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Gianni Tamburi: “Moncler non è un’eccezione. In Italia ci sono tante belle aziende: basta scoprirle”

INTERVISTA A GIANNI TAMBURI, presidente della Tip – “La globalizzazione ha cambiato pelle e il modello competitivo è tornato quello americano. Le nostre imprese più dinamiche l’hanno già capito. Nel nostro Paese ci sono tanti campioni del Made in Italy: basta andare a cercarli. Il 2014 può essere l’anno della Fiat. La bolla del lusso non c’è”

Gianni Tamburi: “Moncler non è un’eccezione. In Italia ci sono tante belle aziende: basta scoprirle”

Altro che crisi. Gianni Tamburi, banchiere d’affari più che finanziere, chiude un altro anno d’oro, impreziosito nel finale dai piumini Moncler. Ancora una volta Tip, che sta per Tamburi Investment Partners, ha saputo puntare per tempo su un imprenditore di talento, ripetendo con Remo Ruffini, il protagonista del rilancio della griffe, lo schema seguito con tanti altri campioni del made in Italy, da Valerio Battista di Prysmian , Datalogic, Interpump e così via: rafforzare, con un’iniezione di capitali, l’imprenditore con una business idea vincente. 

E così , prima dell’Ipo di Moncler, Tip ha acquisito il 14% della Ruffini Partecipazioni: probabilmente l’operazione dell’anno visto l’esito della quotazione. Ma altri dossier già sono pronti sul tavolo, per un 2014 che promette successi. Come sempre, perché la crisi, vista dalla tolda della Tip, è finita. Anzi, non c’è mai stata. 

“Non c’è un solo imprenditore di mia conoscenza – sbotta – che perda tempo con i problemi di cui sono pieni zeppi i giornali. I problemi veri sono altri. Così come le opportunità”. E’ un vecchio cavallo di battaglia del creatore del salotto del quarto capitalismo: sotto la vernice di un sistema bloccato, l’Italia ha una formidabile vitalità.

Basta saper cercare: le aziende con una buona esposizione al commercio internazionale, dotate di un modello di business vincente e, non meno importante, guidate da azionisti (o manager) capaci e ben sperimentati , non mancano. Messa così sembra facile. E, tutto sommato, un po’ noioso.

Davvero non cambia nulla?

“Altrochè. E’ cambiato tutto”.

In che senso?

“La globalizzazione, così come l’abbiamo conosciuta dieci anni fa, è un fenomeno ormai esaurito. La Cina, che era la meta di tutte le aziende del pianeta è diventata troppo cara per produrre. Non solo per i costi del lavoro ma anche per la burocrazia e l’impatto ambientale”.

Allora, globalizzazione addio…

“No, semmai ha cambiato pelle. Le aziende fanno per produrre verso Occidente: molto negli Stati, parte nell’Europa dell’Est. Si ritorna verso Ovest ma con l’obiettivodi crescere in tutto il mondo. Anzi, non è corretto parlare di ritorno. E’ un capitalismo nuovo quello che si dirige verso i Paesi che hanno saputo cambiar pelle”.

Quali?

“Il modello è senz’altro l’America. Gli Usa hanno effettuato un cambiamento formidabile: oggi dispongono di un costo del lavoro competitivo, una burocrazia snella che si mette al servizio di chi offre posti di lavoro. E’ leader nella tecnologia e nei mercati di sbocco. Non ultimo, è di nuovo la potenza energetica del pianeta”.

Che conseguenze può avere per l’Europa?

“Semplice. Per essere competitivi dobbiamo adeguarci ad un modello che è molto lontano dai rituali della vecchia economia. Un esempio? Il lavoro, se lo cerchi, lo trovi. Ma ti devi adattare , se non c’è di meglio, ad un Mc Donald’s, sperando di migliorare. La Germania è già su questa strada: la ripresa dell’occupazione dipende dai mini job, mica dalle paghe della Bmw. Lo stesso vale per la Spagna che ha adottato una riforma del lavoro flessibile. Il lavoro è solo un esempio. Lo stesso vale per il credito, che in passato, in Italia, è stato male allocato in investimenti peggio che opinabili. E’ in atto un processo di aggiustamento degli equilibri economici e non solo, necessario se si vuol tornare ad una crescita sana”.

L’America è già convalescente, come dimostra il tapering e la ripresa del Pil. E’ così?

“Penso che Ben Bernanke abbia esitato troppo a lungo. Il taglio, peraltro modesto, agli acquisti andava fatto già a settembre. Ma ha pesato l’incognita del budget federale. In ogni caso, il percorso mi sembra ben definito: una serie di tagli agli altri acquisti fino ad azzerare il QE, penso nei primi mesi del 2015. I tassi resteranno basso, ancora per un altro paio d’anni. E’ la situazione ideale per una stagione di M&A: tassi bassi, crescita lenta ma costante, variabili monetarie prevedibili”.

Meglio le Borse dei bond allora?

“Penso di sì. Ma non credo che, dopo il rallye di quest’anno, Wall Street abbia molti margini per salire. Credo che l’indice non possa crescere più del 10-15 per cento. Le potenzialità migliori sono nell’Europa del Sud”.

Meglio l’Italia o la Spagna?

“Sono convinto che faremmo un ottimo affare ad imitare alcune riforme spagnole. Ho già parlato dei contratti di lavoro, ma penso anche agli incentivi sugli immobili. O a favore degli investimenti esteri”.

Un’ultima cosa: ma si aspettava il boom di Moncler?

“Sì, anche se come sempre la realtà supera l’immaginazione”.

Ma la corsa del lusso finirà in una bolla?

“Non credo proprio. Il lusso, nel mondo, è rappresentato da non più di 150 aziende che servono una platea di ricchi o aspiranti tali, di un miliardo di persone. Il margine per crescere c’è”. 

Sotto il lusso c’ ancora qualcosa? O l’Italia che produce ha preso il volo?

“Le aziende buone sono tante, anche se i giornali non se ne accorgono”.

Piccole aziende…

“Non solo. Il 2014 potrebbe essere l’anno della Fiat”.

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