Condividi

Fonsai, le “cannonate” di Nagel: l’ad di Mediobanca, intervistato da Repubblica, spara contro tutti

Da Ligresti, a Geronzi, fino a Perissinotto: ne ha per tutti l’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, in una clamorosa intervista rilasciata a Repubblica – “Siamo noi che abbiamo fatto saltare i salotti buoni”, dice su Geronzi – Ligresti? “Lo abbiamo messo alla porta quando trattava con Bollorè” – “Perissinotto silurato da Generali per risultati non performanti”.

Fonsai, le “cannonate” di Nagel: l’ad di Mediobanca, intervistato da Repubblica, spara contro tutti

CASO FONSAI, COSI’ IL SALOTTO BUONO VA IN FIAMME. NAGEL, SOTTO TIRO, ATTACCA CON UNA CANNONATA

“Grande è il disordine sotto al cielo, la situazione quindi è eccellente”. Chissà, se il detto del presidente Mao si rivelasse veritiero, la disgraziata vicenda Fonsai potrebbe rappresentare un punto di svolta per la crisi del capitalismo italiano. Per ora, però, si vede solo il disordine.

Il consorzio di garanzia dell’operazione Fonsai, capitanato da Mediobanca ed Unicredit, ha aggiornato a stamane la decisione sulla partenza dell’asta dei diritti inoptati. Solo oggi si saprà se l’operazione partirà giovedì prossimo, per interrompersi nel week end e a Ferragosto. Oppure se slitterà nella seconda metà del mese, magari in coincidenza con l’assemblea Premafin convocata su richiesta del custode giudiziale del 20% della società, sequestrato alle holding off shore di Salvatore Ligresti. Una complicazione in più per un’impresa che ha già il sapore del quasi impossibile, anche perché le quotazioni in Borsa galleggiano al di sotto del prezzo d’offerta (ieri 0,94 contro 1 euro): l’inoptato è di circa 290 milioni per Fonsai senza tener conto dei 140 milioni relativi alle risparmio che saranno sottoscritte come da accordi da Unipol; all’aumento della compagnia bolognese mancano invece 370 milioni. L’obiettivo del consorzio è di sistemare un 10% del capitale per ridurre l’impegno complessivo a non più di 500 milioni, metà a carico di Mediobanca (e di un pool bancario di creditori juniores), metà degli istituti stranieri (Credit Suisse, Ubs, Nomura, Barclays, Deutsche Bank) che riscuoteranno però a fronte dell’impegno commissioni super.  

Ma i problemi finanziari sono, al momento, l’ultima delle preoccupazioni per Mediobanca e, in particolare, per l’ad  Alberto Nagel. La tempesta suscitata dal “papello” siglato con Salvatore Ligresti che è costata al manager l’iscrizione nel registro degli indagati per ostacolo alla Consob, non si placa. Anzi. Il “Corriere della Sera”, di cui Mediobanca è influente azionista, parla del rischio di Opa “sanante”, ovvero dell’eventualità che la Consob riveda l’esenzione a favore di Unipol alla luce degli accordi sottobanco (che Nagel continua a negare) con la famiglia Ligresti. Ipotesi per ora remota ma che rischia di far saltare l’intera operazione. In questo quadro, anche alla luce dei risultati (il titolo Mediobanca è sotto del 60% da inizio anno) la solidarietà manifestata dalla “tribù” dei soci del patto di piazzetta Cuccia potrebbe incrinarsi. Anche perché nel mirino delle indagini Consob c’è anche il ruolo svolto da Vincent Bolloré nel 2010/11 quando il finanziare bretone tentò di pilotare Fonsai verso Groupama, allora guidata dall’amico (poi defenestrato) Jean Azéma.

Sullo sfondo, poi, continuano a bruciare le ferite patite nella dura campagna pro-nozze Fonsai/Unipol, a partire dalla defenestrazione da Generali di Giovanni Perissinotto, sospettato di troppa amicizia con Roberto Meneguzzo di Palladio e silurato per la sua “gestione non performante”, come spiega Nagel (la cui gestione, per la verità non sembra più performante) nel corso di una storica intervista concessa stamane a Repubblica. Un gesto clamoroso, visto che, come opportunamente ricorda l’intervistatore Massimo Giannini, Enrico Cuccia ebbe a dire che “il peccato veniale di un banchiere è fuggire con la cassa, mentre quello mortale è parlare”. Ma Nagel, che al di là degli attestati ufficiali di fiducia, sente il terreno franare sotto i piedi, ha infranto la regola, rivelando tra l’altro, conflitti insanabili alll’interno della compagine azionaria della banca che, presto, dovranno essere affrontati e risolti. Ma non solo. In sintesi:

