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Foti (Finecobank): “La gestione del risparmio richiede competenza”

INTERVISTA AD ALESSANDRO FOTI, Ad di Finecobank – La banca online del gruppo Unicredit ha conquistato quest’anno 107 mila nuovi clienti e si avvia a superare i 5 miliardi di raccolta – “I pilastri del nostro successo sono tre” – “Molto positiva la novità dei Pir” – “Non temiano nè Fintech nè Mifid 2”

Foti (Finecobank): “La gestione del risparmio richiede competenza”

Avanti così. Nemmeno il fisco è in grado di fermare la marcia di Finecobank che ha chiuso novembre, il mese delle tasse con una raccolta al netto del pagamento delle imposte di 280 milioni. E Piazza Affari, piacevolmente sorpresa, festeggia l’ennesimo exploit della banca del gruppo Unicredit che non conosce la parola crisi. Anche così la macchina da guerra che si accinge a superare i 5 miliardi di raccolta in un anno (siamo a quota 4.970 milioni in undici mesi) dimostra di aver superato a pieni voti, materia dopo materia, il suo esame di maturità: il broker online che 18 anni fa ha spiegato per prima agli italiani ad investire per via elettronica, è ormai diventata la prima banca, quella di riferimento, per il milione e passa di clienti (1.196.000, per l’esattezza, 9.840 in più nel solo mese di novembre) che hanno imparato  ad apprezzare il mix di efficienza e qualità garantito dal cybor advisory, il digitale al servizio del fattore umano, ovvero l’armata dei consulenti sotto la guida di Alessandro Foti. Una formula che, nei primi undici mesi 2017, si è tradotta in 107.147 nuovi clienti. Ecco l’intervista che Foti, l’ad di Finecobank, ha rilasciato a FIRSTonline.

Prima o poi il flusso rallenterà. O forse si fermerà. Vi siete preparati per quel momento? 

“Per ora prendiamo atto che gli italiani stanno finalmente imparando, dopo diverse dure lezioni, a capire che il risparmio richiede competenza. Ci sono voluti diversi shock, dalla crisi del debito sovrano ai tassi di interesse negativi al rischio default delle banche, perché si convincessero che non ci si può affidare al caso o cedere alla pigrizia. Il mercato italiano comprende famiglie ricche, ma con un’esposizione sbilanciata a favore dell’investimento immobiliare Un mercato che vanta uno stock di risparmio di oltre 4 mila miliardi, ben superiore all’ammontare del debito pubblico. C’è molto da fare, anche se la cultura finanziaria, in media assai modesta come confermano sondaggi ed inchieste, non aiuta. Ma la situazione può migliorare anche sotto questo aspetto, con grande beneficio per chi è più competitivo”. 

La novità dei Pir, che compiono giusto un anno di vita, può tornare utile? 

“Gli effetti positivi dei Pir sono due. Innanzitutto si favorisce una maggior efficienza del mercato, favorendo la crescita del listino. Ma, soprattutto, si dà una spinta agli investimenti di medio-lungo termine, come dovrebbero essere sempre quelli destinati al risparmio”. 

E’ in questa cornice che si innescano i vostri obiettivi di crescita. In primo piano, a leggere le vostre comunicazioni, ci sono i guided products. Di che si tratta? E perché sono così importanti? 

“Si tratta dei prodotti mirati, frutto dei nostri servizi di consulenza, offerti ai nostri clienti. Nel 2014 valevano il 36% degli asset under management. A novembre la loro incidenza rispetto al totale dei beni gestiti è cresciuta al 63 per cento, a dimostrazione della validità delle nostre soluzioni di consulenza evoluta, sempre più apprezzate dai clienti. E’ una strategia che, oltre a premiare i clienti, offre sensibili vantaggi. Ma c’è un’altra ragione: l’efficienza dei nostri servizi permette ai nostri consulenti di avere più tempo per assistere i clienti. E, ovviamente, per cercarne di nuovi”.  

Insomma, la crescita dei guided products aumenta la produttività del sistema. E’ così? 

