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Gianfranco Borghini: dalla spending review a un nuovo paradigma per il pubblico impego

La spending review solleva proteste rituali delle categorie colpite ma in realtà è una grande opportunità per riformare la Pa e spendere meno per spendere meglio – Per i dipendenti pubblici c’è un problema di esuberi che si può però gestire con la mobilità, con l’outplacement, con l’auto-impiego e con lo sviluppo di nuove attività insieme alle cooperative.

Gianfranco Borghini: dalla spending review a un nuovo paradigma per il pubblico impego

Alla prova della Spending Review (spendere meglio per spendere meno) l’Italia ha reagito come d’abitudine: i sindacati insorgono e i partiti puntualizzano. Eppure la spending review non è che il primo passo del cammino che il Paese dovrà ineluttabilmente percorrere se vuole riprendere a crescere: il cammino cioè di una profonda ristrutturazione della PA e dello Stato.

E’ una strada, questa, che altri Paesi quali gli Usa e la Gran Bretagna, ad esempio, hanno già percorso con successo parecchi anni orsono e che ha dato risultati positivi che nessuno dei partiti allora all’opposizione (democratici e laburisti ) si è sognato di rimettere in discussione una volta ritornati al governo. In Italia, per nostra sfortuna, questo non è accaduto. A prevalere sono state le forze conservatrici di destra e di sinistra (lo stato sociale non si tocca! l’art. 18 non si tocca! la Costituzione non si tocca! etc.) e il risultato è quello che abbiamo di fronte: un debito pubblico stellare, una produttività in caduta libera e un Pil negativo.

Adesso, come ha detto Monti, il Paese deve reagire anche se ci vorranno anni per invertire la rotta e una legislatura potrebbe non bastare. Proprio per questo è molto importante il messaggio che il governo manda ai pubblici dipendenti. I pubblici dipendenti sono certamente troppi e vanno ridotti, ma non sono necessariamente dei fannulloni o degli incapaci. Quando all’inizio degli anni 90 si è dovuta ristrutturare la siderurgia e la chimica nessuno si è permesso di dire che i lavoratori siderurgici e chimici erano dei lavativi e che erano responsabili della crisi. Quella crisi fu affrontata privatizzando le imprese pubbliche, stimolando l’innovazione e la produttività e ristrutturando le aziende molte della quali dovettero essere chiuse. Gli esuberi (tanti) furono gestiti con gli strumenti (pochi) di cui allora si disponeva ma non ci fu nessun Stella o Rizzo che mise alla berlina quei lavoratori.

Lo stesso deve valere oggi per i dipendenti pubblici. Ristrutturare la PA vuol dire eliminare i doppioni, chiudere gli enti o gli uffici inutili, stabilire parametri di produttività che valgano a Milano come a Palermo. Vuol dire, purtroppo, anche creare degli esuberi o, se si vuole essere più precisi, mettere a nudo le sacche di “disoccupazione mascherata” che la PA ha aiutato in questi anni ad occultare, soprattutto nel Mezzogiorno. Per questo è fondamentale introdurre sin da ora parametri nuovi nella valutazione dei pubblici dipendenti e sperimentare nuovi modelli di organizzazione del lavoro. La professionalità e la responsabilità dovrebbero essere stimolate e premiate così come andrebbe incoraggiata, ovunque possibile, l’autonoma capacità di organizzare il lavoro per obbiettivi piuttosto che per procedure. Quello di cui il Paese ha bisogno è, insomma, un nuovo paradigma del pubblico impiego ed è un obbiettivo questo che è alla nostra portata, se solo sapessimo utilizzare questa crisi per rinnovare a fonda la nostra P:A.

Certo, questo pone il problema degli esuberi e dal modo in cui lo gestiremo dipenderà il successo o meno di questa operazione. Molti anni fa si pensò di rinnovare la PA spalancando le porte ai giovani con una spettacolare manovra di prepensionamento (i baby pensionati). L’operazione, ovviamente, fallì e ancora stiamo pagando il conto. Ripeterla oggi sarebbe impossibile. Quello che invece possiamo fare è mettere a disposizione di questi lavoratori tutti gli strumenti di reimpiego di cui disponiamo e anche di sperimentarne di nuovi. Non c’è solo la mobilità interna alla PA (che può funzionare se si eliminano vincoli assurdi quali la distanza chilometrica fra il vecchio e il nuovo lavoro o l’assoluta equivalenza di livello e di contenuti del nuovo lavoro, etc.) o la mobilità verso la pensione (2 o 3 anni ). C’è anche l’outplacement verso attività nel privato e c’è la possibilità di incentivare l’auto-impiego per chi pensa di potere intraprendere una attività imprenditoriale in proprio.

C’è, infine, anche un area di potenziale sviluppo di nuove attività di servizio nelle quali molti lavoratori provenienti dal pubblico impiego o giovani in cerca di una prima occupazione potrebbero trovare un impiego, anche solo parziale o temporaneo. E’ il caso del turismo, dei Beni culturali e museali, dell’assistenza alle persone e di altri settori ancora. Sono settori che richiedono servizi che potrebbero essere forniti da società cooperative, da agenzie private specializzate o anche da società miste. Si tratta di verificare tutte le possibilità, di esplorare tutti i campi e di non cessare mai di ricercare delle opportunità di lavoro. L’essenziale è che non si crei una massa di dipendenti pubblici inattivi in attesa della pensione che ,uniti agli esodati dell’industria, potrebbero un domani costituire un problema sociale molto difficile da gestire, per chiunque.

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