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Fotografia: Mater(i)a P(i)etra, la mostra delle due città gemelle di Carlos Solito

Intervista al fotografo e scrittore Carlos Solito, autore della mostra Mater(i)a P(i)etra al Museo di Palazzo Lanfranchi di Matera fino al 17 Marzo 2019 nel programma di Matera 2019 – Capitale Europea della Cultura.

Fotografia: Mater(i)a P(i)etra, la mostra delle due città gemelle di Carlos Solito

Sono 700mila i visitatori attesi in una regione che non conta più di 600mila abitanti. Matera Capitale Europea della Cultura ha rivoluzionato la vita della città dei Sassi. “Fino a qualche anno fa non eravamo neanche Italia oggi siamo Europa” commenta Simona, cuoca in un’osteria del Sasso Barisano. “È una grande opportunità per noi materani che ci vedremo arrivare artisti da tutto il mondo, ma anche una grande sfida perché dobbiamo evitare che il turismo di massa appiattisca l’offerta.”

Dopo l’apertura ufficiale dell’anno europeo della Cultura del 19 e 20 gennaio, con il discorso del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la partecipazione del Presidente del Consiglio, Antonio Conte, la diretta Rai con Gigi Proietti, Skin e Stefano Bollani. Tutti i riflettori sono puntati sulla Città dei Sassi e fino al 17 Marzo 2019, al Museo di Palazzo Lanfranchi di Matera, sarà possibile esplorare la Mostra Fotografica Mater(i)a P(i)etra. Un viaggio di 80 immagini tra le due città gemellate patrimonio dell’Unesco. FIRST Arte ha incontrato l’autore, Carlos Solito scrittore, fotografo, giornalista e regista.

Come nasce l’idea di Materia Pietra?

«Ho avuto modo di conoscere Petra grazie a un passato collaborativo con il Ministero del Turismo della Giordania; ho esplorato i suoi sentieri per raccontarne i posti più belli e pubblicizzarne l’immagine turistica. Scoprendo Petra, vedendone le somiglianze e le differenze che condivide con Matera ho elaborato l’idea di metterle in comune. Avevo in serbo questo progetto da molto tempo. Ne ho parlato con Paolo Verri, [ndr Presidente della Fondazione Matera 2019] che ha subito sposato l’idea. Mater(i)a P(i)etra significa cultura e apertura, condivisione tra due antipodi: il vicino oriente e noi occidentali, dialogo e specularità delle due città scolpite nella roccia».

La mostra è molto particolare perché le foto sono esposte a coppie, una foto di Matera e una di Petra, come se fosse una sola fotografia grazie a giochi di luci e geometrie, complementarietà e riflessi. Quanto le due città si somigliano e quanto sono diverse?

È proprio così: è come se le due fotografie fossero una sola. Il cinema è nelle mie corde, mi sono cimentato in cortometraggi e videoclip, e questa mostra nasce da una sceneggiatura. L’imprinting cinematografico è forte: si è trattato di un lavoro certosino di direzione della fotografia che ha permesso a geometrie e luci di trovare il binomio perfetto per renderle complementari. Il progetto infatti ha anche una sua costola video oggi su Youtube. E’ stato necessario un lavoro lento, che ha richiesto di girare tanto e attendere, anche per ore, la luce perfetta».

Un lavoro di pazienza quindi?

«Un lavoro molto paziente. In tutto, 50 giorni sul campo. Abbiamo scelto di viaggiare lentamente con carovane di beduini sui cammelli o con i muli: ore e ore di cammino anche per una sola fotografia. Con una troupe di fedelissimi, tra cui mio figlio Christopher che mi segue sempre nelle mie avventure, abbiamo fatto un viaggio straordinario ed eccezionale per toccare con mano la bellezza dell’accoglienza e la sacralità dell’ospite».

L’emozione che trasmette la mostra è un sentimento di universalità. È come se volessi dirci che “siamo tutti parte dello stesso mondo, dello stesso universo, fatto di materia e di pietra”. Quanto Matera si rispecchia in questo messaggio?

«Petra e Matera sono due città patrimonio mondiale dell’umanità, gemelle Unesco, sorelle di pietra, di sabbia, di silenzi. Il Siq e la Gravina sono due opere rupestri forgiate dallo scultore più eccelso al mondo: l’acqua. Ancor prima che l’uomo le modellasse con le sue mani, l’acqua ha tessuto questa grande tela rocciosa su cui sono stati dipinti due quadri tridimensionali, pieni di vuoto, che ricordano i quadri di Escher. Petra e Matera raccontano l’universalità dell’esistenza, dell’insediamento e della civiltà. Petra e Matera sono anche simboli di due culture che oggi dividono: oriente e occidente, cristiani  e musulmani. Eppure questi due antipodi si rispecchiano e ci dicono: siamo una cosa sola, siamo la stessa cosa, materia e pietra».

