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Gaza, l’inferno dell’European Hospital: la drammatica testimonianza del chirurgo Paul Ley

Paul Ley è un chirurgo ortopedico che su mandato dell’Onu lavora all’European Hospital di Khan Tunis a Gaza: “Nella Striscia rimarrà un’intera generazione di invalidi”

Gaza, l’inferno dell’European Hospital: la drammatica testimonianza del chirurgo Paul Ley

Paul Ley, chirurgo ortopedico del Comitato internazionale della Croce Rossa, 61 anni, italo-francese, una lunga esperienza di chirurgo in luoghi di guerra e conflitti terribili, dal 27 ottobre lavora all’European Hospital di Khan Yunis a Gaza, ininterrottamente, con pause per brevi riposi ma senza mai uscire, alle prese con amputazioni, medicazioni dolorosissime di ustioni e ferite spaventose, senza i farmaci necessari per impedire infezioni e operando senza anestesia. In uno scenario apocalittico che Ley cerca di descrivere nelle sue tragiche dimensioni. Fa parte dell’équipe che lavora su mandato ONU per l’assistenza alle vittime di guerra, costituita da due chirurghi (di cui uno è Lui), un anestesista, un strumentista e due infermieri. E tutti continueranno a operare e curare per altre settimane sino a raggiungere un massimo di sei per essere poi sostituiti da un’altra équipe. 

Il racconto del chirurgo Paul Ley da Gaza

Il ritmo degli interventi e delle cure – si fa per dire visto la mancanza di tutto – è stressante, non si riesce a sapere nemmeno quanti pazienti siano presenti nel grande ospedale. “Forse duemila, ma qui gli sfollati continuano ad arrivare e a fermarsi ovunque, anche in  ascensore, e forse saranno 5-6mila. Dei duemila ricoverati 700 sono quelli con gravi problemi ortopedici che devo seguire, in quattro sale operatorie. E quello che si sente come sottofondo sono le urla di dolore, le disperate richieste di farmaci per non soffrire…E come colonna sonora molto più forte, assordante che non finisce mai, i bombardamenti, gli spari, i droni che passano qui sopra di continuo. Siamo sempre sotto tiro. Non ci hanno ancora colpito perché siamo, per usare un termine nuovo, “deconflittualizzati” ma a 150 metri tutto è sotto il bersaglio degli attacchi israeliani” che hanno risposto all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre.

In questo gigantesco girone infernale qualcuno deve pensare anche agli sfollati che popolano ogni minimo spazio dell’ospedale. “Condividiamo con loro – sottolinea – acqua e cibo”. Il caos è totale, da due settimane arrivano qui i feriti mai curati da un sistema sanitario al collasso, ormai inesistente. Ma anche questa struttura sanitaria è allo stremo. I ricoverati sono stesi anche a terra su materassi e nella disgrazia del dolore e dell’incertezza del loro destino, almeno hanno un vantaggio che le schegge che entrano dalle finestre non li colpiscono”. Amara constatazione. 

Ley da Gaza: “Siamo tutti bersagli, a Gaza non è rimasto più niente”

Siamo tutti dei bersagli non diretti, ma lo siamo. Ma almeno noi sappiamo che da qui ci tireranno fuori tra qualche settimana ma loro no. Tutti, medici, infermieri, e chi è presente, andranno incontro alla fine, sanno solo subirlo questo destino. Lo dico con enorme sgomento- confessa Ley- non so cosa succederà, so che il danno è e sarà enorme, questa è una popolazione che sarà composta da invalidi, traumatizzati e malati senza speranza di essere assistiti perché qui a Gaza non è rimasto più niente, questi sono paesi e popolazioni povere, senza risorse”. 

Cerchiamo di farci dire qualche numero per dare una evidenza anche oggettiva all’incommensurabile danno che Gaza dovrà subire molto a lungo. “Questo popolo avrà conseguenze molto gravi per ferite non curate, per traumi non assistiti, infezioni che causeranno pseudoartrosi, peserà sulla popolazione un’intera generazione di invalidi con arti non ricostruiti”. È’ la prima volta che Ley descrive davvero nella sua tragica realtà quelli che i comunicati ufficiali di Israele descrivono come “danni collaterali”. Quanti saranno gli invalidi? “Almeno due terzi della popolazione è senza assistenza. Come ho già avuto modo di dire, qui il 40% degli ustionati è costituito da bambini sotto i 15 anni. Il nostro intervento pur essendo senza soste è una goccia d’acqua di fronte all’immensità dei danni, ma i medici dell’ospedale ci sono molto grati perché la nostra presenza e il nostro impegno sono di enorme aiuto, sia fisico che psicologico. E spesso anche un nostro consiglio è per loro prezioso. Ma spesso sono esausti, dopo continue amputazioni con i feriti che arrivano senza interruzioni, chiedono di essere sostituiti. Non ce la fanno più”. 

Che cosa succederà una volta finita la guerra su Gaza? “Ripeto, un lascito enorme di disabili. Ho operato in condizioni sempre molto difficili, in tutto il Sud America, in Africa, ho lavorato con Gino Strada e sempre in zone di guerra o di violenza e guerre civili. Ma una intensità di bombardamenti come questa, concentrata in così poco tempo, e su una striscia di superficie così piccola, solo 15 km del totale di 39 di Gaza, non si è mai verificata. Mai mai così”.

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