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Fonsai, le banche cercano di rimediare al flop. E tra i giornali infuria la guerra di parole

Le banche del consorzio di garanzia degli aumenti di capitale di Unipol e Fonsai decidono oggi quando far partire in Borsa l’offerta dei diritti inoptati del titolo che si mantiene in Piazza Affari attorno ad una quotazione di 0,95 euro – Intanto sulla vicenda giudiziaria si dividono i giornali: Corsera e Sole 24 Ore pro Nagel, Repubblica contro.

Fonsai, le banche cercano di rimediare al flop. E tra i giornali infuria la guerra di parole

FONSAI, LE BANCHE CERCANO DI RIMEDIARE AL FLOP. E TRA I GIORNALI INFURIA LA GUERRA DI PAROLE

Le banche del consorzio di garanzia degli aumenti di capitale di Unipol e Fonsai decidono oggi quando far partire in Borsa l’offerta dei diritti inoptati del titolo che si mantiene in Piazza Affari attorno ad una quotazione di 0,95 euro, cioè sotto il prezzo di 1 euro delle nuove azioni, circostanza che non favorisce l’offerta bis al mercato. Le attese, comunque, sono che l’asta cominci mercoledì per concludersi la vigilia di Ferragosto. Sempre mercoledì’, si aprono i cantieri per l’integrazione con una prima riunione di una delegazione di Unipol, guidata dall’amministratore delegato Carlo Cimbri con i manager di Fonsai capitanati dall’a.d Emanuele Erbetta.

L’incontro vuole essere una presa di contatto per prefigurare i passaggi che porteranno poi all’integrazione tra le compagnie assicurative. Il giorno successivo, il 9 agosto, Cimbri, dopo il Cda a Bologna, illustrerà la semestrale di Unipol agli analisti in conference call nel tardo pomeriggio. E’ trasparente l’obiettivo di mettere in sicurezza l’operazione prima che piovano sulle nozze nuovi siluri, legati alle inchieste in corso presso il tribunale di Milano e di  Torino.

Per questo, come prima mossa,  il consorzio capitanato da Mediobanca e Unicredit vuole rimediare in parte al flop dell’aumento di capitale che ha visto un inoptato del 32% pari a 432 milioni di euro, anche se di questi, circa 142 milioni saranno sottoscritti da Unipol. Alberto Nagel e Federico Ghizzoni non disperano di poter collocare titoli per un altro centinaio di milioni, presso amici e conoscenti. Tra questi potrebbe esserci Raffele Miccione, il private banker  (vicino a famiglie lombarde come i Ricci, padoni del marchio “Le tre Marie”) che a suo tempo rastrellò buona parte dell’inoptato dell’aumento di capitale Bpm in piena sintonia con Carlo Bonomi (e Mediobanca).

Ma la partita finanziaria rischia di passare in secondo pino di fronte alle inchieste di magistratura e Consob e, più ancora, del fuoco di sbarramento mediatico che distingue la stampa “indipendente”, sempre più schierata pro o contro Mediobanca così come è accaduto fin dall’inizio dell’operazione. Il fronte pro Nagel (Corriere della Sera, Sole 24 Ore, La Stampa) ha esaltato la compattezza dei soci dietro l’ad di piazzetta Cuccia, “vittima”, come a suo tempo Vincenzo Maranghi, della doppiezza di Salvatore Ligresti (dichiarazione di anonimo, alias lo stesso Nagel, sulla Stampa). A favore della soluzione di sistema viene schierato dal Corriere della Sera anche Davide Serra, il gestore di Algebris che, promosso a “voce di Londra”, mette in guardia contro i rischi di un surplace prolungato della situazione di stallo, invece di una pronta fusione tra le quattro compagnie coinvolte. Il rischio è il commissariamento che a sua volta non potrebbe evitare la liquidazione di asset e titoli di Stato. Una bolletta pesante per il Paese e, ancor di più, per Mediobanca. Che vedrebbe sfumare il valore dei prestiti subordinati e “cercherebbe così di rimediare vendendo azioni Generali”. Insomma, una sorta di Apocalisse della finanza. E i piccoli azionisti? Prima o poi si renderanno conto “che non c’erano alternative” ad Unipol. Pagare e pedalare. Oggi si tratta di evitare il rischio che “i rappresentanti della Procura revochino  l’aumento di capitale già sottoscritto fermando Unipol sul bagnasciuga”.

Non meno veemente la retorica sul fronte opposto. Su La Repubblica va in scena una ricostruzione di tre anni della vita finanziaria del Paese in cui tutto si tiene tramite un “fil rouge” che non ammette contraddizioni. In sintesi, Mediobanca, sia per le trame di Cesare Geronzi che per quelle dl suo nemico Nagel, ha gestito il drammatico declino, tra ruberie e violazioni bilancistiche oggi all’esame della magistratura, del gruppo Ligresti con l’obiettivo primario di garantire più poteri al berlusconismo o, più semplicemente, per rimediare ai propri errori. Oggi, una volta scartata l’alternativa Sator Palladio (sostenuta da Repubblica, snobbata e vilipesa più che contrastata dal fronte pro salotto buono”, si arriva alla resa dei conti. O forse non ancora.

“La Consob  – si legge sul quotidiano del gruppo L’Espresso – stavolta, sembra intenzionata a non mollare la presa. Tanto che a Piazza Verdi qualcuno si è meravigliato del fatto che il pm Orsi, sabato scorso, abbia salutato tutti e sia partito per le ferie. In una fase tanto calda, ci sarebbe molto da fare e molto da indagare sulle troppe miserie del capitalismo italiano”. Peccato che Orsi, uno che fa il magistrato e non il paladino tuttofare, non senta che la missione comporti il sacrificio della spiaggia.

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