon si è stretto sempre più negli ultimi due anni durante i quali JPMorgan ha dovuto fronteggiare crescenti critiche sulla sua gestione del rischio. Potente guida della JPMorgan dal 2005, Dimon nel 2006 è diventato anche presidente e ha visto accrescere la propria leadership dopo aver traghettato la banca di investimento indenne fuori dalla crisi subprime. Con tanto di salvataggio di Bear Stearns e Washington Mutual. Ma oggi il banchiere ha più di un guaio che lo mette in imbarazzo di fronte a quella comunità finanziaria e a quelle stesse autorità verso le quali ha sempre rivendicato le capacità di gestione del rischio di JPMorgan opponendosi all’ondata regolatoria del post crisi.

A gettare imbarazzo sul colosso Usa è stato soprattutto lo scandalo della “balena di Londra”, ossia il trader Bruno Michel Iksil che ha generato un buco da più di 6 miliardi di dollari con operazioni sui Cds e che ha messo sotto il faro proprio quella gestione del rischio che un tempo era considerata la migliore di Wall Street (l’unica in grado di passrae indenne per lo tzunami finanziario dei subprime). Non solo. Un recente report della Sottocommissione permanente per le indagini del Senato americano ha accusato la superbanca di aver ingannato le autorità di vigilanza e gli investitori sulla dimensione delle perdite su derivati. Il rapporto, frutto di oltre 50 interviste e dell’analisi di 90.000 documenti, ha messo in luce anche che Jp Morgan non ha reso alcune informazioni alle autorità di regolamentazione e ha ignorato gli allarmi. Secondo il senatore democratico Carl Levin gli investigatori “hanno scoperto operazioni di trading, fondate sul rischio, che ignoravano i limiti posti all’assunzione dei rischi stessi, nascondevano le perdite, eludevano la supervisione e disinformavano il pubblico”. “Anche se abbiamo più volte riconosciuto gli errori, i nostri alti dirigenti hanno agito in buona fede e non hanno mai avuto intenzione di ingannare nessuno”, ha replicato JP Morgan in un comunicato.

Poi sono arrivate le accuse di manipolazione del settore energetico che ora potrebbero costare a Dimon definitvamente il posto. In particolare la banca è accusata di avere orchestrato “schemi manipolatori” per trasformare “centrali energetiche in perdita in potenti generatori di profitti”, con l’aiuto di un dirigente di alto livello che avrebbe “reso testimonianze false e fuorvianti” sotto giuramento. E questi sono i guai più evidenti. Il 9 maggio la California ha fatto causa alla banca accusandola di “commettere abusi nel recupero dei debiti di decine di milgiaia di consumatori californiani”. Secondo alcuni organi di vigilanza, infatti, JPMorgan farebbe uso di tecniche non del tutto lecite per il recupero dei debiti delle carte di credito. Inoltre, altre inchieste sulla banca portano al caso Madoff in relazione a possibili omissioni di attività sospette. Secondo il New York Times sono addirittura 8 le agenzie federali che stanno indagando sulle attività della banca su diversi fronti (tra cui anche lo scandalo Libor). Dal quartier generale newyorkese della banca si respinge ogni accusa.

LE TRE LEZIONI DELLA BALENA DI LONDRA IN CHIAVE SISTEMICA

Ma quella di JPMorgan non è solo una storia di possibili illeciti, i suoi problemi hanno un significato sistemico, chiamano in causa la gestione delle grandi banche su cui non sembra che la regolamentazione sia al punto di svolta. Un tema che viene analizzato con chiarezza in un interessante studio dell’economista Jan Kregel, senior scholar al Levy Economics Institute of Bard College (New York), un ente di ricerca  sulle politiche pubbliche non profit, indipendente e apolitico fondato nel 1986. Nello studio, intitolato “More swimming lessons from the london whale”, Kregel approfondisce e analizza le conclusioni del report della sottocommissione del Senato ampliando le lezioni che si possono trarre dal caso della balena di Londra. Questi i passaggi principali dello studio:

1)
se il report della Sottocommissione suggerisce che la società e il management hanno agito in cattiva fede, una spiegazione più probabile per la cattiva informazione è che la banca era talmente cresciuta in dimensione e complessità da essere troppo grande perché il management avesse una chiara idea delle reali condizioni del Synthetic credit portfolio;

2) mentre il report indica che il Chief investment officer (Cio) ha agito senza un chiaro mandato, Kregel evidenzia che l’attività di hedging ha funzionato bene fino al 2009. Solo dopo, le cambiate condizioni di mercato hanno indotto il Chief investment officer (Cio) a cambiare mandato, o meglio ad agire secondo più mandati con obiettivi incompatibili. Fino a creare una sorta di schema Ponzi contro il quale il mercato ha iniziato a scommettere e che ha portato all’esplosione della dimensione delle perdite. In altri termini, il trading proprietario non è un problema di per sè ma il nodo della questione è un sistema finanziario che permette alle banche di operare in tutti i campi della finanza;

3) il rapporto del Senato critica l’elevata remunerazione del Cio come uno degli aspetti che hanno guidato le scelte del Cio. Per Kregel il problema non è tanto l’entità della remunerazione, piuttosto il fatto che sia legata alla profitabilità di una divisione che per sua natura dovrebbe generare perdite nella maggior parte dei casi.

Intervistato da Firstonline, Kregel rileva che la riforma di Wall Street nota come Dodd-Frank “mette solo cerotti ma non elimina le grandi difficoltà sulla capacità delle banche di gestire il rischio e del sistema regolatorio di capire cosa fa la banca”. La Dodd-Frank è stata firmata dal presidente Barack Obama nel luglio 2010 e rappresenta un complesso intervento per promuovere una più stretta e completa regolazione della finanza statunitense incentivando al tempo stesso una tutela dei consumatori e del sistema economico statunitensi. All’interno della riforma è prevista la Volcker rule, che limita drasticamente l’attività speculativa delle banche vietando loro di investire capitali propri in transazioni in borsa, investimenti in derivati e partecipazioni in hedge fund al di sopra del 3%. La norma non è però ancora stata adottata ed è stata fortemente contrastata dalle lobby bancarie.

 
JPMORGAN è IL TERRENO DI GIOCO DELLA SFIDA SULLA VOLCKER RULE

Ma per Kregel non è qui il nodo del problema e la Volcker rule non è la soluzione adeguata. Piuttosto è necessaria una regolamentazione che cambi la struttura del sistema finanziario: “è necessario dividere le operazioni delle banche, il trading, l’M&A, l’assicurazione (etc..) in unità separate con capitale separato – spiega Kregel – il che rende la supervisione più facile. Teniamo presente che se le banche non possono fare certe cose, trovano un altro modo di farlo, che di solito è ancora più rischioso. Non possiamo evitare che le banche prendano rischio, possiamo però ridurre la grandezza e i volumi che i manager possono gestire”. Non solo. Il caso JPMorgan è diventato il terreno di gioco su cui si sta disputando il serrato confronto sulla Volcker rule tra Senato americano e comunità finanziaria. Per Kregel, infatti, la Sottocommissione del Senato, decisa a difendere la bontà della Volker rule, non tiene conto nel suo rapporto che anche il trading proprietario, fino a un certo punto, è stato positivo per la stabilità di JPMorgan.

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