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Franco Gallo: “Aumentare le tasse no, ma redistribuirle sì”

INTERVISTA A FRANCO GALLO, Presidente emerito della Corte Costituzionale e già ministro delle Finanze – “In tempi come questi sarebbe azzardato aumentare la pressione tributaria complessiva con strumenti diversi dalla lotta all’evasione e all’elusione” e tuttavia “un aumento dell’imposta successoria potrebbe avere apprezzabili effetti redistributivi, soprattutto se inserito in una riforma fiscale organica che prevede una robusta tassazione ambientale e digitale e una riduzione dell’Irpef sulle famiglie e sulle imprese”

Franco Gallo: “Aumentare le tasse no, ma redistribuirle sì”

Il premier Mario Draghi ha ribadito chiaramente che in questa fase i soldi bisogna darli e non chiederli. Sul versante Pd, il segretario Enrico Letta ha da qualche settimana riportato comunque il dibattito sulla necessità di ricalibrare il peso di alcune imposte, nello specifico sulle successioni in una logica di redistribuzione a favore dei più giovani. Allo studio si prospetta anche una legge delega per una riforma delle aliquote sulle persone fisiche. Pandemia permettendo, il ritorno alla normalità politica ed economica rimetterà dunque la questione fiscale come grande divisore dei diversi schieramenti. Franco Gallo, presidente emerito della Corte Costituzionale, è uno dei grandi maestri del diritto tributario ed ha contribuito, da ministro delle Finanze del governo Ciampi, a delineare quella che gli italiani conoscono come la “dichiarazione dei redditi”.

Professor Gallo, correlare gli introiti da successione, come propone Enrico Letta, ad una dote finanziaria da elargire ai giovani è una misura equa oltre che di redistribuzione delle risorse?

«Il mio giudizio è in linea di massima positivo. In tempi come questi, in cui sarebbe azzardato aumentare la pressione tributaria complessiva con strumenti diversi dalla lotta all’evasione e all’elusione, un aumento dell’imposta successoria potrebbe avere apprezzabili effetti redistributivi. Soprattutto se destinato a supplire, seppur parzialmente, alle deficienze di bilancio delle famiglie e a sostenere le spese post scuola, di formazione e specializzazione. Questo aumento sarebbe ancora più opportuno, anche se non necessario, se fosse inserito in una riforma fiscale organica che preveda da un lato una robusta tassazione ambientale e digitale e dall’altro una riduzione dell’Irpef sulle famiglie e sulle imprese».

In un suo recente lavoro ha scritto che “oggi nel nostro Paese si possono ricevere doni sostanziali e non essere tassati”. Cita l’esempio della tassazione che grava su un lavoratore medio: impiega più di 45 anni di lavoro per raggiungere 1 milione di euro di redditi, una cifra non molto distante dall’importo medio dei lasciti ereditari in Italia. Dove la normativa sulle successioni presenta le maggiori distorsioni?

«È sinceramente incomprensibile la tenuità di questa imposta. Si continua infatti ad applicare l’aliquota del 4% per i lasciti superiori ad 1 milione a favore di figli, genitori e nipoti più il coniuge, del 6% tra fratelli per patrimoni superiori a 100.000 euro e per gli altri parenti, ed infine dell’8% negli altri casi. In Europa si va dal 30% della Germania al 34% della Spagna, dal 40% della Gran Bretagna al 45% della Francia. Il gettito del 2018 è stato in Italia di 820 milioni, contro i 14,3 miliardi della Francia, i 6,8 miliardi della Germania, i 5,9 miliardi del Regno Unito e i 2,7 miliardi della Spagna».

I sostenitori di una tassazione leggera controbattono che i beni oggetto di successione in Italia sono stati gravati in precedenza da una tassazione elevatissima. Una tesi che regge?

«La tesi non regge perché non risulta che detti beni subiscano a monte una tassazione elevatissima, in grado di compensare la troppo bassa tassazione delle successioni e donazioni. Il fatto è che devono considerarsi ormai superate quelle critiche alle imposte di successione fondate su una visione della società e della famiglia che privilegia il risparmio e l’accumulo della ricchezza a favore dei figli e dei nipoti in una logica intergenerazionale».

