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Forum Ambrosetti, come crescere dopo il Qe: ricette Cottarelli e De Romanis

Al Forum di Cernobbio l’ex Mister Spending Review, Carlo Cottarelli ha presentato un rapporto sugli scenari economici dopo il Qe: in caso di crisi l’Italia avrebbe un costo di 22 miliardi – Per questo bisogna spingere sulla crescita e il Rapporto di Veronica De Romanis indica come: i documenti integrali.

Forum Ambrosetti, come crescere dopo il Qe: ricette Cottarelli e De Romanis

E’ una delle domande del momento, e il Forum Ambrosetti non poteva esimersi dal provare a dare una risposta: come sopravviverà l’Italia alla fine del Quantitative easing di Mario Draghi? Secondo uno studio condotto da Carlo Cottarelli e presentato nell’ultima giornata del meeting di Cernobbio, insieme a un’altra ricerca in collaborazione con l’economista Veronica De Romanis, la fine degli acquisti di titoli di Stato da parte della Bce – prevista entro il prossimo inverno – costerebbe all’Italia 22 miliardi di euro. In realtà, però, solo in caso di una nuova crisi: la “mano” di Draghi, o del suo successore (probabilmente il falco tedesco Weidmann), non sarebbe infatti più necessaria in uno scenario – come quello attuale, anche se molto precario – di crescita anche moderata dell’economia dell’Eurozona. In caso di nuovo stallo dell’economia, soprattutto quella italiana, un mancato nuovo aiutino costerebbe appunto una cifra monstre, pari quasi a quella di una manovra di bilancio.

“In caso di crisi economica, il ruolo della Bce sarebbe imprescindibile per la sostenibilità finanziaria italiana”, rileva senza mezzi termini il documento presentato nel salotto buono della finanza. A una simile conclusione il lavoro supervisionato dall’ex mister spending review Carlo Cottarelli è giunto dopo aver valutato ben nove possibili differenti scenari per la traiettoria dei conti pubblici italiani: dal più “ottimista” che prevede una recessione solo nel 2021 e compensata dal conseguimento di un avanzo primario del 4% (tale da ridurre in ogni caso al 2023 il rapporto debito/Pil al 123,5% dall’attuale 131,9%), fino all’ipotesi shock, quella che prevede una crisi già nel 2020, con il Pil al -5% e il rapporto debito pubblico e Pil vicino al 150%. Una tesi decisamente catastrofica, ma che pure è stata contemplata.

L’impatto sull’economia reale del Paese e sulle banche non tarderebbe ad arrivare: “Un rialzo dei tassi influenza anche il valore mark-to-market dei titoli detenuti in portafoglio dalle banche, con conseguenti effetti sulla capitalizzazione del sistema bancario italiano e, dunque, sulla capacità dei soggetti che lo compongono di rispettare i requisiti patrimoniali richiesti da Basilea 3”, ricorda il rapporto. Che ha anche riportato delle simulazioni, dalle quali emerge che per ogni 100 punti base di aumento degli interessi (derivanti dall’aumento dello spread col Bund tedesco) il rapporto Cet1 si riduce di 40 punti base. Questo significa che i requisiti patrimoniali delle banche sarebbero in difficoltà, anche se va detto che è un dato medio, che non riflette la buona condizione di salute di parte delle banche italiane, al momento nettamente superiori alle richieste delle authority.

Obiettivo Crescita. Cosa possono fare le imprese e lo Stato per tornare a far crescere l’Italia

Nell’ultima giornata del workshop Ambrosetti è stato presentato anche un altro studio, realizzato sempre dal gruppo di lavoro di The European House – Ambrosetti, con la supervisione dell’economista Veronica De Romanis, docente a Stanford e alla Luiss. La ricerca individua le criticità del sistema Italia e lancia alcune proposte. “Lavoriamo di più, ma produciamo sempre di meno e siamo sempre di meno”, sostiene il documento nel tracciare una diagnosi della nostra economia. “Negli ultimi 30 anni il Pil pro capite è cresciuto di circa 10 punti percentuali, meno della metà rispetto al dato del penultimo dei Paesi sviluppati analizzati, cioè il Giappone. Il migliore è il Regno Unito con una crescita quasi del 50%”.

Uno dei problemi maggiori è il rallentamento della produttività, comune a molti Paesi ma che vede ancora una volta l’Italia fanalino di coda tra le economie maggiori: dal 2000 è praticamente stagnante, mentre tutte le altre sono migliorate, anche se lentamente, e una consistente accelerata l’ha registrata anche la Spagna. Nel 1998 la produttività italiana era ancora superiore a quella degli Usa, che oggi invece è nettamente sopra. “Per recuperare posizioni è necessario correre più degli altri, non più di ieri”, sintetizza la ricerca, che identifica poi alcune proposte sia per il pubblico che per il privato.

“La prima, per le imprese, è quella di portare avanti un’opera di formazione sul tema dell’organizzazione aziendale, passando da un approccio basato sulla mera introduzione di manager ai vertici aziendali ad uno focalizzato su strumenti e processi”. In Italia, molto più che altrove, nelle imprese famigliari l’intero management è spesso un affare di famiglia: che lo sia il Ceo, si usa dappertutto (ma comunque in Italia di più), che lo sia tutto il board accade in due casi su tre in Italia, in un caso su 10 in Uk, in un caso su quattro in Francia. Questo crea un deficit di meritocrazia ma anche di innovazione: i nostri processi gestionali, produttivi, commerciali, sono molto meno innovativi di quelli dei nostri partner internazionali.

La seconda proposta al privato è quella di puntare sulla tecnologia e soprattutto “di valutare gli investimenti in tecnologie digitali non soltanto sulla base dei ritorno economici quantificabili, ma anche considerando i benefici che essi portano alle energie del sistema”. L’Italia come è noto ha un gap digitale: le aziende fanno ancora fatica persino ad utilizzare Internet e i social network. Altre proposte riguardano più partnership internazionali, più ricerca e sviluppo, più internazionalizzazione anche nella formazione stessa dei vertici aziendali.

Poi ci sono le proposte allo Stato. La prima individuata dal documento di Ambrosetti è di “avviare una graduale riforma della Pa italiana, articolata in pochi obiettivi misurabili in modo oggettivo, su un orizzonte temporale di breve, medio e lungo periodo”. Una riforma che crei un sistema pubblico business-friendly, meno burocratico e che tenga conto delle necessità del settore produttivo: “Dovrebbe considerare anche aspetti immateriali e di lungo periodo: così concepita, una nuova Pa permetterebbe di rilanciare gli investimenti e rendere il sistema Paese più attrattivo”. Le altre proposte al settore pubblico riguardano il capitale umano (più lavoro per i giovani), e più investimenti pubblici ma con una forte focalizzazione.

Scarica la presentazione di Veronica De Romanis e la presentazione di Carlo Cottarelli.

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