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FONDAZIONE BRUNO VISENTINI – Giustizia civile, idee per la riforma

FONDAZIONE BRUNO VISENTINI – In assenza di una proposta di riforma che soltanto il Governo può articolare, riflettiamo sulla giustizia civile, la cui disfunzione compromette ogni altra riforma che intenda poggiare sul diritto privato, cioè sulle difese giudiziarie di competenza dei privati.

FONDAZIONE BRUNO VISENTINI – Giustizia civile, idee per la riforma

Poco ci dicono le linee guida per la riforma della giustizia del comunicato stampa del Governo. Ci danno la giustificazione per qualche riflessione, necessariamente di prima approssimazione, in assenza di una proposta che soltanto il Governo può articolare con piena conoscenza delle condizioni dell’intervento e dei costi. Per ora riflettiamo sulla giustizia civile, la cui disfunzione compromette ogni altra riforma che intenda poggiare sul diritto privato, cioè sulle difese giudiziarie di competenza dei privati. Nelle materie commerciali il vuoto del diritto privato viene coperto dall’azione amministrativa delle autorità più varie, che finisce con imbrigliare il sistema.

Di recente si sono introdotte modificazioni importanti alle procedure d’appello e di cassazione per adeguare il processo secondo lo stile concentrato ed orale, che dovrebbe rimanere l’obiettivo principe per rendere funzionale la giurisdizione, costantemente perseguito dalla lontana riforma del codice, ma altrettanto costantemente rifiutato dagli addetti ai lavori. Non bastano le modifiche di procedura; è sull’organizzazione della giurisdizione che dobbiamo intervenire, con mezzi materiali e di persone. Non basta l’informatica: certamente utile, ma non determinante per la funzionalità della giurisdizione.

La qualità della sentenza è nella qualità della causa, che innanzitutto è affidata ai patrocinatori: alla loro specifica professionalità e all’etica della categoria impegnata. È per funzione che si specializza la professione legale, viepiù oggi. Al giurista di contenzioso si richiede la padronanza del criterio giuridico. Deve essere in grado di cogliere i principi comuni del mandato, della vendita, della frode, dell’abuso del diritto, ecc. al di là della specifica materia in discussione: società, aereonautica, appalti, fisco ecc.; deve essere in grado di trarre dai fatti, sempre diversi, la fattispecie concreta in funzione della fattispecie astratta; la sua abitudine è affrontare l’incerto: la risposta non la trova nel libro, ma la crea dal sistema, fatto di storia, di princìpi, di norme disparate come collocamento, di cultura (lo insegnava Calamandrei).

Invece il giurista d’impresa, che spiega come si deve fare, deve essere altamente specializzato nella normativa del settore cui è dedicato; deve dire al cliente farmaceutico quale è la legislazione e la regolamentazione specifica, anche internazionale; deve dire il diritto consolidato; accorgersi se le incertezze sono tali da richiedere un parere fiscale specialistico; deve ben conoscere la sua azienda, il suo cliente; mentre i princìpi, la storia, il sistema, sono uno sfondo che non emerge nella sua professione quotidiana, come invece per il giudice e l’avvocato che affrontano la lite, generata proprio dall’incognita del diritto posto.

Perciò la professione del giurista di contenzioso va distinta, pretendendo una formazione del tutto diversa. Quando l’allora ministro Lombardi propose per la laurea in giurisprudenza il corso di tre più due anni, alla Luiss ci disse che la maggioranza degli studenti si sarebbe fermata ai tre di base per poi entrare nel mondo del lavoro; nessuno si sarebbe fermato ai cinque, poiché a questi avrebbero dovuto seguire altri due (o tre) anni presso le scuole di specializzazione, affidate all’università, obbligatorie per chi volesse affrontare la professione di giudice o di avvocato di contenzioso. La conservazione ed il corporativismo si opposero, ed ora abbiamo cinque inutili anni ed il proliferare di scuole di specializzazione private e professionali. Siamo convinti che la riduzione del numero degli avvocati di contenzioso eleva la qualità della causa, ne riduce il numero, intensifica il sentire etico di chi non intende affrontare un contenzioso inutile.