Superate da quali cambiamenti?

«A questa visione è facile contrapporre l’argomento che, allo stato attuale, il tributo successorio deve essere uno strumento necessario a garantire maggiore uguaglianza di opportunità, a livellare le differenze delle condizioni di partenza, a colpire di più chi nella pandemia ha fruito dei bassi tassi di interesse e dell’aumento di valore delle azioni. E ciò senza tener conto che chiamare i figli dei più ricchi a finanziare una sorta di patrimonio di cittadinanza di entità abbastanza modesta, avrebbe anche un indiscutibile valore solidaristico, in grado di risaltare particolarmente in momenti di crisi come quelli attuali».

Evocare il valore solidaristico di una tassa potrebbe portare ad una rivoluzione in questo Paese.

«Semmai, il problema che l’aumento delle imposte successorie pone è un altro, di tipo più tecnico e applicativo. Indipendentemente dalla destinazione che Letta intende dare al maggior gettito, un’imposta successoria rigenerata richiederebbe, infatti, di colpire realmente non solo gli immobili e le partecipazioni finanziarie, ma anche il denaro liquido, il valore delle assicurazioni possedute, i mobili, le opere d’arte, i gioielli, il valore delle imprese non quotate, i beni detenuti all’estero. È evidentemente un compito non facile, realizzabile solo con molta buona volontà e con la disponibilità di idonei strumenti organizzativi».

Per trovare alternative alla proposta di Letta dove bisognerebbe andare a guardare?

«In questo contesto, una parziale alternativa ad una robusta imposta successoria potrebbe essere, almeno teoricamente, l’istituzione di un’imposta patrimoniale ordinaria. Le due misure, in effetti, si equivalgono ed hanno gli stessi inconvenienti applicativi. Sono differenti solo riguardo al tempo della tassazione che, in un caso, è il trasferimento a causa di morte o la donazione e, nell’altro, è la titolarità in vita di un patrimonio. Quel che è certo è che solo se già sussistesse un tale tipo di imposizione potrebbe avere un senso la permanenza di un tributo successorio molto ridotto come quello ora vigente».

Lo accennava all’inizio: non sarebbe più agevole inserire una revisione sulle successioni in un quadro di riforma complessivo della tassazione sulle persone fisiche?

«Non è strettamente necessario attendere la riforma dell’Irpef per porre mano all’aumento dell’imposta successoria. L’attuale sua ridotta entità non è storicamente giustificata dall’attuale curva di progressività dell’Irpef. Se si guarda ai grandi patrimoni che dovrebbero essere oggetto dell’aumento della tassazione, ci si rende agevolmente conto che l’aliquota massima del 43% di tale imposta non si discosta dalla media delle aliquote degli altri Paesi dell’UE. Le statistiche ci dicono in particolare che, pur avendo riguardo anche ai contributi sociali e all’Iva, sono molti i Paesi che hanno aliquote massime più alte di quelle applicate in Italia. L’OCSE ci dice che, se si prende un reddito di 100.000 euro, di 11 Paesi dell’Eurozona 5 hanno un’aliquota Irpef più alta di quella italiana».

Gli economisti dicono che le misure redistributive, ovvero maggiori tasse, sono mal viste dove ci sono bassi livelli sociali di “trust” (fiducia). Può essere una interpretazione?

«Può darsi che questa sia un’interpretazione corretta nell’attuale congiuntura. Devo dire, però, che una cosa è la contrarietà all’aumento della pressione tributaria complessiva, che sarebbe mal sopportata in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, e una cosa è invece la contrarietà alla ridistribuzione del carico fiscale, che non presuppone detto aumento. Su quest’ultimo fronte, l’avversione alla redistribuzione può capirsi solo in termini di mancata fiducia nella qualità, nelle modalità e negli effetti della redistribuzione stessa. Il rischio è insomma che in questa contingenza gli interventi redistributivi siano vissuti come un atto di persecuzione delle categorie più incise e produca, perciò, una maggiore spinta all’evasione».

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