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Federmeccanica: “Incomprensibile aver fatto cadere Draghi. Tre punti per l’agenda del futuro Governo”

INTERVISTA A FEDERICO VISENTIN, Presidente di Federmeccanica, l’associazione delle industrie metalmeccaniche – “La crisi di Governo ci ha spiazzato: difficile capirne le ragioni politiche” – L’andamento del Pil è confortante e le imprese hanno retto ma l’autunno sarà difficile – Clausola di salvaguardia per i salari – Le priorità del futuro Governo

Federmeccanica: “Incomprensibile aver fatto cadere Draghi. Tre punti per l’agenda del futuro Governo”

Confortano gli ultimi dati sulla crescita del Pil, in parte inaspettati e in parte frutto dell’onda lunga delle commesse e degli ordinativi firmati alla fine del 2021. L’autunno è destinato purtroppo a ridimensionare gli scenari di ottimismo con un quasi certo rallentamento dell’economia americana ed europea. Servirà il classico “stellone” che sovraintende le sorti del nostro Paese per barcamenarsi tra inflazione, costi dell’energia e tassi di interesse in aumento. Il capo degli industriali di Federmeccanica, il vicentino Federico Visentin, ancora spiazzato dalla crisi politica balneare che ha defenestrato Mario Draghi da Palazzo Chigi, mette in rassegna le priorità dell’industria manifatturiera italiana dopo le elezioni politiche.

Presidente Visentin, nonostante un ottimo secondo trimestre per l’economia italiana, si avvicina l’autunno forse più complicato degli ultimi anni.

«Già da tempo eravamo preoccupati. Bisogna fronteggiare l’incremento del costo dell’energia e delle materie prime, mentre le spinte inflazionistiche continuano a erodere i profitti delle imprese e il potere d’acquisto dei lavoratori. Nonostante il piano presentato dal ministro Cingolani, rimane sul tavolo la grande incognita dell’approvvigionamento del gas. I dati sul Pil sono invece senza dubbio confortanti: le imprese italiane in questi mesi hanno saputo reagire».

Il Paese di fatto si bloccherà per due mesi di campagna elettorale. Cosa vi preoccupa di più?

«La crisi di governo ci ha davvero spiazzato. Ogni caduta dell’esecutivo genera instabilità che, in questo caso specifico, aumenta un’incertezza già diffusa sul breve e medio termine. Si fatica a comprendere le ragioni politiche che stanno dietro a crisi di governo come questa. Ora gli affari correnti dovranno combinarsi con l’attuazione del Pnrr, poi subito dopo le elezioni il nuovo Governo sarà chiamato a gestire la complessa fase di transizione che stiamo vivendo. Non possiamo affidarci sempre al caso o alla buona sorte».

Nel 2021 l’Italia è stata l’economia più vivace d’Europa: gli ultimi dati registrano ancora trimestrali largamente positive. Il primo punto dell’agenda industriale del prossimo governo?

«Sono tanti i punti aperti da chiudere e uno dei più importanti è sicuramente la riforma strutturale del cuneo fiscale. Da tanto se ne parla e qualcosa si stava muovendo. Federmeccanica lo sostiene in ogni sede: servono interventi sostanziosi per sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori e per favorire la competitività delle imprese. Una riforma al ribasso che a regime porta 200-300 euro l’anno sarebbe poco più che un bonus. L’obiettivo è allinearci alla media europea e per questo è necessaria una riforma di portata ben più consistente. Il secondo punto è altrettanto vitale per la nostra economia».

Quale?

«Il nuovo governo non dovrà perdere nemmeno un minuto e proseguire gli interventi strutturali per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico, verso una maggiore autonomia, investendo sulle infrastrutture strategiche. Poi c’è una transizione tecnologica ed ecologica che non possiamo permetterci di subire, ma che dobbiamo guidare».

Sono scongiurati i rischi di ricorrere a misure estreme come i lockdown per le imprese più energivore?

