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Fintech e banche: cosa insegna il caso Mooney

La recente acquisizione di Mooney, realizzata da Intesa Sanpaolo ed Enel, è uno dei più importanti deal nel Fintech europeo e spinge le banche a interrogarsi su come cambiare la tradizionale attività di filiali e sportelli

Fintech e banche: cosa insegna il caso Mooney

La recente acquisizione di Mooney, realizzata in forma paritetica da Banca Intesa ed Enel rappresenta uno dei più importanti deal nel panorama FinTech europeo, l’enterprise value attribuito all’azienda è di quasi 1,4 miliardi di euro.

Mooney oggi è una infrastruttura di pagamento che serve 20 milioni di clienti, ogni anno gestisce quasi 18 milioni di bollette del gruppo Enel e viene usata da circa 46 mila punti vendita.

Essi sono costituiti principalmente da bar, tabaccherie e edicole. I servizi che progressivamente Mooney proporrà alla propria rete saranno prevedibilmente di tipo bancario e assicurativo.

Nel suo website l’azienda afferma: Mooney, grazie anche alla sua capillare presenza sul territorio, ha reso il rapporto con il banking più accessibile e familiare, specie in un momento in cui gli istituti finanziari tendono ad abbandonare il territorio, preferendo un’esperienza d’uso prevalentemente online.

Una FinTech all’incontrario verrebbe da dire. Certamente basata su una piattaforma ICT sofisticata, ma soprattutto su punti di vendita di prossimità, che fanno parte del vissuto quotidiano di ogni consumatore: andare a compare un giornale, un gratta e vinci o delle marche da bollo.

IL DECLINO DEL RETAIL BANKING

È vero, come afferma Mooney, che le banche hanno deciso nel frattempo di percorrere il cammino inverso abbandonando il territorio? Stupisce innanzitutto constatare come il numero dei suoi punti vendita, 46.000, rappresenti circa il doppio delle filiali possedute dalle banche italiane nel loro insieme.

Da fonte Banca d’Italia a fine 2020 in Italia si potevano contare 23.481 sportelli bancari, erano 33.607 nel 2011. In meno di un decennio se ne sono dunque chiusi oltre 10.000. Una tendenza analoga si è registrata in tutti i principali paesi.

La tradizionale attività bancaria al dettaglio è per molti versi in crisi e non da poco tempo.

La bolla delle dot.com del 1997 – 2000 e la successiva crisi finanziaria del 2007 hanno fortemente accelerato un processo di tipo regolatorio che da allora ha sempre più limitato l’iniziativa delle banche costringendole entro corridoi molto stretti, anche per quanto riguarda l’azione sul mercato.

In parallelo, con il fallimento di alcuni operatori e l’indebolimento di molti altri, si è accelerato il processo di concentrazione. Il numero degli istituti bancari in Italia è passato da 1.060 del 1990 a 474 nel 2020. Ne sono seguiti massicci processi di riorganizzazione che hanno comportato anche l’eliminazione di funzioni centrali duplicate e di filiali in eccesso. Ciò mentre la redditività, spinta da tassi intorno allo zero, è continuata a declinare e contemporaneamente è aumentato il rischio di credito nei bilanci (NPL).

Nel frattempo, milioni di clienti perdevano i loro referenti tradizionali, licenziati o trasferiti e intanto cresceva la sfiducia verso il mondo bancario per via dei fallimenti, delle chiusure, dei super stipendi dei CEO. Ciò andava di pari passo ad una relazione con il cliente che diveniva progressivamente asettica e anonima, governata dalle procedure piuttosto che dall’ empatia e dalla conoscenza personale. Nel mondo esterno, per contro, con l’avvento dei digital player il consumatore veniva coinvolto, coccolato e sedotto.

