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FOCUS BNL – Borse 2016: oggi la finanza non anticipa i cambiamenti ma li crea. Un sorpasso epocale

FOCUS BNL – Il 2016, da un punto di vista statistico, risulta il peggior anno di sempre per i mercati – Il ruolo centrale della finanza nel determinare i cambiamenti dello scenario a qualsiasi livello conta spesso molto più delle questioni economiche – Nel mondo gira quasi un quadrilione di dollari contro 100 trilioni di prodotto: è un sorpasso epocale

FOCUS BNL – Borse 2016: oggi la finanza non anticipa i cambiamenti ma li crea. Un sorpasso epocale

Fare attenzione alle paure dei mercati finanziari. È il titolo di un editoriale pubblicato di recente sul Financial Times a firma di Lawrence Summers. In effetti, sono in molti a preoccuparsi di quanto sta accadendo alla finanza in quello che, statisticamente, risulta il peggior avvio d’anno di sempre per i mercati globali.

Ma l’ammonimento sollevato dal professor Summers colpisce più di altri. Proprio perché proviene da uno tra i più grandi e lucidi macroeconomisti viventi, riconoscere l’importanza dell’opinione dei mercati ha il sapore di una storica rivincita, di un epocale contrappasso. La finanza conta. Non solo perché, come sostiene il professor Summers nel suo bell’articolo, oggi sono i mercati a porsi più di altri le domande giuste su alcuni squilibri macroeconomici di fondo che attendono risposta.

Proviamo a fare un passo in più. È finito il tempo in cui Paul Samuelson osservava come i mercati avessero previsto nove delle cinque ultime recessioni. Che siano o no lungimiranti, che ci prendano più o meno degli economisti nel formulare previsioni, oggi i mercati contano perché, per le dimensioni che ha assunto, la sua pervasività e le sue interconnessioni, oggi è la finanza stessa a giocare il ruolo pieno di “fondamentale” dello scenario. Né più né meno della demografia, delle questioni energetiche, degli squilibri tra risparmi e investimenti, delle regole e delle politiche.

Al pari di altri fondamentali, la finanza concorre a determinare il cambiamento prima ancora che ad anticiparlo o seguirlo. Capire questa centralità è importante. Anche per poter declinare al meglio le azioni di policy. Con poco meno di un quadrilione di dollari di finanza che gira nel mondo a fronte di meno di 100 trilioni di prodotto le opinioni dei mercati contano anche quando esse possono apparire alquanto semplificate o parziali. Questo vale per i paesi sviluppati come per le cosiddette economie emergenti. Anzi, è soprattutto per queste ultime che la centralità della questione finanziaria merita una adeguata attenzione. È il caso della Cina.

Sono quasi sei mesi che le questioni cinesi quotidianamente finiscono sotto i riflettori dei mercati. Economisti e policy maker continuano a confrontarsi sul tema del rallentamento economico della principale economia manifatturiera del pianeta. Una grande sfida strutturale, densa di comprensibili difficoltà: la transizione a un’economia con più consumi, più servizi e meno centralizzazione rispetto al modello di sviluppo affermatosi negli ultimi trent’anni. Il punto è che la sola storia del rallentamento economico non appare sufficiente a dare conto delle persistenti turbolenze dello scenario cinese e delle ricadute sistemiche per gli interi mercati globali.

Accanto al rallentamento dell’economia, ciò che andrebbe compiutamente apprezzato è il dato dell’accelerata espansione della finanza che la Cina ha realizzato nel corso degli ultimi anni. Un’espansione della finanza che oggi va letta insieme all’interpretazione che si dà al rallentamento dell’economia. Perché in Cina come negli USA o in Europa economia e finanza sono le due facce della medesima medaglia. Qualche numero, basato su semplici elaborazioni sulle eccellenti basi dati della Banca dei regolamenti internazionali. In Cina, tra la metà del 2008 e la metà del 2015 il totale dei crediti nei confronti del settore non finanziario è cresciuto, debito pubblico escluso, da 5 a oltre 21 trilioni di dollari.

Nello stesso periodo i debiti delle imprese e delle famiglie americane sono passati da 25 a circa 27 trilioni di dollari. Mentre l’America del post-subprime si concentrava a contenere gli indebitamenti dei privati, la locomotiva cinese accompagnava la sua marcia di crescita economica con una espansione importante della finanza. Venti anni or sono il debito dei cinesi, settore privato, era grosso modo quello degli italiani. Nel 2008 aveva raggiunto il debito dei tedeschi. Oggi ha una dimensione che, come ordine di grandezza, è più vicina a quello degli americani. Per chi preferisce ragionare in termini di PIL, oggi l’indebitamento del settore privato cinese è pari al 200 per cento del prodotto, il doppio di quanto segnato tre lustri or sono quando Pechino entrava nel WTO e ottanta punti sopra al dato che si rileva oggi in Italia. Non contano solo i debiti pubblici, di cui tanto ci preoccupiamo in Europa.

Dietro l’incerto avvio del 2016 per l’economia mondiale e le sue Borse non c’è solo poca crescita, ma anche tanta finanza. Di questo i mercati, più di altri, sono consapevoli. 

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