«L’Europa in realtà ha già proposto una serie di misure di razionamento dei consumi energetici. Draghi e Cingolani stavano portando avanti un piano energetico per renderci autonomi in un tempo ragionevole. Il prossimo governo dovrà perseguire questo tipo di strategia. Serviranno coesione politica, competenze e visione. Ci sono grandi questioni davanti a noi che vanno comprese e gestite con professionalità e decisione».

In vista di un perdurare delle sanzioni alla Russia, in quale punto della nostra politica energetica nazionale non possiamo assolutamente rallentare, a prescindere dalle questioni politiche?

«Questa terribile vicenda dal punto di vista umanitario ha messo a nudo alcuni limiti delle nostre politiche del passato in materia energetica. Ci auguriamo che le sanzioni producano l’effetto sperato e che la guerra finisca quanto prima. Sarà comunque necessario portare avanti azioni su larga scala di diversificazione delle fonti di approvvigionamento, senza escludere alcun tipo di energia, sempre tenendo ben presente gli obiettivi importantissimi di transizione ecologica».

A settembre la Bce potrebbe decidere un ulteriore inasprimento della politica monetaria. È uno scenario già scontato dalle imprese?

«Non tutti sono ancora consapevoli di cosa comporta questo cambio di paradigma. Veniamo da un periodo di grazia, tra tassi bassi, in certi casi vicino allo zero, finanziamenti con garanzie pubbliche e proroghe delle scadenze. Attenzione, però: l’Europa dovrà essere molto abile nel trovare il giusto equilibrio per frenare l’inflazione. Il rischio concreto, cercando di limitare l’aumento dei prezzi, è quello di deprimere troppo la crescita. Anche perché l’inflazione europea, a differenza di quella americana, è spinta dall’energia. Per questo è fondamentale normalizzare i corsi dei costi energetici».

Quanto è distante dalla realtà uno scenario di instabilità politica in Italia tale da mettere in discussione le tranche di liquidità legate al Pnrr?

«Il Pnrr è un piano che serve per supportare le riforme strutturali. Si devono finanziare investimenti in grado di dare un ritorno economico al Paese nei prossimi anni. Le riforme sono necessarie non solo per ottenere le risorse del Pnrr, ma anche per essere un Paese più competitivo e moderno. Va assolutamente evitato il ricorso all’indebitamento non produttivo in un quadro di aumento dei tassi di interesse, in un’ottica in cui i mercati potrebbero rimettere nel mirino la nostra finanza pubblica».

L’inflazione potrebbe rimanere persistente a lungo tempo. Oltre al dibattito sul cuneo fiscale, quanto a lungo sarà possibile non toccare al rialzo salari e stipendi?

«In molti contratti ci sono meccanismi solidi di protezione. Il nostro contiene una clausola di salvaguardia che prevede ogni anno l’adeguamento a consuntivo dell’IPCA al netto degli energetici importati. Sono strumenti importanti di garanzia che tengono conto della situazione contingente. Il tema dei salari comunque è legato a doppio filo con quello dei profitti delle aziende. Da tempo diciamo che si deve sostenere la crescita dimensionale delle imprese, perché si possa acquisire una maggior indipendenza nelle catene del valore e non essere, come spesso accade, contoterzisti di grandi aziende di altri Paesi. Questo consentirebbe anche di avere maggiori margini che porterebbero più opportunità di far crescere i salari».

Un’inflazione importata, causata dall’impennata dei costi energetici, deve essere gestita anche con provvedimenti non solamente di tipo monetario?

«Per tutelare le fasce più deboli bisogna stabilire delle regole per contrastare la speculazione legata al comparto energetico. Occorre anche sottolineare che il costo dell’energia sta erodendo in maniera significativa i margini delle imprese. In una nostra recente indagine, più del 60% delle aziende metalmeccaniche intervistate ha dichiarato di aver subito una riduzione dei profitti per effetto dell’incremento dei costi energetici. Per questo si deve proseguire senza ritardi con la linea di smarcamento progressivo dalla dipendenza energetica da un solo Paese».

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