“Noi puntiamo sia ad una crescita quantitativa che qualitativa. L’obiettivo è di fornire servizi molto efficienti ma ad un prezzo giusto. E’ la formula che funziona sia per il gestito che tra i clienti più abbienti, come dimostra la nostra crescita nel private banking. La logica è la medesima e cerchiamo di seguirla in tutti i servizi che offriamo, compreso il lending”.  

Un altro modo per andare a caccia di nuovi clienti? 

“No, offriamo questi servizi ai clienti che già conosciamo di cui siamo in grado di valutare il merito di credito e la solvibilità”. 

Il lending non è un mezzo per allargare la base clienti, ma serve a far di Fineco sempre più la banca di riferimento per tutte le esigenze del vostro cliente. Ma come si colloca in questo quadro la decisione di aprire una Sgr in Irlanda? Non vi bastava l’attività di distribuzione dei prodotti altrui che pure vi ha garantito tanti successi? Perché la decisione di aprire una “fabbrica” per mettere a punto le nuove offerte?  

“Intendiamoci, la nostra resterà una piattaforma aperta, con un’ampia presenza di prodotti di terzi. Ma la creazione di una nostra fabbrica prodotto si consentirà di portare all’interno della società una parte della catena del valore, con evidenti benefici per i profitti”. 

Avete già un’idea in merito? 

“La nostra Sgr diventerà operativa tra qualche mese, a cavallo tra il primo ed il secondo trimestre. Ma già oggi ho potuto verificare che i risparmi, rispetto alle condizioni praticate dai fornitori esterni, possono essere molto rilevanti”. 

Per giunta l’Irlanda è notoriamente una terra attraente sotto il profilo fiscale. O no? 

“Nel nostro caso il fisco non c’entra per niente. L’Irlanda è di gran lunga la piazza più efficienza e competitiva per l’industria del risparmio, quello che per le scarpe sono i nostri distretti industriali. Dietro un fondo ci sono tecnologie e regole che il risparmiatore nemmeno conosce”.  

Già, la tecnologia. E’ stata una delle chiavi che ha permesso a Fineco di imporsi sul mercato. Ma oggi il Fintech sta cambiando le regole del gioco. Dall’anno prossimo, con l’introduzione della direttiva Psd 2, con il benestare del cliente le banche dovranno cedere i dati a loro disposizione a terzi. E si scatenerà una concorrenza di tipo nuovo. C’è già chi prevede la concorrenza di Amazon sui mutui. Ad esempio. Preoccupato? 

“Francamente no. Mi sembra uno scenario futuribile ed un po’ inverosimile perché non vedo la convenienza ad entrare in un campo così complesso e regolamentato. Può darsi che sorgano alleanze commerciali. Ma la vera discriminante è il rapporto che il cliente ha con la banca. Se esiste una relazione forte e solida, basata sulla fiducia, il rapporto tiene. Anche noi del resto, siamo consapevoli del valore strategico dei Big data: sapremo, come sempre, usare le opportunità offerte dalla tecnologia”. 

Nel frattempo vi preparate a digerire la novità della Mifid 2.  

“Siamo pronti. Non so se sarà una digestione facile per tutti. Di sicuro la direttiva impone maggior trasparenza, a partire da una comunicazione, almeno annuale, dei costi che oggi possono sfuggire ad un cliente distratto”. 

E voi avete la coscienza a posto. 

“La nostra filosofia poggia ancora sui tre pilastri iniziali: una base di costi che scende mentre la banca cresce; innovazione di processo e di prodotto; approccio leale con il cliente, commissioni comprese, per rendere il business più sostenibile. Per principio ma anche per convenienza. Basta un semplice calcolo matematico per capire che io guadagno di più nel tempo se, mettiamo, verso al cliente 100 invece che solo 50 trattenendo più commissioni del dovuto. Nel primo caso il patrimonio del cliente aumenta di più e crescerà la massa su cui guadagno. Tempo pochi anni ed il gestore più corretto guadagnerà di più”.

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