Nel settore bancario si è perpetuato in sostanza un circolo vizioso: a mano a mano che le filiali venivano chiuse per via di razionalizzazioni e fusioni, si perdeva il contatto con il cliente il quale, a sua volta, ha iniziato a disertare sempre più le filiali rendendole luoghi ormai vuoti. Da chiudere, appunto.

LA DIGITALIZZAZIONE DELLE BANCHE

La trasformazione digitale avrebbe potuto essere l’opportunità per un’inversione di tendenza? Probabilmente sì, ma dobbiamo tener conto che essa è giunta quando il mantra dominante era ed è ancora: troppe banche, troppe filiali, troppi costi, overbanking in una parola. Salvo pochi casi di successo il mondo bancario ha indirizzato i propri investimenti nelle nuove tecnologie verso la ricerca di maggiore efficienza operativa e di minori costi del servizio piuttosto che sullo sviluppo commerciale e della rete periferica.

Siamo ancora ad una transizione digitale circoscritta, le cui direzioni appaiono incerte.

LE FILIALI ASSET STRATEGICO

L’esperienza di questi ultimi anni, tra crisi, fusioni e minaccia FinTech sta ponendo alle banche una sfida complessa e da affrontare in fretta, mentre cresce il numero di chi profetizza la fine delle filiali in tempi rapidi.

Eppure, ancora oggi, la presenza territoriale e il contatto personale rappresentano una componente decisiva del rapporto con la clientela. Oltre a Mooney (e ad Amazon che è proprietaria di catene di negozi retail con diversi brand e format) ce lo confermano le ricerche fatte direttamente sui consumatori. Una, che ha come riferimento gli U.S.A dice che il 62% dei clienti intervistati vuole avere una presenza fisica della propria banca, il 57% ha l’esigenza di parlare con un impiegato in persona soprattutto nel caso debba chiedere consiglio su temi importanti, il 10% vuole stabilire una relazione diretta con un personal banker.

Un esame della redditività prodotta da banche tradizionali e player innovativi mette in evidenza, inoltre, come una quota significativa dei ricavi, stimata tra il 55 e il 70%, venga generata da attività di acquisizione della clientela e di distribuzione dei servizi. Qualcosa che riguarda dunque l’ultimo miglio, la fase del contatto. Ciò è confermato anche dalla differente e maggiore importanza che assume l’indice di customer satisfaction se espresso relativamente alle filiali piuttosto che ai canali digitali, come messo in evidenza da un’altra indagine internazionale.

Una riconsiderazione del ruolo e delle potenzialità strategiche delle filiali appare dunque auspicabile e dovrebbe seguire quelli che il caso di Mooney indica come i fattori principali di successo: prossimità, rete e molteplicità dei servizi offerti.

PROSSIMITÀ

Questo termine sottintende principalmente due aspetti: vicinanza e familiarità. Il primo indica la comodità di raggiungere la filiale in poco tempo. Il secondo implica l’abitudinario, il consueto, la reciproca conoscenza. Come appunto avviene nel caso dell’edicola o del tabaccaio. Per la banca oggi è indispensabile garantire una presenza territoriale diffusa, di cui studiare le modalità organizzative di secondo livello, per garantire il raggiungimento di economie di scopo in un dato territorio. La formazione del personale sarà analogamente importante. Non solo quella relativa al prodotto, ma, soprattutto, ciò che attiene alla costruzione della relazione con il cliente. Che in passato nasceva spontaneamente, grazie alla carriera dei dipendenti, spesso trascorsa nella stessa filiale.

RETE

La rete informatica riguarda ovviamente il collegamento centro – periferia. La banca oggi deve consentire all’operatore di filiale un accesso semplice e immediato a tutte le informazioni che riguardano il cliente. In assenza di esse il colloquio e la relazione sarebbero squilibrati e più difficile la possibilità di vendere prodotti aggiuntivi e rafforzare la fedeltà nel tempo.