Matera e Petra due capisaldi dell’arcaico e della geologia.

«Sì, ma la cosa straordinaria è come il passato sia uno straordinario futuro, che genera economia e bellezza. Matera e Petra ci offrono una nuova idea di futuro, opposta a quella che identifichiamo con la velocità, l’altezza e i grattacieli di vetro. Il concetto di futuro può essere relazionato a un concetto geologico e lento che ci consenta di riappropriarci dei nostri tempi. Vorrei che la politica apprendesse questa lezione da queste due città: che non siamo per sempre, che il nostro obiettivo è lasciare un segno, finanche un granello di sabbia perché sia preso in consegna e continuato da chi verrà dopo di noi. Dobbiamo imparare a scolpire il nostro futuro perché i nostri figli possano continuare a garantire la bellezza».

Ma allora, Matera Capitale Europea della Cultura, è una bolla destinata a sgonfiarsi o un trampolino di lancio per rilanciare la città?

«Ritengo che Matera diventerà un caso da studiare e un simbolo di riscatto per tutti quei luoghi rupestri e rurali che sono rimasti marginali sulla scena mondiale. Matera offre al mondo una grande lezione di umiltà: fino a qualche anno fa era vergogna nazionale, era orrore, perché le persone dovevano abbandonare le proprie invivibili case. Ma in maniera lenta, dolce e umile, la città ha ricostruito la propria identità: è diventata set hollywoodiano, patrimonio mondiale dell’Unesco (1993) e Capitale europea della cultura. MATERA è la capitale mondiale della resilienza. Perché la sofferenza è stata trasformata in bellezza e riscatto sociale. Non credo sarà una bolla di sapone, ma un caso da emulare».

Carlos, tu hai recentemente pubblicato un libro, “La ballata dei sassi” (Sperling & Kupfer), in cui narri la storia di un poeta per anni rimasto nascosto sotto la maschera di un manager in carriera con l’obiettivo di aumentare il proprio stipendio anno dopo anno. Ma il poeta che è dentro di lui prevale e decide di tornare a scoprire se stesso e le proprie origini, lasciando poesie sparse per tutta la città affinché chiunque possa riempirsi di bellezza. Ai cittadini viene donata la poesia con un gesto gentile e anonimo: quanto è importante l’elemento del dono nell’arte?

«Il libro marca il mio amore per la città e celebra un ritorno, un nostos verso il riappropriarsi  della lentezza la ricchezza più grande a cui l’uomo possa ambire. La Ballata dei sassi racconta di Ettore, manager affermato, che incrocia l’orrore del mondo scampando a un attentato terroristico. Nel petto gli si apre uno squarcio: la strada che aveva inseguito è una strada chiusa e deve tornare indietro, al bivio di partenza che è Matera il luogo dove è cresciuto. In questo viaggio di ritorno Ettore riscopre il dono del silenzio ereditato dal nonno pastore transumante della Murgia che celebrava l’esistenza con gli sguardi, il silenzio, i fischi, le lunghe camminate, i profumi delle erbe. Ettore scrive poesie e rispolvera una vecchia Olivetti, lettera 32, che il nonno, silenzioso, ma attento, gli aveva regalato consapevole dell’inclinazione del nipote. Mio nonno me la regalò sul serio una lettera 32. Mi fece questo dono immenso che per lui era come se mi avesse regalato una Ferrari.

Ettore dunque torna a Matera e compone un’antologia di poesie che sparge in giro a beneficio dei passanti. Poesie che sono un’ode ai luoghi narrati nelle opere di Carlo Levi, immenso testimone del suo tempo con la scrittura e la pittura, il suo pensiero e la sua arte. Poesie che ci aiutano a riscoprire le nostre origini, per celebrare il rito del ritorno e riappropriarci del nostro metabolismo esistenziale, lento e silenzioso.

Mi auguro che impareremo ad ascoltare il silenzio perché per troppo tempo ci siamo illusi che il futuro dovesse essere qualcosa di straordinario quando è inchinarsi alla grandezza del passato e imparare dalle generazioni antiche.

Non siamo per sempre. E dobbiamo scegliere come approfittare del tempo che abbiamo a disposizione. E’ un po’ come scegliere come ubriacarsi, se con un cocktail chimico e fluorescente o con un sano dolce vino della propria terra. A ognuno la propria scelta».

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