Il giudice non può esercitare isolato. Deve essere assistito da almeno due assistenti e dal servizio di cancelleria appropriato («Ufficio del giudice»). Prima di assumere le funzioni, l’uditore dovrebbe essere riconfermato alla luce di un congruo periodo di esperienza come assistente (si era detto: se al chirurgo prima di operare da solo servono degli anni, la causa non è certamente un’operazione meno delicata). Ne verrebbe non soltanto migliorata la qualità del processo, ma intensificata l’efficienza.

Pensiamo che sia sufficiente che il collegio di cassazione sia composto di tre. Così oggi è anacronistico l’intervento del p.m. In origine era la voce del governo, dal quale dipendeva (era utile sentire la voce di Napoleone). Questa funzione si è estinta con l’indipendenza del p.m.

Probabilmente bisognerebbe prescrivere che in caso di soccombenza in tutti i gradi del giudizio segua necessariamente la condanna alle spese (per tutti i gradi), così che vi sia certezza di un prezzo da pagare per chi propone giudizi avventati e minori costi per chi è costretto a subirli. Ulteriori competenze amministrative affidate alla volontaria giurisdizione possono (devono) essere trasferite alle autorità c.d. indipendenti o alla professione notarile, per riproporla secondo le attuali esigenze.

Anche lo smaltimento dell’arretrato, per un sistema che si volesse far ripartire, potrebbe essere ottenuto con l’affidamento di alcune categorie di controversie a collegi composti da professionisti in pensione di varie estrazioni (giudici, avvocati, professori, notai, commercialisti e ragionieri per il tributario), eventualmente raccordati con gli Uffici del giudice.

Le doti, le qualità personali, le capacità di sintesi vanno così spiccatamente differenziandosi che in tutte le professioni è oggi sentito come moralmente dovuto differenziare soggettivamente anche la remunerazione. Questa morale non è soltanto delle grandi organizzazioni private d’impresa; è sentimento che spiega le diversità nelle organizzazioni non profit e nelle stesse amministrazioni pubbliche. Sarebbe ingiusto non introdurre meccanismi che valorizzino le insopprimibili componenti soggettive anche nel compito del giudice.

E’ un passo già tentato nella giustizia tributaria. Integrazioni nei corrispettivi potrebbero essere da prima introdotte in relazione all’insieme dei componenti dell’Ufficio del giudice. Non si tratta di attribuire tout court un incentivo all’efficienza, ma di riconoscere il giusto compenso a chi manifesta maggiore dedizione all’ufficio attraverso il raggiungimento di obiettivi che l’amministrazione della giustizia si sia prefissata.

Così forse anche alcune modifiche delle regole di procedura potrebbero essere introdotte senza restare scritte solo sulla carta. Il modello di processo societario, con scambi preventivi di scritti tra le parti potrebbe essere riconsiderato, limitandone alcune estenuazioni. Un numero definito di scambi tra le parti, con dovere di prendere posizione su tutte le questioni e le prove, e l’obbligo di trattazione della causa nella sua interezza all’udienza successiva, con necessità di individuazione specifica a verbale delle questioni che rimanessero ancora da istruire. Presuppone la volontà (e la possibilità) di tutti i soggetti, giudici innanzitutto, di evitare rinvii. Si ritorna dunque alla premessa: formazione e qualità degli avvocati, organizzazione della giurisdizione, istituzione dell’Ufficio del giudice e valorizzazione delle capacità personali, anche organizzative, in termini di maggiore remunerazione.

Sappiamo tutti che la qualità della legislazione è la prima garanzia della certezza del diritto e quindi della riduzione del conflitto e della giurisdizione alle questioni utili. Ma il tema ci porterebbe ad altro discorso.

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