Purtroppo, ciò non appare un obiettivo raggiungibile a breve. Da un lato perché finora si è reingegnerizzato il rapporto filiale – back office secondo logiche incentrate sulla ricerca dell’efficienza piuttosto che sull’efficacia commerciale. Dall’altro perché la maggior parte dei sistemi informativi delle banche funziona ancora verticalmente, rendendo molto complesso raccogliere informazioni complete sul cliente.

Porre il cliente al centro della piattaforma operativa della banca è un percorso spesso auspicato ma ancora assai lontano dall’essere realizzato. Si tratta di un obiettivo a cui dare elevata priorità.

MOLTEPLICITÀ DI SERVIZI

I punti di vendita di Mooney, lo si è visto, sono principalmente luoghi dove tradizionalmente si acquistano prodotti tra loro anche molto differenti e che non richiedono un’assistenza specializzata.

Il discorso è diverso per le filiali bancarie, verso cui c’è un’aspettativa di problem solving da parte del cliente. Esse esprimono ancora oggi un’immagine di sicurezza che non deve essere vanificata.

Come coniugare questi attributi con un’offerta di servizi molteplice, il concetto dell’one stop shop? Si tratta di un aspetto attraente: entrare in un negozio dove poter acquisire servizi differenti, in una sola volta.

Numerosi operatori hanno già messo in atto formule che coniugano ai servizi bancari di base altri che riguardano di volta in volta, esigenze di tipo specialistico.

Ci riferiamo, ad esempio, alle agenzie dedicate agli operatori economici, oppure a quelle per la clientela affluent. Un modo per garantire un’offerta ampia (che comprende tutti i servizi della banca) assieme ad un’assistenza competente.

Percorrere con successo questa formula richiede un mix particolare di strumenti, che comprendono tecniche di data analytics come pure di economia comportamentale per analizzare la clientela, i suoi bisogni, suddividerla in cluster, confrontarli con l’universo della popolazione orbitante nel territorio, al fine di costruire offerte personalizzate di servizi ad alto valore aggiunto. Il profilo dei clienti e dei target consentono di verificare la redditività potenziale di una data localizzazione e indicano le azioni da mettere in atto per raggiungerla.

SPERIMENTARE NUOVE FORMULE

In tempi recenti alcuni operatori hanno deciso di sperimentare nuovi format rifacendosi all’esperienza del mondo digitale: creare o partecipare a ecosistemi aperti agendo sia come distributore di prodotti di altri che distribuendo propri prodotti attraverso canali altrui.

Si arriva in questo modo ad un bundling di offerta in cui ai servizi bancari si accostano quelli di altri operatori. Contiguità che possono nascere anche da spazi comuni, ad esempio, dove accanto a una filiale bancaria convivono un’agenzia di trasporto merci, una società di consulenza software o di web design, uffici interinali, piuttosto che agenzie immobiliari o di viaggio.

Senza dubbio si tratta di formule almeno sulla carta attraenti.

Altre se ne dovrebbero sperimentare, compresa quella di consentire una maggiore circolarità e collegamento tra filiali di banche differenti. In altri termini potrebbe essere consentito al cliente di operare sul proprio estratto conto da filiali di qualsiasi banca o di richiedere il mutuo che ritiene più conveniente. Ciò implica la creazione di piattaforme informatiche comuni, su cui proporre prodotti di marchi e origini diverse, secondo un modello di tipo competitivo e allo stesso tempo cooperativo. Anche in questo caso esistono delle esperienze ma limitate agli operatori bancari più piccoli. La separatezza impedisce di mettere a fattor comune le filiali, che potrebbe ridar loro nuova spinta e capacità di attrazione.

In conclusione, il caso Mooney, per il suo intreccio peculiare tra FinTech e rete di vendita, spinge gli istituti di credito a riflettere su come creare il vantaggio competitivo futuro.

Ripensando a una famosa frase di Bill Gates: l’attività bancaria è necessaria ma non lo sono le banche, potremmo dire che oggi si può far banca in molti modi e le filiali ne sono ancora una componente fondamentale.

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