a) “Dalla scomparsa di Vincenzo Maranghi in poi, in Italia si è combattuta e si sta combattendo una guerra di potere – dichiara Nagel –  Ed è anche vero che questa guerra ha camminato di pari passo con le evoluzioni della politica…”. E ancora: “Tra il 2009 e il 2010 c’è stato un tentativo chiaro, da parte di un gruppo di azionisti e di manager, per acquisire una posizione di forza all’interno del circuito che fa capo a Mediobanca…”. Con il sostegno esplicito del Cavaliere, in quel momento capo di un governo che aveva stravinto le elezioni, Geronzi e Bollorè “hanno cercato di entrare da padroni” nella Galassia attraverso la testa di ponte della famiglia Ligresti. In quel momento anche con l’accordo di Profumo, che allora guidava Unicredit, e – aggiunge Nagel – “nel silenzio delle autorità di vigilanza, a quell’epoca assai compiacenti”.

b) “Il punto di svolta è il momento in cui siamo riusciti a mettere fuori gioco Geronzi. Quello è stato l’inizio di un cambiamento epocale, per Mediobanca e perla finanza italiana. Per la prima volta noi manager, Renato Pagliaro ed io, abbiamo ristabilito il primato dell’autonomia e dell’indipendenza. Siamo noi che abbiamo fatto saltare gli equilibri di quello che voi, sui giornali, chiamavate e chiamate ancora il Salotto Buono dei Poteri Forti, o dei Poteri Marci…”. E ancora: “Siamo noi che abbiamo fatto tre passi indietro in Rcs. Siamo noi, unici nel panorama italiano, che abbiamo riformato radicalmente la governance dell’Istituto, introducendo il limite dei 65 anni per i manager. Siamo noi che, da allora, abbiamo cercato di traghettare Mediobanca nell’era moderna, facendola diventare una banca d’affari che ragiona in un’ottica di puro mercato”.

c) E su Ligresti? “Ma noi Ligresti lo abbiamo messo alla porta, con tanto di lettere ufficiali! E abbiamo cominciato a farlo già in quell’autunno del 2010, quando abbiamo capito che trattava con Bollorè e con i francesi. Veniva da noi, ci chiedeva la “sala 7” e ci diceva: devo incontrare alcuni operatori finanziari. Senza dirci nemmeno di cosa stava trattando”.

d) E Su Unipol? “Sa che le dico? In qualunque altro Paese europeo, di fronte alla situazione dei Ligresti e al progetto industriale di Unipol, il governo avrebbe convocato Carlo Cimbri e gli avrebbe detto: di cosa avete bisogno? Siamo pronti ad aiutarvi, perché il vostro è un piano che tutela gli interessi del Paese. Vede, io non sono innamorato dei “campioni nazionali”, ma nessuno può dire che il progetto Unipol su Fonsai non abbia una grande valenza strategica e industriale”.  Ma quando parla del trattamento dei soci di minoranza, Nagel riscopre grinta e sentimenti antichi di Mediobanca: “Danni ai piccoli azionisti? Ma di che parliamo? Faremo gli aumenti di capitale, e l’inoptato lo ce lo prenderemo in carico noi e Unicredit, com’è giusto che sia. Poi è chiaro che io devo preoccuparmi di difendere il mio credito, ma sa perché? Perché anche Mediobanca ha i suoi piccoli azionisti da tutelare! E poi che senso ha parlare di aumento di capitale “diluitivo”? Tutte le ricapitalizzazioni lo sono per definizione”.

e) Ce n’è pure per Palladio/Sator e, dulcis in fundo, per Giovanni Perissinotto. “Quella di Arpe e Meneguzzo è una pura azione di disturbo. E quanto a Perissinotto, la verità è semplice: è stato messo a riposo dopo tanti anni perché in cda si è convenuto che i risultati della sua gestione non fossero performanti com’è giusto attendersi da un gruppo con il potenziale delle Generali. E questa valutazione è stata condivisa da tutti: anche da Pellicioli, Caltagirone e perfino Bolloré”.

Così parlò Nagel , protagonista di un’autodifesa da cui emerge un conflitto, vero o presunto, tra vecchio e nuovo in Mediobanca che non può più essere rimosso o rinviato a data  da destinarsi. Senza voler entrare nel merito di affermazioni forti (chiedere a Diego Della Valle se ritiene autentica la versione dei “tre passi indietro in Rcs” o ad Alessandro Profumo dell’accusa di aver tenuto bordone alla “cricca” pro Berlusconi) o voler commentare la richiesta di un appoggio governativo per il campione nazionale o lo sprezzante giudizio su Arpe-Meneguzzo, emerge un quadro inquietante di frammentazione del capitalismo di casa nostra, che alza la voce quando i capitali scarseggiano e sarebbe necessario al contrario sostenere lo spirito di intraprendere. Difficile, dopo parole che hanno almeno il pregio della chiarezza, far finta di niente.   

Commenta